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Il romanzo mi pare opera di introspezione, un inseguire l’anima nei voli alle altezze sublimi della contemplazione (opere d’arte o paesaggi, come si intuisce dal desiderio di trekking sull’Himalaja) nello strapiombo della desolazione della razzia subita, del saccheggio di una violenza esteriorizzata per poterla in qualche modo controllare. Più che di un romanzo si tratta di una serie di racconti (uno per mese) legati dall’ottica particolare dell’io narrante prostituta ‘olistica’ nel cui ‘campo visivo’ passa una varissima umanità, non poi così diversa da quella che osserviamo attraverso articoli di cronaca nera o politica,solo narrati con più verve e ironia non disgiunte da un cinico realismo. Così,ricordano altre cene e altri luoghi la cena e i dialoghi alle pagine 30-32 o la vicenda di Bea trans in qualche modo ‘in cerca di sé’ e, ancora il ‘santone’ della comunità di recupero in cui ogni ospite ‘porta soldi’ ma non ne consuma. Ma anche rivediamo i nostri ricordi e le nostre esperienze: chi non si identifica nel ‘pranzo di Natale’, pur con le dovute differenze! Un opera di filosofia, in cui gli aforismi sono disseminati come piccole perle nei racconti degli incontri e delle performances professionali, aforismi e racconti erotici ben integrati nel fluire dei ricordi che si sgranano come coroncina di rosario di mese in mese.Interessanti i participi (uomini sposati figliati chiesati, escort mesciate piastrate truccate), bellissime le metafore. I caratteri sono sbozzati, delineati capitolo dopo capitolo: la maitresse innominata è domatrice di ippopotami senza artigli, ma anche figlia e sorella e amica, Lisa è puttana dal cuore spezzato ma mai indurito, gli uomini sono piuttosto animali che sbranano. Dopo i primi racconti intrisi di dolore e disincanto, il tentativo finale di inserire buoni sentimenti riscatto e happy end risulta forzato, e la noia che si vuol rappresentare parrebbe più noia dell’autrice che noia della protagonista scema l’ironia e le metafore luminose come parabole si oscurano.
È il primo libro che abbia letto il cui protagonista non abbia un nome. E trovo che sia una cosa geniale. D’altra parte non serve il nome, perché chi racconta i dodici episodi è una persona che vive la realtà intorno a se cercando di non restarci impantanata. Ma poi, impantanata, ci rimane lo stesso perchè la varietà umana può essere rivoltante, patetica o deprimente, ma le emozioni coinvolgono ugualmente chi ha forti sentimenti. Difatti, è gonfio di tenerezza il sentimento di solidarietà e vicinanza tra la protagoniste e le amiche/colleghe. Mi è piaciuto il sano cinismo della definizione dei ruoli familiari, e dei momenti più scontati che la regolano. Ogni frangente dell’esistenza, ha sempre una diversa chiave di lettura. Ed in Amore S.p.A. è spesso la chiave meno gradevole e meno facile ad essere presentata. Ma non per questo meno vera. L’unico momento debole del libro credo che sia il mese di marzo, di cui m’è sfuggita l’essenza: mi è parso un po’ confusionario e forse denso di troppi segnali che alla fine creano affollamento. Oltre a tutto il resto, credo che Amore S.p.A. meriterebbe di esser letto già solo per alcuni incisi folgoranti. Un esempio (uno dei tanti): “ciò che è inespresso e non verbalizzato è come se non fosse mai accaduto, alla nostra cieca coscienza”. ...
Amore SpA di Angelika Riganatou: Ninfa sulfurea post moderna, che, con linguaggio raffinato ed ironico, racconta una prostituzione che mette in scena tutte le debolezze del macho, con pochi lampi di luce nel buio totale, fra morte disincanto e disperazione: Da non perdere.
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