Le dimensioni dell'ultimo lavoro di Barilli (578 pagine senza gli apparati) portano subito a commisurarlo alle promesse avanzate dal titolo. Come questo enuncia, è una storia delle arti figurative che aspira a essere annoverata tra i lavori scientifici. Ma, se è così, le sue dimensioni la assimilerebbero ai manuali. La si potrebbe, allora, qualificare come la riscrittura di un manuale liceale di storia dell'arte secondo criteri che forniscano un punto di vista innovativo o laterale sull'argomento. E proprio questo segnala il titolo, che vuole mettere in rapporto arte e cultura materiale. La prima sorpresa la si ha però quando si scopre che non vi si parla di cultura materiale nel senso corrente, cioè di quel difficile ambito di studi che mirano ad analizzare una cultura a partire dai suoi elementi tangibili, oggettuali. Il tema è un altro e, conseguentemente, il metodo non sarà quello della storia della tecnica o dell'economia, né quello dell'antropologia culturale. Sul metodo adottato ci informa onestamente l'introduzione, dove, sottolineata la preminenza dei fattori tecnologici su quelli economici, sociali e politici, si precisa che l'umanità è come la conosciamo non per il solo possesso della tecnologia, ma ugualmente "per il fatto (
) di aprire una fase meditativa su quegli stessi utensili che sta usando". Ne va dunque dell'articolazione della totalità della cultura in due livelli: "quello basso-materiale e l'altro alto-simbolico". Il racconto della storia dell'arte secondo una tale articolazione sarebbe davvero interessante; senonché, a partire da qui, si incorre nella vera sorpresa. Evocati i propri mentori (Saussure, Goldmann, McLuhan, Wölfflin) Barilli confessa che "il materialismo culturale che qui si segue (
) evita come un pericolo mortale un riferimento troppo preciso e puntuale ai fattori materiali". Ciò che davvero interessa a Barilli non è la cultura materiale, né la tecnica, bensì qualcosa che si potrebbe chiamare immaginario tecnico-scientifico. Ma anche così (e pure sorvolando su alcune perplessità riguardo a ulteriori scelte metodologiche: soprattutto, l'uso del concetto goldmanniano di omologia e il peso spropositato assegnato al "fattore generazionale") il progetto rimarrebbe interessante. Purtroppo, però, il lettore giunge presto a sospettare che l'immaginario tecnico-scientifico sul cui sfondo si vorrebbe riscrivere la storia dell'arte è un immaginario affatto personale: suggestivo, visionario, ma privato. Se ne sarà certi quando, introdotto Canova, la vera trama viene allo scoperto: al caso di questo artista si può finalmente "applicare per intero lo spettro che muovendo dalle prime intuizioni dell'Es (
) giunge alle dure repressioni dell'Ego, come vuole l'anticipo sulla dottrina di Freud di cui è capace l'alba del contemporaneo, in sinergia con la formula poi messa a punto da Einstein (
) del vincolo di continuità da un primordiale scatenarsi di energia fino al suo fissarsi in una materia sordida e opaca". La trama sarebbe, insomma, quella della sconfitta della modernità (rappresentata da un Gutenberg fuso con Leon Battista Alberti) per merito dell'elettromagnetismo, consumata da Einstein, il quale ci insegna "che i fenomeni cosmici si muovono liberamente nello spazio-tempo". Infine, in questo Beziehungswahn la libertà con cui scorre la penna di Barilli avrà forse dato più piacere all'autore che al lettore. Pietro Kobau
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