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Bellissimo romanzo di un immenso Mankell. Il suo ultimo libro pervaso da una struggente atmosfera, la consapevolezza del lento ed inesorabile trascorrere del tempo, la convinzione dell'inevitabile fine del proprio cammino, ma improvvisa la certezza di nuovi, seppur limitati, traguardi e nuove speranze. Uno scrittore che ha creato quello che a mio parere è il miglior commissario della letteratura Kurt Wallander e che anche in questo romanzo ci regala splendidi personaggi come il protagonista Frederick, la dolce Lisa e l'enigmatico Jansenn. Sicuramente da leggere!
Mi spiace non essere d'accordo con le recensioni precedenti, ma di Mankell ho letto di meglio. E' vero che sembra un po' un testamento, ma non mi è sembrato così profondo. L'ho trovato soprattutto un libro stanco.
Opera pubblicata postuma di H.M. Facile per me scrivere ora che potrebbe essere il suo testamento. Non ho letto a suo tempo ''Sabbie mobili'', edito in Italia prima di questo suo ultimo romanzo, ma leggendo la sua caratteristica (ed imitata) prosa scarna, fatta di brevi frasi essenziali, ma così piene di fascino, complete ed esaurienti nella loro semplicità costruttiva percepisco che era conscio di evere poco tempo di vita, ammalato di cancro. Questa malattia pervade le pagine del romanzo, ricorre frequentemente, Fredrik ha 70 anni è cosciente che la vecchiaia – altro tema dominante – è per lui arrivata incombente nella quotidianità, così com'è arrivata precedendo la morte di altri personaggi. Mi pare che l'incendio della sua casa, cui sono seguiti gli altri, sia solo un pretesto per raccontare questo tramonto che non sarà senza un'alba, perchè la piccola Agnes è la continuità della ruota della vita. L'ho trovato colmo di struggente poesia, forse per noi meridionali d'Europa con qualche angolo non del tutto comprensibile, ma è un romanzo godibile, come tutti gli altri della sua notevole bibliografia. Mi mancherà. Leggetelo.
Recensioni
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«Ero sempre più sconvolto. Osservare il melo bruciato mi riempiva di dolore e disgusto. Era una sorta di affronto alla memoria dei miei nonni. Mi immaginai che quell’albero avrebbe prodotto frutti neri e puzzolenti. Nessuno avrebbe potuto mangiarli. Era vivo ma comunque morto.»
Nel mar Baltico non ci sono più persici, gli abiti sono tutti made in China e nelle conversazioni quotidiane risuonano sempre più spesso accenti forestieri. È la lenta e inesorabile vecchiaia della Svezia, che in Stivali di gomma svedesi l’indimenticato e indimenticabile giallista Henning Mankell (famoso soprattutto per il suo commissario Wallander) ci mostra in tutta la sua dignitosa fragilità. Fragilità incarnata in un medico settantenne, Fredrik Welin, che scavato dall’età e dalle delusioni si trova a dover fare i conti con un passato e una casa completamente distrutti, bruciati in un incendio a cui lui, con ai piedi due stivali di gomma sinistri, è scampato per un pelo.
In questo romanzo, però, il filone giallo è quasi secondario. Più che scoprire chi sia stato ad appiccare l’incendio alla casa di Fredrik, il vero mistero è scoprire se il protagonista riuscirà a far fronte al cambiamento che la perdita della sua casa, quella in cui ha vissuto per anni e che conteneva i ricordi di una vita, ha portato con sé. Come sembra suggerirci Mankell, infatti, sia lui che la Svezia si trovano davanti a una perdita di storia, di memoria e soprattutto di centralità apparentemente irrecuperabili: si ritrovano spaesati, vecchi e deboli in un mondo di giovani fin troppo veloce e confusionario; il paesaggio attorno a loro è cambiato, e ciò che per anni è stato familiare e sicuro ora è divenuto estraneo; le persone non vivono più in comunità, ma si rintanano nell’indifferenza delle proprie case.
In un mondo del genere, a chi dovrebbe aggrapparsi Fredrik per sopravvivere? All’amore quasi adolescenziale per la giornalista Lisa Modin, di trent’anni più giovane? Al rapporto con la figlia Louise, che ha conosciuto ormai adulta, di fatto un altro tassello mancante della sua vita? Il tutto mentre la morte, unica sua certezza, lo attende quasi dietro l’angolo, alla fine di un cammino che a lui non sembra nemmeno aver iniziato.
Tra vigliaccherie e occasioni perdute, tra una bugia e un attacco di panico, in queste pagine Mankell ci mostra quel tempo ormai da molti bistrattato che è la vecchiaia. La quale si rivela quasi inevitabilmente una stagione triste e a volte disperata, spesso solitaria; e che tuttavia si apre al lettore, con tutte le sue insicurezze e le sue piaghe nascoste, alla ricerca non di compassione, ma della preziosa e (forse) irraggiungibile consolazione di non aver vissuto invano.
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