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Appunti sui moderni. Foscolo, Leopardi, Manzoni e altri
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Dionisotti, Carlo. Appunti sui moderni : Foscolo, Leopardi, Manzoni e altri. Bologna Il Mulino, 1996., Il Mulino, 1996. 11779 1010 Autore principale Dionisotti, Carlo <1908-1998> Titolo Appunti sui moderni : Foscolo, Leopardi, Manzoni e altri / Carlo Dionisotti Pubblicazione Bologna : Il Mulino, stampa 1996 Descrizione fisica 402 p. ; 22 cm. Collezione Collezione di testi e di studi. Linguistica e critica letteraria cartonato Ottimo

Dettagli

1988
400 p.
9788815017543

Voce della critica


recensione di Ferroni, G., L'Indice 1989, n. 3

Questo volume raccoglie saggi scritti e pubblicati da Dionisotti nel corso degli ultimi venti anni: il più vecchio (quello su "Leopardi e Compagnoni") risale al 1970; ma di gran lunga più numerosi sono quelli che risalgono agli anni '80, quattro dei quali recentissimi e inediti ("Leopardi e Bologna", "Preistoria del pastore errante", "Leopardi e Ranieri", "Appendice storica alla Colonna infame"). L'omogeneità e la compattezza del volume si impone subito pur nella varietà e ricchezza dei temi trattati: è facile e in un certo senso consolante riconoscere subito in ogni pagina il vigore dell'esposizione, il pacato e fermo procedere dell'indagine storica di Dionisotti, la sicurezza senza compiacimenti con cui egli interroga libri, persone, eventi di un passato lontano ma non remotissimo. In questi tempi di dispersione e di "disseminazione" della ricerca storico-letteraria, ogni pagina di Dionisotti appare come una precisa e severa difesa della serietà degli studi, del valore di una concentrazione su dati concreti, legata ad un più integrale orizzonte umano e civile: e questa difesa è tanto più forte e sicura in quanto è animata da un vigile senso del limite, conosce un uso tutto singolare ed originale della "sprezzatura", sa svolgersi attraverso l'ironia e un acuto senso della contraddizione.
I saggi rintracciano in vario modo le radici di un'Italia moderna, mai forse realizzatasi fino in fondo, ma a cui Dionisotti ha dedicato tutto il suo impegno di uomo e di studioso, tutta la sua battaglia culturale e civile: un'Italia verso cui egli vede muoversi tutte le grandi esperienze letterarie datesi tra la fine del '700 e la metà dell'800 e che sarebbe troppo riduttivo riassumere sotto l'etichetta del Risorgimento (la sua "modernità" appare soprattutto nel suo svincolarsi dai pesi morti di una tradizione secolare, nel suo voler conquistare un senso nuovo, laico e razionale, della vita pubblica: discrimino essenziale ne è l'esperienza della rivoluzione francese). Lo studioso trae alla luce queste radici ricostruendo tutta una catena di rapporti tra personaggi concreti, tra esperienze che si incontrano e si intrecciano, che spesso definiscono i loro caratteri e il loro senso nel loro scontrarsi e contraddirsi: per Dionisotti la storia della letteratura è prima di tutto una storia di uomini, di intellettuali che hanno nel mondo uno spazio definito e concreto e che lavorano per ampliare questo spazio, elaborando modelli culturali che possono essere tra loro molto diversi, ma che per essere validi devono saper concentrare esperienze rigorose, risolversi in opere all'altezza del presente, dei compiti civili che si pongono a chi vive in rapporto con gli altri.
Il senso degli svolgimenti, degli intrecci e dei contrasti che riguardano questi modelli culturali viene riconosciuto, nella storiografia di Dionisotti, non attraverso categorie storiografiche generalizzanti, n‚ attraverso schemi interpretativi onnicomprensivi o etichette derivate dalle strutture linguistiche, stilistiche, formali dei testi: la più nitida concretezza storica si rivela nella stessa evidenza fisica dei libri che hanno trasmesso quei modelli; lo storico cerca il contatto non con una vaga testualità (o con le svariate metafore critiche che possono definirla), ma con la materialità degli oggetti librari, dei loro contenuti, di ciò che essi vogliono essere nel mondo, degli scambi da essi suscitati, delle persone che li hanno letti o toccati, dei luoghi, dei giorni e degli anni in cui essi hanno circolato.
Per questo ogni saggio di Dionisotti è fittissimo di nomi e di cose, per questo la sua parola addensa sempre la più grande dose di cose circostanziate, di fatti e di dati. Non si tratta semplicemente di furore erudito, di ossessione "positivistica" dei fatti concreti (anche se l'eredità dell'erudizione positivistica è assunta da Dionisotti senza nessun complesso): è piuttosto un senso della particolarità irriducibile dell'esperienza storica, che costringe imperiosamente lo storico a confrontarsi con la consistenza fisica dei libri e delle loro parole. Questo senso della particolarità porta, d'altra parte, a procedere per linee tortuose, seguendo e discriminando il più vario accumularsi e mescolarsi di incontri e contrasti, oggetti e presenze; viene così rifiutata ogni sistematicità espositiva, ogni acquetamento del discorso storico in formule definitive e tranquillizzanti: il confronto con l'irriducibilità dei dati, col loro spesso imprevedibile presentarsi, deve mettere in questione ogni schematismo, ogni pretesa di suggerire tracciati storiografici omogenei e pomposamente risolutivi (restano lontanissimi da Dionisotti certi recenti esiti di rozzo schematismo formalistico o di piatta microerudizione, che pure pretendono di richiamarsi al suo modello: e del resto il grande studioso ha spesso amato sottolineare il suo rifiuto delle formule anche attraverso titoli ironici e minimizzanti, dalle "Machiavellerie" del 1980 a questi "Appunti sui moderni").
L'attraversamento infaticabile dei dati particolari e concreti comporta anche un ininterrotto dialogo con la tradizione degli studi con coloro che su quei dati si sono già fermati o che li hanno utilizzati, manipolati o magari trascurati; lo storico è sempre in colloquio con gli uomini concreti che lo hanno preceduto nel suo percorso, si sente vivacemente partecipe di una comunità di cui conosce bene le abitudini, i meriti e i difetti. Con essa (e talvolta contro di essa) ribadisce la sua fondamentale esigenza di rigore, di precisione, di concretezza: proprio perché il senso di un vero lavoro si trova non in schemi ideologici o metodologici precostituiti, ma nel modo in cui ci si accosta ai libri, in cui si scoprono i fasci di forze che essi mettono in moto (e che quindi riguardano tutti coloro che si impegnano a capirli, che li fanno rivivere nella ricerca: ma sarebbe incauto tentare di accostare questo senso di colloquio, essenziale nella storiografia di Dionisotti, con certe recenti prospettive dell'ermeneutica).
Da tutto il libro, dall'animato panorama di opere e di personaggi che lo costituisce, come dal modo in cui lo studioso si muove dentro di esso, si ricava il senso di un'Italia solida e proba, nemica di ogni faciloneria, di ogni provvisorietà, di ogni mistificazione, di ogni cialtronesca concessione a presupposti indefiniti e non verificati: vi si sente come una lotta, dello studioso e degli uomini stessi che egli studia, contro la retorica esteriore e d'accatto che ha tanto a lungo insidiato l'anima nazionale (e che oggi si prolunga in una risoluzione della cultura in immagine, in pedestre "spettacolarità" pubblica). Dall'Italia "moderna" a cui fa pensare Dionisotti è escluso ogni culto delle mitologie di facile confezione, ogni adattamento a schemi di pensiero e di comunicazione basati sulla vaghezza dell'analogia: i valori intellettuali che contano non vi si danno mai come gratuiti simulacri, come immagini esteriori ed emergenti in superficie, ma si pongono sempre come qualcosa di concreto, di saldamente individuabile e riconoscibile, prodotto dal lavoro, dall'impegno più razionale e rigoroso. E la funzione della ricerca storico-letteraria appare proprio quella di trarre alla luce questi valori, di discriminare le esperienze umane nella loro forza, nel loro rigore, senza piegare il giudizio a presupposti di altro tipo.
Ma il lungo e severo percorso di Dionisotti non può prescindere, nella tensione che lo anima, da scatti giocosi, da momenti di vero e proprio divertimento: lo sollecitano in tal senso le ostinazioni degli studiosi gli schemi che per forza d'inerzia sembrano incessantemente ripetersi nel linguaggio degli storici, ma spesso anche nelle reali esperienze storiche. Così egli può notare l'assurdità di certe continue deprecazioni del comportamento di Foscolo in Inghilterra ("Se il Foscolo avesse dato ascolto agli avvertimenti e incoraggiamenti che i moderni studiosi non cessano di propinargli, sarebbe giunto a trascorrere in Inghilterra un'agiata vecchiaia", p. 74); o la troppa corrività degli studiosi a chiamare in causa la censura, per risolvere le più diverse difficoltà interpretative ("solito chiodo su cui battono gli storici, quelli in ispecie che colla censura e colla polizia non hanno mai avuto a che fare", p. 345); o può ricordare quella curiosa "regola dell'orologeria politica, per cui quelli che in giovinezza ragionevolmente e cautamente si spostano dall'estrema sinistra verso l'aureo centro, col passar degli anni ragionevolmente precipitano verso l'estrema destra" (p. 346).
Nello scattare degli umori e delle frecciate del tipo più diverso (se ne potrebbe fornire un lungo, gustosissimo elenco) si verifica nel modo più cordiale come la tensione storica di Dionisotti sia sempre sostenuta da una forte presenza della sua personalità, anche nei momenti in cui egli affronta i temi più particolari. In questo volume si scorgono d'altra parte numerosi dati che, pur mantenendo la loro più specifica individualità storica, si caricano di suggestive ed indirette, discretissime risonanze autobiografiche: il primo saggio, "Piemontesi e spiemontizzati", riferito a vari episodi della diaspora intellettuale piemontese del secondo '700, fa subito pensare al fatto che lo stesso Dionisotti è uno dei protagonisti della stessa diaspora in questo secolo; l'ultimo saggio, "Ricordo di Quintino Sella", si chiude con un'appendice in cui si riporta una lettera del Sella al nonno omonimo dell'autore, Carlo Dionisotti (1824-1899), magistrato e storico. Ma tra questi due punti iniziale e finale troviamo, percorrendo la cultura dell'800, tutta una serie di strade che portano in Inghilterra proprio là dove le combinazioni dell'esistenza hanno portato l'autore a vivere e a lavorare: i rapporti dell'Inghilterra con l'Italia e la cultura italiana sono al centro dei saggi su "Foscolo esule", su "Manzoni e la cultura inglese", su "Manzoni e Gladstone", ma traspaiono anche dentro altri vari saggi (si sottolinea così l'importanza della scoperta di Leopardi fatta da Gladstone nel 1849, si illuminano nel loro contesto gli episodi inglesi delle "Confessioni di Nievo", si seguono i diversi e tardivi rapporti dei nostri scrittori con la lingua inglese, ecc.). E comunque in tutto il libro si incontrano numerosi esponenti dell'emigrazione intellettuale, variamente impegnati per cercare una presenza "moderna" della letteratura italiana fuori d'Italia; e emergono i segni di un persistente e contrastato prestigio internazionale della nostra cultura fino alla metà dell'800, dovuto anche alla capacità di azione culturale di molti emigrati: il lettore viene guidato a percepire, attraverso i fatti, quanto forte sia ancora l'intreccio dei più alti risultati della nostra letteratura di quel tempo con un orizzonte europeo (e vengono così smentiti alcuni luoghi comuni sui presunti limiti tutti "italiani" di Foscolo, Leopardi e Manzoni: tutt'altro che marginale si rivela la presenza di Foscolo in Inghilterra, essenziale l'interesse che Manzoni e Leopardi suscitarono fuori d'Italia, senza contare il fatto che un'opera per noi essenziale come i "Paralipomeni" leopardiani ebbe la sua prima edizione a Parigi nel 1842 e che il primo vero saggio critico su Leopardi è del francese Sainte-Beuve).
Non è certo possibile rendere conto di tutte le correzioni e gli aggiustamenti che questi "Appunti" impongono al quadro della nostra letteratura ottocentesca, n‚ si può accennare alle numerose questioni delicate e difficili che Dionisotti risolve grazie alla sua capacità di interrogare i testi anche più aridi e ingrati, su cui di solito gli studiosi di letteratura sorvolano sdegnosamente. Ricordo solo le acutissime ipotesi sulla decisione di Foscolo di partire per l'esilio con l'improvvisa fuga da Milano del 30 marzo 1815, dopo le esitazioni e gli ambigui progetti dei primi mesi della restaurazione austriaca; o l'energia con cui i rapporti tra Leopardi e Antonio Ranieri vengono sottratti ai pettegolezzi e alle curiosità scandalistiche, in modi che illuminano di nuova luce il senso della "solitudine" leopardiana a Napoli e mostrano la sostanziale fedeltà ali Ranieri al modello leopardiano (e tra l'altro Dionisotti rivendica il pieno valore del romanzo di Ranieri "Ginevra o l'orfana della Nunziata", testimonianza di un primo emergere della "questione meridionale"). Un punto di particolare importanza è quello relativo ai legami tra la letteratura e il diritto, alle diverse forme in cui in quella Italia " moderna" si danno essenziali scambi tra esponenti del mondo giuridico e di quello letterario: Dionisotti mostra come, nel processo di formazione dello stato unitario, magistrati e avvocati prestano una non marginale attenzione alla letteratura, mentre molti letterati si interessano direttamente di problemi giuridici. In molte zone del volume emerge l'importanza di questo nesso (determinante per la più generale storia degli intellettuali del '700 e dell'800), ma esso è in più diretta evidenza nel saggio "Appendice storica alla Colonna infame" che sullo scritto del Manzoni, sulla mancata stampa della prima redazione del 1824 e sulle reazioni suscitate dalla redazione pubblicata nel 1842, costruisce una vera e propria storia della cultura milanese di quegli anni, che vedono arretrare Manzoni in una posizione sempre più appartata, mentre emerge una nuova "avanguardia letteraria guidata dal Cattaneo e in sottordine dal Tenca" (p. 269): e le ragioni della più tarda sfortuna dell'operetta vengono collegate poi ai caratteri dominanti della successiva cultura giuridica italiana.
Immergendosi continuamente nel gioco dei rapporti vitali in cui vede costituirsi l'esperienza culturale, la ricerca di Dionisotti ci fa scoprire ad ogni passo come la realtà degli autori e dei testi non si risolva nelle etichette date dalle storie letterarie o dalle formule interpretative, ma in un intrecciarsi di voci, in un dialogo senza fine.
Con questo ultimo suo libro Dionisotti mostra ancora, in modo esemplare, la strada di una storiografia letteraria "aperta", capace di confrontarsi con i salti, le interferenze, le occasioni e le occorrenze del tempo reale, di sfuggire ad ogni linearità espositiva, ad ogni provvidenzialità, inseguendo tutta la sfuggente imprevedibilità delle esperienze reali. In tutto il suo lungo lavoro, il grande maestro ha comunque sempre diffidato delle generalizzazioni teoriche e ha spesso invitato gli altri ad astenersene: tutte le sue esperienze si sono operate sul vivo, sul confronto diretto con i libri e con gli uomini, con i rapporti e i conflitti, con le cronologie e con i luoghi. Per questo sarebbe ingiusto ricavare dalla sua opera qualsiasi formula storiografica "bonne à tout faire": meglio continuare a seguirlo nei suoi lunghi viaggi tra libri, tra oggetti concreti, nella sua passione per la concretezza, nella sua esigenza di razionalità e di rigore, con la coscienza che, nella babele di un'Italia che non è mai veramente riuscita ad essere "moderna" e che troppo in fretta si è voluta "postmoderna" sarà sempre più difficile trovare qualcuno che sia dotato di una cultura e di una passione che possa stare al passo della sua. Egli ci ha insegnato più volte che "la ricerca non ha mai fine": come semplice atto di omaggio gli auguriamo e ci auguriamo che possa darci ancora qualcuno dei suoi preziosi "appunti", che la sua ricerca inesauribile abbia fine il più tardi possibile.

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Carlo Dionisotti

(Torino 1908 - Londra 1998) storico e critico della letteratura italiana. Docente in Italia, quindi nelle Università di Oxford e Londra, ha curato importanti edizioni di testi delle origini e di scritti di P. Bembo. La sua attività di studio, fondata su un’originale impostazione delle coordinate storiche e geografiche che presiedono allo sviluppo della letteratura italiana, incrocia la sapienza filologica con il gusto raffinato e la splendida capacità di scrittura. Il risultato più cospicuo è il volume Geografia e storia della letteratura italiana (1967). Di particolare interesse sono gli studi sul periodo umanistico e rinascimentale: Pietro Bembo (1967), Gli umanisti e il volgare fra Quattro e Cinquecento (1968), Machiavellerie. Storia e fortuna di Machiavelli (1980), Appunti su arti e lettere...

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