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Ecco un libro di storia del pensiero economico che esamina come l'idea di capitale sorga e si modifichi fra tardo medioevo e anni settanta del Novecento. Boldizzoni dimostra grande padronanza della letteratura esistente e un originale modo di affrontare i classici, da Turgot a Smith, da Marx a Marshall, da Keynes a Samuelson. Per chi non è addetto ai lavori, proprio questo immane sforzo di sintesi può a tratti risultare non digeribile. Ci sono però passaggi di grande chiarezza per qualsiasi lettore. Anzitutto un suggerimento metodologico: le teorie economiche e le riflessioni su che cosa sia capitale risentono del contesto storico e persino morale nel quale vengono formulate. E così, ad esempio, si può spiegare meglio il diverso ritmo e la diversa direzione nello sviluppo capitalistico di Francia e Inghilterra fra Sei e Settecento. Nella tradizione francese, il rapporto fra persona e terra era di collaborazione, costituendo i due elementi un tutto organico. Nella tradizione inglese tale rapporto è invece di sottomissione; l'essere umano, per diritto divino, si pone al di sopra della terra, ridotta da madre che elargisce doni a oggetto da sfruttare. Di qui anche una vocazione prevalentemente manifatturiera della Francia, a fronte di un'Inghilterra industriale. Da meditare a lungo le pagine su Marx. Al culmine dell'industrializzazione inglese giunse la sua critica implacabile, che però va letta in funzione del contesto. Marx è "lo spettatore di una crisi d'identità generata dall'inversione del rapporto fra società ed economia". Nella natura relazionale del capitale, rapporto sociale mediato da cose e non cosa in sé, si può scoprire una tale inversione. Sono da ripensare certe motivazioni morali della critica marxiana, combinazione di posizioni progressive e regressive. Nessuno come lui avversò la dittatura della produttività. Lo fece anche per nostalgia del tempo che fu.
Danilo Breschi
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