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La magia delle parola. Quattro lettere, tre delle quali vocali, dalle quali già emana nel suono una strana fascinazione, fragranze come incantate dai quali forze invisibili gettano la loro luce simbolica. Gli echi a cui essa rimanda possono toccare molti aspetti, "dall'effluvio di punte metalliche cariche di elettricità allo stordimento che precede l'attacco epilettico e per estensione il delizioso smarrimento e la goduta paura che annunciano la possessione nella macumba e nel vudu". Stupenda parola, ma da noi occidentali - ci dice Zolla - ormai desueta, mentre è salvata da un Oriente che ancora (in rari luoghi illesi) si fa custode e testimone di lontananze cariche di pregnanza, meraviglia, conoscenza. E' già tutto dentro di noi, basta sentirne la chiamata, ce lo dice l'autore in modo diretto: "Chi abbia consuetudine con la propria intimità scorge le aure nel mondo esterno, chi si ignora, chi non abbia mai avuto un sogno fatidico, può passare accanto ad esse e nemmeno voltarsi". E' in sostanza quel percepire la meraviglia nei tanti richiami che la vita e la curiosità possono offrirci, e che in fondo non sono che germogli di stupore fecondato. Da una gara a braccio fra poeti affacciati al balcone in Maremma alle tarantole galatinesi nel giorno di San Paolo, da incredibili esperienze di vite vissute agli attraversamenti del mito in tutte le loro profondità, l'indagine si perde e ci perde in una lettura più che assorta dove regna e svetta, con soave presenza, un senso di poesia mai disgiunto dall'umano. Un tragitto d'amoroso intelletto che da Giava a Israele, dal Taoismo cinese allo Sciamanesimo coreano percorre villaggi infusi di magia accanto a scoperte di sonni guaritori, il visibile che penetra l'invisibile,lo visita e se ne ammanta sfiorando dentro di sé il sacro e il pagano in una cappa di incanti figli della nostra stessa anima,effluvi che già dimorano in noi e cercano solo incontro, certezza, conferma.L'ignoto è un emisfero carico di grazia. Libro bellissimo.
Se già in "Lo stupore infantile" Zolla ci invitava ad una serrata meditazione sulla Luce (tema assai caro), in Aure l'autore ripropone, con tutta la forza di una prosa improntata alla "sprezzatura", l'immemore insegnamento dei moti dell'aria (aura, L'aura...Petrarca docet) passeggiando per i placidi giardini dell'anima nobile e semplice. Immaginare infatti è atto "magico" e fondante; allenare il muscolo del cuore (la camera segretissima ove risiede il Testimone)e quello della memoria opportunamente mondata è esercizio immemore delle civiltà d'Oriente; sicchè il libro diventa pretesto per un liberatorio abbandono della ristrette categorie dell'Occidente, un giocoso e ilare invito a visitare la luminosità del primo induismo, quel piccolo intonso gioiello di Bali,una cronaca, ancorchè diluita nell'esperienza di una vita, di un viaggio incantato da cui si esce inevitabilmente stupefatti.
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