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Sul concetto di storia
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Sul concetto di storia - Walter Benjamin - copertina
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Descrizione


Le 19 "tesi" Sul concetto di storia, risalenti al 1942 ma pubblicate nel 1950, costituiscono una tappa fondamentale nell'evoluzione del pensiero di Benjamin. Il volume ne offre l'edizione critica, con il testo tedesco nelle sue successive stesure e varianti, una nuova traduzione italiana e un ricco materiale illustrativo. Agli apparati dell'edizione tedesca si sono infatti affiancati estratti da altre opere, frammenti o appunti inclusi nel "Passagen-Werk". Sono testi che documentano stadi significativi della riflessione di Benjamin in ordine ad alcuni concetti o figure centrali ripresi nelle "tesi". Il volume offre anche alcuni testi provenienti da una piccola cerchia di intellettuali, amici e interlocutori.
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Dettagli

1997
1 gennaio 1997
368 p.
9788806143947

Valutazioni e recensioni

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Cristiano Cant
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Solo a riportare, scegliendo con imbarazzo timido fra le tante, questa riflessione, autentica fucilata valida per ogni tempo storico, dovremmo azzittirci e meditarne la forza per ore e ore, pur uscendone ammutoliti per il portato di verità che la attraversa. La trascrivo in doveroso maiuscolo: "IN OGNI EPOCA BISOGNA CERCARE DI STRAPPARE LA TRADIZIONE AL CONFORMISMO, CHE E' IN PROCINTO DI SOPRAFFARLA. SE IL NEMICO VINCE, ANCHE I MORTI NON SARANNO PIU' AL SICURO. SOLO LO STORICO ALLORA HA IL DONO DI ACCENDERE NEL PASSATO LA FAVILLA DELLA SPERANZA". Ecco come parla un uomo, un uomo eccezionale, dal basso della sua condizione di esiliato, di fuggiasco, di suicida. Egli, mentre vive la tragedia della propria condizione, sta infondendo forza e lotta nel travaglio del suo inchiostro, sta dicendo alla Storia e a chi deve trasmetterla dove è la sua verità di dentro, il suo destino ideale: fra gli oppressi, fra gli ultimi, perchè lo stato di emergenza è la regola. Ed è questo che scorge l'Angelo nel suo essere sospinto - suo malgrado - verso il futuro: l'impotenza di chi è senza scampo, nel mondo in cui il potere armeggia coi suo artigli silenti, sottili, vendendo progresso nello stesso mentre in cui crea la disfatta. Le secche e le rabbie di un dolore personale, inascoltato e solo fra le macerie della guerra, possono far grondare pagine superlative, e sono quelle che abbiamo di fronte. C'è un uomo che tenta di scappare, di salvarsi. Non ci riuscirà. Ma avrà donato, nella sua corsa, un tale deposito di munizioni interiori e lasciti sensibili che varranno alla fine la sua stessa biografia poetica. Libro difficile e indispensabile insieme, la costruzione di una cattedrale d'intelletto incisa con scalpello antico e tuttavia vista sempre, alla fine, nei suoi meandri squisitamente umani, gli unici a lasciare davvero traccia e segno, verità e grandezza.

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Angelus Novus
Recensioni: 5/5

Con questo studio, l'umanità ha superato un nuovo processo di maturazione. Ciò che B. fa della storia dell'uomo ("...qualcosa come due secondi al termine di una giornata di ventiquattro ore", in rapporto alla storia della vita organica sul nostro pianeta) và oltre ogni orizzonte: per aprirne di nuovi e forse anche più veri di quelli a cui siamo abituati...

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Voce della critica


recensione di Cresto-Dina, P., L'Indice 1998, n. 3

Il titolo "Sul concetto di storia" è l'unico che Benjamin abbia assegnato al suo ultimo e impegnativo lavoro teorico. Utilizzato dopo la sua morte per il fascicolo commemorativo dell'Institute of Social Research di Los Angeles (1942), esso scomparve nell'edizione delle "Schriften* del 1955, quando fu introdotta la designazione "Tesi di filosofia della storia", conseguentemente ripresa nella prima antologia di scritti benjaminiani pubblicata in Italia ("Angelus Novus", Einaudi, 1962). Soltanto ai curatori del primo volume delle "Gesammelte Schriften* (Suhrkamp, 1974) si deve la sua definitiva riabilitazione. Proprio ai materiali convenuti in quest'ultima fondamentale edizione - alla massa degli appunti e degli scritti preparatori, alle lettere e alle testimonianze coeve, alle successive redazioni del testo - attingono Bonola e Ranchetti per esporre in tutta la sua ampiezza la costellazione teorica soggiacente alle tesi. Certo, non erano mancati fino a oggi tentativi di sottoporre agli strumenti della critica e della filologia il problema posto dal singolare laconismo e dall'estrema densità speculativa del testo. In nessun caso, tuttavia, rigore interpretativo e spirito filologico si erano espressi nell'allestimento di un laboratorio altrettanto ricco e articolato. Alla filologia occorre quindi in primo luogo fare riferimento, se si vuole comprendere l'intera portata dell'operazione.
Il volume contiene anzitutto una nuova traduzione italiana del lavoro, corredata di testo tedesco a fronte, note esplicative e confronto ragionato tra le varie versioni dattiloscritte oggi disponibili. I curatori hanno voluto apportare lievi emendamenti al testo delle diciotto tesi stabilito dagli editori tedeschi, ma soprattutto hanno inserito al penultimo posto, con la numerazione XVIIa, un frammento, già in precedenza riconosciuto come appartenente ai materiali preparatori, che lo stato della ricerca consente oggi di integrare a pieno titolo nel contesto principale. Questa scelta riflette più in generale la convinzione che, di fronte a un'opera che l'autore stesso non ha mai pensato di considerare conclusa (e che può essere forse intesa come una sorta di "promemoria teoretico", una sistemazione provvisoria di quelle riflessioni di ordine epistemologico e storico che attraversano in modo così pervasivo tutta l'ultima produzione benjaminiana), un livello relativamente "definitivo" della riflessione sia accertabile soltanto a partire dalla sovrapposizione delle sue principali stesure.
A questo nucleo testuale i curatori hanno però accostato una serie di indispensabili strumenti: tra questi spiccano, accanto a un'incompiuta versione francese redatta dallo stesso Benjamin, gli importantissimi materiali preparatori già forniti in apparato dalle "Gesammelte Schriften* e mai prima d'ora tradotti in italiano. Alcuni di questi frammenti possono essere intesi come un vero e proprio controcanto al lavoro principale e indicano spunti cui forse Benjamin pensava di dare sviluppo in una fase ulteriore della ricerca. Altri sono invece semplici formulazioni preliminari dell'una o dell'altra tesi, talvolta rivelatrici di livelli di significato successivamente messi in secondo piano.
Tra i materiali che mostrano una relazione diretta con il pensiero delle tesi un discorso a sé meriterebbe l'ampia selezione di appunti confluiti nei fascicoli del "Passagen-Werk", progetto a supporto del quale Benjamin aveva manifestato fin dal 1935 l'intenzione di porre una riflessione critica sulla teoria della conoscenza storica, in analogia a quanto aveva fatto dieci anni prima con la "Premessa gnoseologica" al saggio sul "Dramma barocco tedesco". La complessità delle relazioni documentabili a questo proposito giustifica tanto il repertorio di lemmi curato da Gianfranco Bonola, che occupa quasi un terzo dell'intero volume ed è costituito dall'analisi delle occorrenze terminologiche riscontrabili nei vari contesti di lavoro riguardanti il piano delle tesi, tanto la proposta di una serie di documenti dalla cerchia degli amici e degli interlocutori più stretti, che informa del clima spirituale all'interno del quale prese avvio l'elaborazione dello scritto. Chiude il volume un'esauriente bibliografia, in grado di testimoniare della vitalità che ha caratterizzato negli ultimi decenni la ricezione del saggio benjaminiano e il dibattito intorno ad esso.
Si è detto che le tesi "Sul concetto di storia", redatte nel corso del 1940, sono con ogni probabilità l'ultimo scritto cui abbia lavorato Benjamin. Le tragiche circostanze della morte del loro autore, suicidatosi nel settembre dello stesso anno presso il confine franco-spagnolo mentre con un gruppo di esuli tentava di sfuggire alla polizia di Vichy, hanno contribuito a far sorgere attorno ad esse il problematico alone che circonda ogni testamento spirituale. È stato spesso ricordato - sulla base delle dichiarazioni rese a Gershom Scholem dallo scrittore Soma Morgenstern, che aveva incontrato Benjamin a Parigi nel corso delle prime settimane di guerra - lo stato di depressione in cui si trovava Benjamin dopo la notizia del patto di non aggressione firmato tra Hitler e Stalin nell'agosto del 1939, che secondo alcuni interpreti si rifletterebbe nell'allusione della X tesi al tradimento perpetrato dai "politici nei quali avevano sperato gli oppositori del fascismo".
Il nesso delle tesi con l'emergenza storica e con i problemi posti dalla situazione politica mondiale deve essere però considerato alla luce delle loro più autentiche intenzioni teoriche. La riflessione che ne costituiva il fondamento sembrava allo stesso Benjamin scaturire, prima ancora che dallo "choc" della nuova guerra, dall'esperienza complessiva della sua generazione di fronte alle grandi trasformazioni dei primi decenni del secolo. Da questo punto di vista l'imminenza del pericolo rendeva non più dilazionabile la ripresa e la radicalizzazione di un nucleo di pensieri cui egli da molti anni non aveva cessato di rivolgere l'attenzione. Si trattava di quella critica del concetto di progresso e di quella riflessione epistemologica sulla storia che percorrono come un fiume sotterraneo una parte così cospicua dei suoi scritti maggiori. La forma in cui gli eventi militari avevano ripreso il loro corso metteva più che mai in crisi l'idea che il fascismo europeo potesse essere considerato quale una sorta di "parentesi", una semplice rottura nel "continuum" progressivo della storia, e rivelava al contempo quanto poco filosofico fosse lo stupore per la sua comparsa nel pieno del nostro secolo, "come se esso non fosse - secondo il lapidario commento di Brecht alla VIII tesi - il frutto di tutti i secoli".
Sappiamo quanto la critica della concezione progressiva e finalistica della storia si fondi nelle tesi sulla critica dell'idea di tempo come "continuum" "omogeneo e vuoto". Ad essa viene contrapposto con il concetto di "Jetztzeit" ("adesso", "tempo-ora") un modello di temporalità "disomogenea", cioè non omologabile alla temporalità lineare delle scienze naturali, e "piena", in quanto attraversata dalle relazioni attualizzanti che si stabiliscono di volta in volta tra determinati momenti del passato e l'istante assolutamente fuggevole e peculiarmente caratterizzato di chi al presente attinge conoscenza storica. In questo senso il rilievo sull'emergenza storica che costituì lo sfondo per la genesi delle tesi (il fascismo, la guerra) viene reso solidale con l'impianto teorico dello scritto: "ogni" autentica conoscenza storica, lungi dallo scaturire dall'immedesimazione storicistica con un patrimonio culturale dato una volta per tutte e oggettivamente ricostruibile sulla base di istanze metodiche, dipende in realtà dalla possibilità di afferrare un'immagine del passato come ricordo che si offre in modo imprevisto e assolutamente unico nell'istante del pericolo. La conoscibilità e la "citabilità" del passato poggiano in primo luogo sull'urgenza con la quale esse si impongono come compito allo storico che non intenda farsi strumento dei vincitori della storia.
Se in quest'ultimo senso il pericolo minaccia anzitutto il presente dello storico, è nella forma dell'oblio che l'intera tradizione degli oppressi rischia di scomparire: "Neppure i morti saranno al sicuro dal nemico, se vince. E questo nemico non ha smesso di vincere" (tesi VI). La concezione storicistica della storia universale - la confutazione della quale costituisce la "pars destruens" delle tesi benjaminiane - rappresenta il tentativo di immedesimazione in un passato che coincide in massima parte con la storia scritta dalle classi dominanti. Ma proprio questa storia, apparentemente lineare, continua, progressiva, è, nella sua più autentica essenza, catastrofe. In un frammento poi parzialmente cancellato da Benjamin leggiamo: "La catastrofe è il progresso, il progresso è la catastrofe. La catastrofe in quanto "continuum" della storia". È qui in atto - secondo la parola dei curatori - quella ""visio altera" della storia, di natura metafisica e trascendente", che nella IX tesi è affidata all'enigmatica figura dell'angelo: "Dove "a noi" appare una catena di avvenimenti, "egli" vede un'unica catastrofe, che ammassa incessantemente macerie su macerie e le scaraventa ai suoi piedi".
Se è vero che le tesi, come suggerisce l'allegoria iniziale della partita a scacchi, mettono in scena una disputa "intorno al vero concetto di storia", è allora evidente come l'ultima parola non venga senz'altro lasciata alla rassegnazione, alla disaffezione nei confronti del mondo, e tantomeno a quella curiosità distratta nella quale già Nietzsche individuava la radice nichilistica di ogni atteggiamento storicistico.
Certo, l'angelo della storia non può trattenersi come vorrebbe, né "destare i morti e riconnettere i frantumi". Ma mentre egli deve limitarsi alla lucidità della visione, Benjamin sembra assegnare proprio all'uomo quella "debole forza messianica" (tesi II) in grado di stabilire nella rammemorazione "un appuntamento misterioso tra le generazioni" della storia. La salvazione ("Rettung") del passato alla quale il presente è chiamato è duplice: se con il tentativo di strappare il passato oppresso alla tradizione dei vincitori è posto un problema di natura anzitutto epistemologica, che impegna il materialista storico nell'elaborazione di una nuova immagine della storia, con la richiesta di adempimento delle aspettative insoddisfatte del passato viene invece sollevata una questione di natura politico-emancipativa. In entrambi i casi si delinea - come ha visto Habermas - un drastico rovesciamento nei confronti di quell'orientamento esclusivo verso il futuro che è specifico della concezione della temporalità nel mondo moderno: la generazione di volta in volta presente diviene infatti responsabile non solo nei confronti delle generazioni future, ma anche nei confronti della sofferenza apparentemente irreversibile dei vinti di ieri, così come di ogni esistenza individuale sacrificata sull'altare della storia.


LE EDIZIONI ITALIANE

Con pochissime eccezioni, gli scritti di Benjamin sono stati pubblicati in Italia da Einaudi. Il progetto di un'edizione critica e sistematica delle "Opere di Walter Benjamin", curato da Giorgio Agamben a partire dai primi anni ottanta, si discosta dalle "Gesammelte Schriften* tedesche per l'impostazione cronologica della materia. L'impresa ha avuto per ora una realizzazione parziale. Sono usciti cinque dei dodici volumi previsti, con una veste editoriale purtroppo non omogenea: il primo volume ("Metafisica della gioventù. Scritti 1910-1918"), il secondo ("Il concetto di critica nel romanticismo tedesco. Scritti 1919-1922"), e il quarto ("Strada a senso unico. Scritti 1926-1927") hanno trovato posto nella collana "Einaudi letteratura", il quinto ("Ombre corte. Scritti 1928-1929") nella "Nuova Universale Einaudi", l'undicesimo ("Parigi, capitale del XIX secolo. Progetti, appunti e materiali 1927-1940") nei "Millenni". La stessa casa editrice ha pubblicato nel corso degli anni un gran numero di opere e raccolte parziali, molte delle quali contengono testi importanti non ancora confluiti nell'edizione critica. Oltre all'antologia "Angelus Novus", ricordiamo "Il dramma barocco tedesco"," L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica"," Avanguardia e rivoluzione"," Critiche e recensioni", "Infanzia berlinese"," Immagini di città, Sull'hascisch". La situazione non è molto felice per quanto riguarda l'epistolario benjaminiano. Le uniche edizioni disponibili in lingua italiana sono assai parziali: le einaudiane "Lettere 1913-1940" rappresentano una scelta dei due volumi dei "Briefe" pubblicati in Germania nel 1966 (a loro volta già frutto di una selezione compiuta da Gershom Scholem e Theodor W. Adorno), mentre il carteggio Benjamin-Scholem, edito sempre da Einaudi con il titolo "Teologia e utopia", si limita agli anni 1933-40. Infine, Adelphi ha pubblicato "Uomini tedeschi", antologia presentata e commentata da Benjamin di lettere scritte da rappresentanti più o meno noti della cultura tedesca nel periodo tra il 1783 e il 1883.


LA VITA E I LIBRI

1892 Nasce il 15 luglio a Berlino in una famiglia di ebrei benestanti.
1912 Si iscrive alla Facoltà di filosofia dell'Università di Friburgo, dove segue i seminari di Heinrich Rickert.
1913 Si reca per la prima volta a Parigi. Inizia a partecipare alle attività del movimento giovanile berlinese.
1915 Fa amicizia con Gershom Scholem. Frequenta all'Università di Monaco le lezioni del fenomenologo Moritz Geiger.
1916 Viene esentato dal servizio militare a causa di una malattia al nervo sciatico. Scrive "Sulla lingua in generale e sulla lingua dell'uomo."
1917 Sposa Dora Kellner e si trasferisce a Berna.
1918 Ha un figlio, Stefan Rafael.
1919 Fa amicizia con Ernst Bloch. Si laurea in filosofia con la dissertazione "Il concetto di critica nel romanticismo tedesco"."
"1920 Si trasferisce con la moglie a Berlino, a casa dei genitori.
1921 Compra il quadro di Klee "Angelus Novus". Scrive "Per la critica della violenza" e "Frammento teologico-politico"."
"1923 Decide di non seguire Gershom Scholem in Palestina. Pubblica un volume di traduzioni da Baudelaire e il saggio sulle "Affinità elettive" di Goethe.
1924 In viaggio a Capri, conosce la regista lettone Asja Lacis.
1925 Cerca senza successo di ottenere la libera docenza a Francoforte con la dissertazione sul "Dramma barocco tedesco". Comincia a tradurre la "Recherche" di Proust."
"1926 Inizia a soggiornare di frequente a Parigi. Scrive "Il compito del traduttore". Suo padre muore.
1927 Va a trovare Asja Lacis a Mosca. Inizia a lavorare al libro, che resterà incompiuto, sui "Passages" parigini (cfr. "L'Indice", 1986, n. 8).
1928 Incontra Hofmannstahl, con cui era da tempo in rapporto epistolare. Pubblica "Il dramma barocco tedesco" e la raccolta di aforismi "Strada a senso unico". Progetta un viaggio in Palestina, che non farà mai."
"1929 Fa amicizia con Bertolt Brecht e con Adorno e Horkheimer. Inizia a scrivere per la radio (cfr, "L'Indice", 1994, n. 2).
1930 Divorzia. Lavora a "Infanzia berlinese".
1932 Soggiorna per alcuni mesi a Ibiza.
1933 All'avvento del nazismo è costretto a lasciare la Germania. Comincia a collaborare con la "Zeitschrift für Sozialforschung" dell'Istituto per la ricerca sociale di Francoforte.
1934 Dopo alcune peregrinazioni per l'Europa, si stabilisce a Parigi.
1936 Pubblica "L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica".
1939 Viene internato per alcune settimane in un campo di raccolta francese nei pressi di Nevers.
1940 Scrive le tesi "Sul concetto di storia". Dopo la disfatta della Francia, fugge a Marsiglia. Privo di un visto d'uscita, cerca di passare illegalmente il confine, ma, bloccato dalla polizia spagnola a Port-Bou, si toglie la vita la notte del 26 settembre ingerendo una forte dose di Morphium.

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Walter Benjamin

1892, Charlottenburg (Berlino)

Filosofo e critico letterario tedesco di origine ebraica. Studiò a Berlino, Friburgo e Monaco e si laureò a Berna (1918) con una importante dissertazione sul Concetto di critica d’arte nel romanticismo tedesco (Der Begriff der Kunstkritik in der deutschen Romantik). Risale agli anni della giovinezza l’amicizia con G. Scholem, studioso della mistica ebraica, e con il filosofo E. Bloch. Tra il ’23 e il ’25 lavorò a un libro sul Dramma barocco tedesco (Ursprung des deutschen Trauerspiels), con il quale sperava di ottenere la libera docenza all’università di Francoforte; ma l’opera, che dietro la metafora dell’arte barocca cela un’audace applicazione del metodo dialettico all’arte moderna e alle sue categorie, prima...

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