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Il solito Carandini con le sue solite "idee" basate sulla sua famosa quanto discutibile scoperta. E' interessante notare le straordinarie coincidenze tra i (pochi?) testi antichi citati e gli altrettanti pochi elementi probanti alla base delle sue argomentazioni. Sperando che un po di rigore e scetticismo scientifico pervada i prossimi referee del sicuramente prossimo libro dell'autore, ennesima consacrazione delle solite idee...
Secondo me, Procopio ha qualche legame con il buon vecchio Carandini: altrimenti non si spiegherebbe un simile giudizio ad un'opera nella media di un comunque grande uomo di studi. Per dare un giudizio in poche righe, affermo:"buono". Giudizio di un serbo,il mio,non di un romano o di un italiano.
Un altro capolavoro. Dopo la Nascita d Roma, Andrea Carandini ci regala questo straordinario lavoro frutto di almeno 10 anni di ricerche fatte sul campo, nel cuore della Roma Arcaica. Prende corpo con questo testo la descrizione dei primissimi decenni della storia della città eterna. Se con la scoperta delle mure palatine aveva consentito a Carandini di scrivere la Nascita di Roma, le recentissime scoperte archeologiche nel Foro e nell'area della casa delle Vestali gli permettono di ricostruire l'intera processo di formazione della città. Un processo che si protrae dal tempo di Romolo fino a quello di Tullo Ostilio. Remo e Romolo, nel sintetizzare il lavoro di tutta l'equipe archeologica che scava alle pendici del palatino, apre finalmente uno squarcio di luce sui secoli bui dei tempi di Roma Arcaica. Un buio purtroppo anche alimentato dagli infruttuosi lavori di altri storici, in particolar modo l'inglese Wiseman e l'italiano Augusto Fraschetti, che si sono cimentati sull'argomento e che nel presente libro vengono giustamente bastonati. Rimaniano in spasmodica attesa per i già annunciati volumi che saranno pubblicati da Mondadori (Lorenzo Valla) dal titolo La Leggenda di Roma, curati sempre dal grande Carandini.
Recensioni
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A dispetto delle pubbliche lodi dell'interdisciplinarietà, le discipline e le scienze dell'antichità non fanno eccezione spesso tendono a guardarsi fra loro con sospetto, per motivi un po' epistemologici, un po' di accademia. E così archeologia, storia, filologia, antropologia, che pure dovrebbero rappresentare vie diverse e complementari per giungere alla ricostruzione del passato, ragionano talvolta secondo paradigmi incompatibili, talvolta frutto di sedimentazioni epistemologiche e di vulgate tradizionali: gli storici (e i filologi a fortiori) tendono a rivolgere la loro attenzione alle fonti scritte, mentre d'altro canto nei corsi di laurea in archeologia lo spazio dedicato alle lingue classiche si restringe sempre più in favore di discipline più tecniche, e così via.
Per questo, Remo e Romolo di Carandini è, si sia d'accordo o meno sulle sue conclusioni, un libro da leggere. Carandini mescola, o meglio integra, storia, filologia, archeologia e antropologia applicando alla storia di Roma, con risultati assai interessanti, tutti gli strumenti consentiti all'antichistica: il metodo antropologico illumina le fonti scritte e materiali; il metodo stratigrafico legge il mito come complesso di storie sovrapposte. Non è una lettura per tutti né intende esserlo: l'apparato documentario è imponente (un migliaio di note a piè di pagina, circa settanta pagine di note finali, sessanta di illustrazioni, circa quattrocento studi citati) e richiede al lettore preparazione e meditazione. Arrivati al termine del testo principale, si può dunque essere tentati di concludere la lettura e saltare il corpo 8 delle "note a parte" finali. Si tratta invece di una parte importantissima del testo, in cui Carandini da un lato propone lo status quaestionis dei temi trattati, dall'altro procede a una serrata disamina, quasi un dialogo a distanza, delle opinioni degli studiosi più accreditati.
Il volume è strutturato come una sinfonia (Accordare, Aria, Variazioni, Cadenza finale sono i titoli delle sezioni), e i singoli stiamo al gioco "movimenti" riflettono questa varietà ritmica. Il tema della sinfonia è naturalmente quello dei gemelli mitici Romolo e Remo. L'assunto di Carandini è che i miti non siano liquidabili come favole per bambini, ma contengano un nucleo storico, o per lo meno un messaggio antropologico, che con un'analisi accurata e senza cedere alle tentazioni di spiegazioni razionalistiche triviali è possibile disincrostare dalle concrezioni che, accumulatesi nel corso di secoli, l'hanno reso irriconoscibile. Carandini non è certo il primo a partire da un assunto del genere: già a Schliemann dare fiducia al mito portò fortuna; ma il recupero del mito come parte fortemente integrante della cultura materiale non è così frequente fra gli archeologi moderni. Le conclusioni cui l'autore giunge una fondazione di Roma in linea con la datazione tradizionale, ai tempi di Romolo, contro la diffusa opinione di una fondazione in epoca più bassa, all'età di Anco Marzio, la rivalutazione di Romolo come eroe eponimo e storicamente esistito contro la vulgata che lo riduce a figura mitica il cui nome sarebbe coniato sulla base di quello della città, la spiegazione del movente del delitto per cui Romolo uccide Remo, ecc. sono tutte affascinanti e comunque in grado di innescare un dibattito scientifico di ampia portata; per chi non sia direttamente interessato a questioni specifiche di storia romana, a parere di chi scrive l'aspetto più interessante del volume è il metodo "olistico" di cui l'autore dà dimostrazione.
Massimo Manca
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