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Il Sessantotto. Un evento, tanti eventi, una generazione - Carlo Latini,Vincenzo Vita - copertina
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Descrizione


Il '68 fu rottura, controinformazione, agitazione politica: ma innanzitutto modernizzazione culturale. Da un'Italia arretrata e conformista si passò in un tempo breve ad un paese più aperto e cosmopolita, quel paese che avrebbe avuto le leggi sul divorzio, sull'aborto, sulla soppressione dei manicomi, sulla Rai, sui canoni di affitto. E che visse una stagione nel cinema, nel teatro, nella musica e un po' anche nella letteratura irripetibile. E che conobbe la cultura laica e si incontrò con lo straordinario movimento femminista. Con il cattolicesimo democratico del Concilio Vaticano secondo. L'occasione per questo saggio lungo (o libro breve) è il quarantesimo anniversario di quell'anno straordinario, certo. È, però, qualcosa di più. È un invito apparentemente paradossale - all'ottimismo della volontà, dando per scontato il pessimismo della ragione. Rileggere quella fase significa coglierne, appunto, la parte di maggiore attualità. Ora che la politica è soprattutto una grande questione di culture, un nuovo appuntamento identitario. E ora che serve una vera 'rivoluzione culturale', per immaginare uno sviluppo rispettoso delle vicende umane e dell'ecologia del sistema. E della mente. Per superare la 'violenza simbolica' insita nella nuova destra italiana: schizzi nostalgici, populismo elettronico, dirigismo berlusconiano, localismi proprietari ed egoisti. Ma la storia è lunga, e anche il Capitale, ammoniva proprio Mao.
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Dettagli

2008
8 luglio 2008
96 p., Brossura
9788856800203

Voce della critica

Questo libro delude solo a metà, per quel tanto che l'anagrafe e la biografia degli autori devono concedere al tempo perduto. Ed ecco il lieve cedimento nostalgico per l'anno di cambiamento, con tanto di finale dentro le speranze dei giovani d'oggi per un futuro mondo alternativo, ancora possibile grazie alla "lezione del '68". Se poi si va a leggere, troviamo una serie di suggerimenti interpretativi che meritano di essere pienamente accolti da chi voglia fare storiografia di quell'anno e degli eventi che attorno vi si addensarono. Anche e soprattutto dal punto di vista del metodo, poiché molto dipende da come ci si accosta a un "oggetto" di studio ancora incandescente. Anzitutto, l'indicazione che il concetto di generazione resta la chiave di accesso al fenomeno, con la precisazione che la "particolarità" di quella generazione risiede nel fatto che essa portava con sé non solo i classici problemi dei giovani, ma anche quelli inediti di una società e di uno stato cresciuti in fretta. "Generazione della transizione", quella del Sessantotto fu al contempo erede dei malesseri di culture politiche in profonda crisi. Erano le culture della neonata repubblica: socialcomunismo e cattolicesimo politico. La scuola di massa fu il detonatore, ma gli autori riconoscono che certe qualità della futura élite del movimento studentesco si avvalsero di una scuola che negli anni sessanta "ha ancora una personalità, un prestigio, una serietà". Di riforme c'era quindi bisogno, non di rivoluzioni. Non convince l'idea che le "progressive liberazioni" restino l'insegnamento più valido oggi. Alla tensione utopica dovrebbe forse legarsi il senso del recupero di qualcosa che il capitalismo ingrassatosi con l'ideologia sessantottesca ha travolto. Se tutto è liquido, non lo potrà mai essere l'individuo umano. E se l'homo videns fosse figlio del Sessantotto?
Danilo Breschi

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