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Animazioni e incantamenti. Ediz. illustrata - Gianni Celati,Carlo Gajani - copertina
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Animazioni e incantamenti. Ediz. illustrata - Gianni Celati,Carlo Gajani - copertina

Descrizione


"Il chiodo in testa", "La bottega dei mimi" e altri testi sul teatro e sulle immagini

«Gianni Celati per quasi quarant'anni è stato un prezioso sismografo, registrando in anticipo i sommovimenti che attraversavano la cultura e la società italiana.» - La Repubblica

«In "Animazioni e incantamenti" si documenta il rapporto con il fotografo Gajani e il piacere di sperimentare da parte di un intellettuale fuori dagli schemi» - L'Unità

"Animazioni e incantamenti" si apre con "Il chiodo in testa La bottega dei mimi", uno stralunato romanzo epistolare dalla forte componente erotica e una serie di (pseudo) didascalie "teatrali" a corredo di azioni mimiche Due testi mai più riproposti dal 1974 e dal 1977 - quando vennero pubblicati da una raffinata sigla di edizioni d'arte, la Nuova Foglio Editrice di Poi lenza -, due «oggetti soffici» impossibili da circoscrivere e definire (fotofarse? mimoromanzi?) e sostanziati del rapporto - obliquo, instabile, appunto «soffice» - fra le parole di Celati e le immagini di Carlo Gajani, che precedette Luigi Ghirri quale mentore del narratore nell'intersezione fra scrittura letteraria e immagine fotografica. In essi mai luna si fa didascalia, né l'altra illustrazione, vivendo invece di un felice rapporto di insubordinazione reciproca. Seguono, nel volume, un'ampia scelta di scritti, mai raccolti in precedenza, che Celati ha dedicato in un lungo arco di tempo (dal 1966 al 2005) alle immagini dell'arte e della fotografia, compresi alcuni dei bellissimi testi su Ghirri degli anni Ottanta e Novanta: a documentare un sodalizio celebrato e ormai storicizzato. Al di là del loro intrinseco valore, questi saggi - sul «parlato come spettacolo», il riso giullaresco, l'identità in maschera: «animazioni» sceniche e «incantamenti» contemplativi - sono con ogni probabilità i più importanti per capire un'avventura come quella di Celati che, sempre più, ci appare decisiva per il nostro presente e in cui gioca un ruolo cruciale - anche prima della "svolta" che lo ha portato negli ultimi anni a prediligere il racconto filmico rispetto a quello letterario - il pensiero sulle immagini e sul teatro. Nella materia visiva dei due iconotesti degli anni Settanta, come nella partitura concettuale degli scritti precedenti e successivi, ricorre la metafora teatrale. E il concerto fra scrittura e immagine è davvero un «teatro naturale» che - come quello di Oklahoma per Karl Rossmann, il profugo messo in scena da Kafka in America - ci propone, oggi come allora, un'ambigua quanto suggestiva ipotesi di salvezza.
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Dettagli

2017
19 gennaio 2017
451 p., ill. , Brossura
9788899793166

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RomagnaMia
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Antologia vintage celatiana

Si tratta di una curiosa antologia che mette insieme un paio di libri degli anni Settanta ormai introvabili - "Il chiodo in testa" e "La bottega dei mimi" - e altri testi sul teatro. Il grosso volume, ben 450 pagine, è in gran parte illustrato dalle immagini di Carlo Gajani.

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Voce della critica

Gianni Celati, l’utopia di un mondo non serio

Per molti tra coloro che, come chi scrive, non li hanno vissuti, gli anni Settanta italiani hanno il sapore forte di un’epoca contraddittoria, lontana e fascinosa, perduta nelle nebbie di possibilità e promesse mai avveratesi. Ogni volta che capita di tuffare le mani, gli occhi o le orecchie in qualcosa prodotto in quel decennio, lo stesso gusto dolceamaro torna ad affacciarsi. Ed è così anche nel caso delle due opere di Gianni Celati che Nunzia Palmieri meritoriamente ha appena recuperato per L’orma editore, Il chiodo in testa e La bottega dei mimi, due lavori fino a oggi difficili da reperire e noti solo per frammenti pubblicati in sedi sparse.

Vi ritroviamo intatta tutta la carica pacatamente, ma inesorabilmente, eversiva del primo Celati, fiero avversatore di quell’idea monolitica, monumentale e prescrittiva di realtà consegnataci dai ringhianti secoli-cerbero Otto e Novecento. Un’idea edificata a partire da alcuni incrollabili dogmi su come dovrebbe funzionare, e reggersi, ogni impalcatura sociale (dogma della rispettabilità), ogni assetto retorico-politico (dogma dell’assertività), ogni sistema ideologico-conoscitivo (dogma della dottrinarietà): insomma quanto avvalora e potenzia il paradigma moderno della serietà. È proprio l’idea di normalità come condizione mentale dell’uomo adulto educato che Celati mina alle fondamenta, scegliendo di assecondare quella che in Conversazioni del vento volatore (Quodlibet 2011) definisce «l’antica e fanciullesca vocazione del pagliaccio», ovvero imboccando senza esitazione la strada bachtiniana del mondo alla rovescia. Ecco perché uno tra i più genialmente irregolari maestri della letteratura italiana scelse, tra quaranta e cinquant’anni fa, di puntare tutte le sue carte sulla favola, sul teatro, sul mimo, sul travestimento, sullo sberleffo, sul gioco, elevando lo spaesato, il disambientato, l’inetto a figure esemplari di oppositori: per immaginare una rivoluzione che non si radicasse nel qui e ora (lì e allora) dei linguaggi letterari, giornalistici, partitici, ma che viaggiasse attraverso i secoli, saldando lo smisurato riso giullaresco alle bulimie di Rabelais, il Settecento sovradimensionato/sottodimensionato di Swift ai set sovraffollati dei fratelli Marx.

A dominare queste Animazioni e incantamenti sono la dimensione artigiana dello spettacolo – attività necessariamente collettiva e non solipsistica – e l’idea che l’ignoranza, l’inconsapevolezza, l’incoscienza e la marginalità debbano sempre guadagnarsi il centro della scena. Il chiodo in testa è un’opera paradigmatica di tutti questi aspetti, un lavoro di grande interesse per gli studiosi celatiani ma raccomandabile anche come ottimo viatico all’opera dello scrittore. Risalente al 1974, il libro presenta evidenti consonanze con la stagione di Comiche e Le avventure di Guizzardi, di cui in un certo senso costituisce la naturale evoluzione in direzione transmediale. Lo compongono una serie di missive che l’anonimo Z. invia a tale Giovannina, amato fantasma sessual-amoroso che forse esiste solo nella sua mente; le lettere sono intervallate da immagini – una serie di fotografie scattate da Carlo Gajani – che corrispondono alle visioni di Z. Di conseguenza, mentre la pagina scritta registra pensieri e (s)ragionamenti di Z., alle tavole fotografiche spetta il compito di dar corpo al suo allucinato teatro mentale, che è un impasto di languido erotismo e paranoia galoppante, il tutto infarcito di fantasie persecutorie rivolte contro un dio-fotografo voyeur e torturatore. Tra Pinocchio, che qui ci pare il sottotesto più forte (il chiodo del titolo è stretto parente del Grillo Parlante, come lui tutore dell’ordine costituito), Beckett e la slapstick comedy, con l’invenzione di Z. Celati porta alle estreme conseguenze il personaggio dell’innocente-alienato, instancabile nel ricordare ossessivamente la propria condizione di «anima buona» («io che sono tanto buono e non ci penserei mai alla cattiva azione»), ma che infine viene condannato a una condizione di reclusione e isolamento, forse manicomiale, al quale paiono alludere non solo il testo d’autore ma le ultime cinque fotografie di Gajani, le quali ritraggono alcune finestre sbarrate (mancavano allora tre anni al ‘77 e ad Alice disambientata, quattro alla legge Basaglia).

L’altro lavoro recuperato, La bottega dei mimi (1978), realizzato in coppia con l’amico Pascal Gabellone e in qualche caso con l’intervento dell’attrice Nicole Fiéloux, è un divertente resoconto di azioni sceniche fissate su pellicola dall’occhio complice di Gajani. Producendosi in un «singolare repertorio di favole minime» (Palmieri), la coppia comica Celati-Gabellone gioca col tema della rappresentazione, dimostrandone la natura fasulla, convenzionale; le loro apparizioni in veste di maghi, marinai od operai non hanno alcun intento o valore dimostrativo, gli oggetti che accumulano sono cianfrusaglie insufficienti a fare davvero un’identità: è un mondo umile fatto di figurine bidimensionali, buone solo per raccontare «le favole di disgraziati che piacciono tanto agli arrivati». Qui il faro è rappresentato da Harpo Marx, «mimo energumeno» come lo definisce Celati, maestro di un perennemente carnascialesco votarsi alla dissacrazione, allo sberleffo, alla trivialità gratuita come pratica liberatoria, gesto salutare (anche se a volte la morale c’è; cito ad esempio questa didascalia che riscrive il tradizionale adagio dei moralisti medievali, pecunia stercus diaboli: «la favola della pentola del tesoro che faceva odore di merda e il rumore dell’oro»).

Nella seconda parte, il volume confezionato da Nunzia Palmieri presenta una serie di testi saggistici d’autore mai raccolti prima, alcuni dei quali di grande rilievo; si segnalano in particolare il contributo sulla tradizione ideologica del riso e la storia dei generi letterari come storia dei conflitti di classe (Trobadori, giullari, chierici) e quello sull’utopia comica del corpo collettivo ( Il corpo comico nello spazio) che per molti aspetti possono essere letti come i due nuclei teorici forti dell’intero volume. Notevoli anche alcuni testi sulla fotografia di Luigi Ghirri e quelli sul teatro del sodale e amico Giuliano Scabia, ma a sorprendere sono soprattutto le pagine di Oggetti soffici, un denso saggio dedicato alla condizione del «soggetto d’esperienza contemporaneo», colui per il quale il mondo si divide in un’interminabile serie di «mi piace/non mi piace». Era il 1979 e Celati già aveva capito dove andava a parare l’era della post-verità: «l’inganno è star ancora a distinguere il vero dal falso».

Riccardo Donati

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Conosci l'autore

Gianni Celati

1937, Sondrio

Scrittore, traduttore e critico letterario italiano. Dopo aver trascorso l'infanzia e l'adolescenza in provincia di Ferrara, si laurea a Bologna con una tesi su James Joyce. Scrive articoli per numerose riviste come "Lingua e stile", "Il Verri", "Il Caffè". Nel 1971 pubblica per Einaudi - per volontà di Italo Calvino - il suo primo romanzo, «Comiche». Docente in varie università italiane, al Dams di Bologna ha fra i suoi allievi Pier Vittorio Tondelli, Enrico Palandri, Andrea Pazienza, Freak Antoni. Tra le sue opere più note edite da Feltrinelli: «Narratori delle pianure» (1985, premi Cinque Scole e Grinzane Cavour), la trilogia «Parlamenti buffi» (1989, premio Mondello 1990), «La banda dei sospiri. Romanzo d'infanzia»...

Carlo Gajani

1929, Bazzano

Carlo Gajani (Bazzano, 1929 - Zocca, 2009), dopo gli studi medici, a partire dal 1959 si è dedicato all’arte praticando incisione, pittura e fotografia. Ha tenuto varie mostre presso importanti gallerie in Italia, in Francia, in Germania e negli Stati Uniti, presenziando due volte alla Biennale di Venezia (1964 e 1972). Pioniere nell’esplorazione dei rapporti tra fotografia e pittura, ha lavorato principalmente sui generi del ritratto, del nudo e del paesaggio. Per molti anni ha insegnato Anatomia artistica presso le Accademie di Belle Arti di Urbino e di Bologna. L’ultima parte della sua produzione si è concentrata in particolare sulla valle del Po e sull’Appennino modenese delle origini. A Bologna ha sede una fondazione per l’arte contemporanea...

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