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Una liricità mediterranea di Luca Pagani La mostra di Alex Corno “Works / Milano-Dallas”, che si tiene quest’autunno 2015 alla Valley House Gallery, fa nascere nel visitatore una domanda insolita; perché un gallerista texano si appassiona a tal punto all’opera di uno scultore italiano da organizzargli una mostra personale? La domanda è quanto mai lecita per il fatto che l’artista in oggetto si cimenta con gli stessi elementi poveri (ferri di recupero, saldature grossolane, ruggini o patinature manuali) di molti scultori statunitensi suoi contemporanei che, a differenza sua, sono gli eredi diretti dei David Smith, dei Joel Shapiro, dei Robert Rauschenberg, degli Alexander Calder e dei Mark di Suvero che a partire dagli anni ’50 hanno gettato le basi di questo nuovo modo di fare scultura. Cosa aggiunge Alex Corno alla ricerca degli artisti d’oltre oceano? Rispondo con le parole del grande architetto Mies van der Rohe: “Dio è nei dettagli”. Ed è anche nei dettagli della scultura di Corno che possiamo comprendere la sua unicità. La composizione delle forme, che Corno sa calibrare magistralmente, non è sufficiente a distinguerlo e a definirlo. Lo stesso dicasi per i materiali che utilizza e per le finiture che applica; con essi raggiunge equilibri di alta levatura, senz’ombra di dubbio. Ma è nel dettaglio che scopriamo qualcosa in più. Ma quale dettaglio dobbiamo osservare? Uno qualsiasi? Certo che no. Inutile guardare il dettaglio del bordo irregolare del ferro recuperato da un taglio al laser, inutile osservare il dettaglio di una cresta di uno scarto di fusione, inutile soffermarsi sulla gocciolatura di una patina. Certo, tutte cose che nel complesso hanno un loro sapore e che creano attriti e dialoghi interessanti tra gli elementi. Ma non sono questi i preziosi dettagli che fanno la differenza. Siamo ancora troppo in superficie. Entriamo nell’opera e guardiamo a particolari meno eclatanti, osserviamo attentamente dove certi raccordi nascondono forme che ...
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