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I coniugi Gaudenzio e Martina Gibella finalmente, dopo venti anni che vagheggiavano di esaudire un loro sogno, partono in treno per una vacanza sul lago d’Orta. Sono “toghi”, come si dice in Toscana, ossia impacciati e buffi, e già l’abbigliamento balzano li smaschera. Vengono dalle risaie della Lomellina, da Sannazzaro, un paesucolo dove possiedono una drogheria ben avviata. Cagna ci avverte che troveremo il vernacolo a dar sapore alla sua scrittura, e già ne fa uso a spaglio per ammonirci di tenergli dietro con attenzione, cosa che mi son proposto di fare diligentemente, se non che son balzato sulla sedia quando ho letto che tutti quei viaggiatori scendono a Gozzano. Là ho passato giorni memorabili e affascinanti tra il dicembre del 1965 e il gennaio del 1966, responsabile come sottotenente di complemento della vigilanza del deposito della Divisone Centauro, di stanza a Bellinzago, Novara. Sotto rade luci gialle, con gli scarponi affondati nella neve, di notte salivo tutto solo alle casermette delle pattuglie, ed incontravo lungo il percorso circolare le varie sentinelle in perlustrazione alle quali, chiamato da lontano a presentarmi, gridavo la parola d’ordine. Vi passai il Natale e il Capodanno nell’allegria della gioventù. La vacanza tanto attesa tramortisce i nostri sprovveduti protagonisti, non sono abituati e non sanno come trascorrere il tempo, e ogni piccolo inconveniente rischia di mettere zizzania tra di loro. Per fortuna ci sono occasioni di feste paesane che li distraggono. Sono anche occasioni per l’autore di tramandarci usi e costumi di quei luoghi in quel tempo (fine Ottocento), cose che conosciamo per essere state comuni anche in tanti altri luoghi della nostra penisola, ma che si leggono con piacere, legate ad una filosofia del vivere che non c’è più. Sono i momenti importanti del libro, ai quali planano sempre, per distendersi e rappacificarsi, l’impaccio e la dabbenaggine dei personaggi. La trattoria del Merlo Bianco, dove i due coniugi, in compagnia del curioso professore Amadeo, si
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