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Bella vita e guerre altrui di mr. Pyle, gentiluomo
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Descrizione


Premio Strega 1996
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Dettagli

1997
Tascabile
9788804427490

Valutazioni e recensioni

3,33/5
Recensioni: 3/5
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Massimo Di Natale
Recensioni: 4/5

Il romanzo sarebbe perfetto se non si dilungasse talvolta eccessivamente in minuziose descrizioni che appesantiscono inutilmente la lettura, rendendola a tratti un po' noiosa. La verosimiglianza dei personaggi e degli avvenimenti è resa molto bene. La descrizione della battaglia di Jena regge il confronto con alcune pagine immortali di "Guerra e pace".

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Maurizio Ricci
Recensioni: 4/5

Si, ci sono pregi e difetti, come sottolineavano i commenti precedenti, ma a mio avviso i primi superano nettamente i secondi.....Un po' lungo e a tratti ripetitivo, ma resta una lettura assai soddisfacente

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Chiara
Recensioni: 3/5

Così così: questo libro ha i suoi pregi, ma anche i suoi difetti. Fra i primi: una ricostruzione storica (finalmente!) accurata e convincente (non per nulla l'autore è uno storico serio); un protagonista (finalmente!) salutarmente antipatico e sgradevole e non, come tanti altri eroi dei romanzi, miracolosamente immune dai pregiudizi tipici della mentalità della loro epoca; il lungo pezzo sulla battaglia di Auerstedt, decisamente verosimile. Fra i secondi: la parte centrale rischia di diventare, alla lunga, noiosa e ripetitiva, con quell'interminabile successione di incontri con vari personaggi, colloqui, ricevimenti, appuntamenti con prostitute, gli immancabili inviti a pranzo, ecc ecc.

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Voce della critica


recensione di De Federicis, L., L'Indice 1996, n. 1
(recensione pubblicata per l'edizione del 1995)

Come vincere la resistenza, nel momento decisivo, di una donna perbene? Il diciottenne Stendhal, arrivato da poco in Italia, annota nel "Diario", il 1| agosto 1801, un sistema infallibile che gli ha consigliato, dice, certo Percheron. Si tratta semplicemente, e con un po' di sangue freddo, di toglierle il respiro premendo il braccio sinistro contro il suo collo "come per soffocarla". Anche Mr Pyle, che di anni ne ha trentasei ma è americano, e quindi fanciullesco, il 17 agosto 1806 registra il sistema di cui il cugino Bill Pinkney gli ha vantato l'infallibilità, e sostiene di averlo applicato con successo per vincere la finta (dice lui) ripulsa di certa Victoire: "Le appoggiai il braccio sinistro contro la gola, minacciando di soffocarla". Così Alessandro Barbero, che ha creato Mr Pyle e il suo diario, riproduce fedelmente materiali d'epoca; e quanto più simula la verità storica, tanto più realizza l'idea novecentesca e sperimentale di "letteratura come menzogna". Il suo racconto però non pratica nessuno degli scardinamenti che mettono in difficoltà il lettore nei testi di sperimentazione. Anzi, è sempre agevole (perché il tempo vi scorre lineare); leggibile e godibile ad apertura di pagina. Il gentiluomo Pyle, inviato da Washington a Berlino con il compito di osservare e riferire, sbarcato ad Amsterdam il 13 luglio, viaggia in compagnia del servo Will, negro (parola di Pyle), incontra gente d'ogni sorta e prende appunti in un suo libriccino percorrendo Olanda, Germania, Polonia, fino alla giornata del 14 ottobre, quando la sconfitta dei prussiani e un brutto malore, dovuto a cause strettamente personali, ne affrettano il ritorno. Barbero, dopo quasi 650 pagine di diario, di cui un'ottantina impiegate nella sola descrizione della battaglia, toglie di scena il personaggio con sveltissimo epilogo.
Si esita a chiamare romanzo storico una struttura narrativa che restituisce procedimenti in uso prima della codificazione del genere. Una struttura dove, in tanto affollarsi di cose e persone, e intrecci di vicende individuali trascinate dal flusso collettivo, manca quella vicenda dominante, quell'attenzione concentrata sul destino dei protagonisti, a cui il gusto ottocentesco ci ha abituati. La novità del libro è in questo tornare indietro. La sua qualità è affidata all'invenzione di una voce narrante per molti aspetti straordinaria. Il primo, è che tale voce narra in prima persona senza essere la voce dell'autore, bensì alla maniera dei romanzi settecenteschi (di "Moll Flanders", per esempio). Il secondo, è che la voce retrodatata, e non autobiografica, permette a Barbero di trascurare i buoni sentimenti e il linguaggio d'obbligo politically correct. Egli scarta così un bel numero di impacci. E scarta inoltre (è un terzo aspetto) le insidie poetiche a cui cede talora il romanzo italiano. Fra una lingua che rifletta la materia rappresentata e una lingua espressiva d'autore, Barbero ha scelto la terza strada: lingua neutra, lingua d'oggi, comune all'autore e al lettore, con anacronismi voluti e poche sbavature casuali. Il lettore si presuppone però istruito, e quindi in grado di apprezzare il ritmo delle frasi, la lieve patina desueta del lessico, le molte citazioni esplicite e l'incorporazione qua e là di figure e calchi anche del tutto straniati e fuori contesto: come la giovinetta scalza di Gozzano (ma qui è polacca) che scivola nel letto padronale portando con sé "il gelo del mattino". E di apprezzare gli incontri con pensatori e letterati dal nome illustre, e il loro abbassamento ironico nella corporalità e quotidianità, in tristi interni familiari o in gesti vani, pose, manie, follie.
Infine: la voce dell'innocente viaggiatore e libertino Pyle, intonata alla socievolezza, narra l'avventura dell'esistenza, e degli amori e della morte, con pura curiosità descrittiva. Barbero tiene il libro al di qua della convenzione romantica e melodrammatica. Rischia la noia, pur di negarci (e negarsi) la retorica delle passioni.
Ma non può impedirsi di avere il comune, attuale, sapere di sfondo e un aggiornato deposito simbolico, a cui attinge nella selezione dei possibili narrativi. Vede ebrei brulicanti e minacce di fuoco a Varsavia; e a Dresda monumenti d'arte, scampati al bombardamento di Federico II, "un vandalismo irripetibile in questo secolo illuminato" (annota Pyle). Ha certo in mente i dialoghi dei film in costume, e forse gli spazi dei western e l'immagine sporca usata da Sergio Leone. È vero, e dice bene Tortarolo, che Pyle frequenta le celebrità, e re, ministri, generali; ma anche, e dappertutto, trova serve soldati cavalli, fatica fisica, caldi e freddi, bisogni elementari di sesso e cibo. Confusione della vita e nessun senso apparente in quel che succede, è l'effetto conclusivo di questo libro atipico, destinato a lettori congeniali.


recensione di Tortarolo, E., L'Indice 1996, n. 1

Gli americani che visitarono per le ragioni più varie i paesi europei dopo la creazione degli Stati Uniti d'America nel 1776 furono numerosi, alcuni, come Jefferson e Franklin, famosissimi; molti fra loro scrissero diari, lettere, memorie e osservazioni facilmente accessibili. A questa ampia letteratura Alessandro Barbero ha aggiunto il diario di Robert Pyle, inviato straordinario del Congresso americano presso la monarchia Hohenzollern nel 1806. Si tratta com'è ovvio e dichiarato a chiare lettere nel frontespizio, di un romanzo. Ma lo statuto del libro, come cercherò di dimostrare, è ambiguo: di qui anche il suo interesse e la sua originalità, il suo aggancio, da un punto di vista certamente nuovo, alla discussione corrente sui limiti, fluidi e secondo alcuni inesistenti, tra finzione e ricostruzione storica. Barbero ha costruito un lucido paradosso.
Racconto inventato, esibisce un'accumulazione di particolari della vita politica, sociale e intellettuale, storicamente veri ciascuno per sé e frutto di indagini accurate; diario scritto, si dice nell'introduzione, in fretta e tra mille difficoltà, offre al lettore dettagliate e precise descrizioni di luoghi e avvenimenti, riporta dialoghi articolati su una scelta significativa di questioni diplomatiche, filosofiche, estetiche di enorme complessità nei mesi drammatici che precedettero la battaglia di Jena-Auerstedt. Il protagonista-autore ha, come il suo testo, una natura doppia: non visse di vita propria, è assente dagli archivi e dai dizionari biografici, ma tutto quanto dice di se stesso lascerebbe intendere il contrario iscrivendosi in una solidissima rete di rimandi del tutto concreti. Mr Pyle non è mai esistito, ma ciò nonostante fu cugino di William Pinkney (1764-1822), giurista, politico e diplomatico, che da Annapolis, Maryland, fu inviato due volte, per lunghi periodi, a Londra come rappresentante diplomatico degli Stati Uniti, incarico nel quale si distinse per aver raggiunto nel 1807 uno sciagurato accordo con il governo inglese, tanto pregiudizievole per gli interessi americani da non essere neppure preso in considerazione dal presidente Jefferson. Dal punto di vista dell'inefficienza diplomatica Mr Pyle non la cede in nulla al cugino Pinkney, pur non eguagliandone la bizzarria di carattere n‚, a quanto possiamo leggere, la grandezza oratoria. Più dell'"odioso John Quincy Adams", che lo precedette come plenipotenziario a Berlino e come autore (vero) del resoconto epistolare di un viaggio in Slesia nel 1801 e 1802 ("Letters on Silesia", London 1804), Mr Pyle è straordinariamente fortunato: Adams era ben provvisto di lettere di presentazione, ma ben poche personalità riuscì a incontrare finendo per dedicarsi, per nostra fortuna, soprattutto all'alpinismo e alla ricerca documentaria, mentre il suo successore non riesce a muovere un passo senza imbattersi in una celebrità: da Clausewitz a Rahel Varnhagen e Jan Potocki, da Fichte e E.T.A. Hoffmann al sommo ma vanitoso Goethe (ben due volte), senza contare re, ministri e generali. È un contesto che mostra un forte grado di realtà documentaria: contagia la natura fittizia di Mr Pyle, lo trasforma in interlocutore verosimile di dialoghi che paiono riemergere dal fondo della nostra cultura generale. Che cosa c'è di più verosimile che sentire Clausewitz esclamare: "C'è una sola chiave capace di aprire le porte della vittoria, ed è il morale degli uomini"? Oppure di vedere E.T.A. Hoffmann discutere di musica, tracannare punch in un locale fumoso e infine urlare: "Sono il pittore Molinari, Molinari..."? Sono ondate di realtà, dove la distanza tra i testi e i loro autori è annullata nell'immediatezza della registrazione diaristica. Le folate di rievocazione attenta e sensibile si intrecciano talvolta con situazioni simpaticamente anacronistiche, dove una folla variopinta di personaggi indulgono a deliri razziali, premonizioni geopolitiche e vaticini sullo spirito democratico, talvolta con l'eterno presente, terribilmente ingombrante, delle pulsioni sessuali, talvolta con quadretti aneddotici da "Settecento galante". A dispetto, ma forse proprio a motivo, della massiccia presenza di "storia", il risultato è un fluire di narrazione in cui passato, presente e futuro sfumano l'uno nell'altro. Il paradosso è che tanto quanto i singoli "fatti veri" danno tono e senso all'invenzione romanzesca, altrettanto il loro sommarsi allontana il lettore dalla Mitteleuropa in età napoleonica, dai suoi uomini, dai suoi dubbi e dalle sue ansie. "Non ci si aspetti, quindi, di trovare in queste pagine materiali utili per il lavoro dello storico", avverte Mr Pyle: da credere sulla parola, una volta tanto, contro ogni evidenza.

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Conosci l'autore

Alessandro Barbero

1959, Torino

Scrittore e storico italiano. Laureato in Storia Medioevale con Giovanni Tabacco, nel 1981, ha poi perfezionato i suoi studi alla Scuola Normale di Pisa sino al 1984. Ricercatore universitario dal 1984, diventa professore associato all’Università del Piemonte Orientale a Vercelli nel 1998, dove insegna Storia Medievale. Ha pubblicato romanzi e molti saggi di storia non solo medievale. Con il romanzo d’esordio, Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle gentiluomo, ha vinto il Premio Strega nel 1996.Collabora con La Stampa e Tuttolibri, con la rivista "Medioevo", e con i programmi televisivi ("Superquark") e radiofonici ("Alle otto della sera") della RAI. Tra i suoi impegni si conta anche la direzione della "Storia d'Europa e del Mediterraneo" della Salerno Editrice. Tra i suoi...

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