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recensione di Corti, M., L'Indice 1994, n. 4
Un'enciclopedia dell'universo immaginario, rispetto a ogni altra enciclopedia, è un prodotto più vasto e raffinato in quanto deve contenere tutti i personaggi delle letterature del mondo, da cui non c'è possibilità di fuga in quanto siamo più o meno coinvolti tutti nella loro esistenza: metti madame Bovary o don Giovanni. Essi si ostinano a venirci a trovare, impossibile metterli alla porta, sicché finiamo con l'abituarci a loro come a un reumatismo o a un paralume di casa. Ci sono personaggi che sono legati a un "motivo" o topos o, come lo chiama Avalle, "macrosegno".
Si prenda il libro appena uscito da Marsilio, "Le avventure dell'ultimo degli Abenceragi" di Ren‚ de Chateaubriand e insieme si prenda il "Dizionario dei personaggi" della Bompiani alla voce 'Abenceragi' e se ne avrà un esempio, di cui avrebbe potuto occuparsi con vantaggio Piero Toffano, curatore del testo di Chateaubriand, nella propria introduzione. Ecco venirci incontro Abindarr ez, uscito da una novella moresca di Antonio de Villegas (morto dopo il 1551) dal titolo "Historia del Abencerraje y de la hermosa Jarifa" (Storia dell'Abenceragio e della bella Jarifa). Fatto prigioniero presso Granata dal cavaliere spagnolo Rodrigo di Narv ez , Abindarr ez finisce in una prigione che, come tutte quelle rispettabili, ha una torre; dentro la torre egli si consuma con tale silenziosa malinconia che Rodrigo stupito lo interroga: il moro rivela come al momento dell'arresto era diretto a Co¡n per un incontro segreto con l'amata Jarifa, il cui padre contrastava decisamente il loro amore. Rodrigo, da quel gentiluomo che è , concede al prigioniero di correre libero fra le braccia dell'amata purché sia di ritorno entro il terzo giorno. Abindarr ez, da quel gentiluomo che lui pure è , ritorna nei termini prescritti ma con Jarifa, segretamente sposata. Per farla breve, non c'è ombra di destino alla Attilio Regolo e tutto finisce bene.
Merita di fare tappa ancora un momento dentro questo mondo fittizio: Abindarr ez appartiene alla nobile stirpe moresca degli Abenceragi, famiglia privilegiata nei ludi del fantastico non solo perché il nostro eroe e la sua Jarifa fecero lunghi viaggi intertestuali con tappe in varie romances, in una famosa 'cronica' spagnola, nelle opere di Cervantes, Montemay¢r, Lope de Vega, ma perché l'ultimo dei membri immaginari della famiglia, Aben Hamet, andrà a nascere nel 1826 in un'opera di Chateaubriand, "Les aventures du dernier Ahencérage".
Alcuni aspetti di tutto l'insieme Abenceragio danno da riflettere; in primo luogo la storia di Abindarr ez e della bella Jarifa contiene alcuni di quei "motivi" che si distinguono per la loro presenza a ripetizione dentro la narrativa di vari paesi e di varie epoche e quindi rappresentanti vere e proprie iterazioni dell'immaginario culturale; nel caso, il motivo dell'amore contrastato per ragioni politico-religiose e addirittura razziali, cui si aggiunge il motivo della parola d'onore data e mantenuta a costo della vita. Il luogo della vicenda è lo stesso dell'antica novella e in quella dell'autore francese, è Granata, luogo mentale-culturale nella narrativa che vede a confronto musulmani e cristiani. In questi casi i personaggi sono tutti degli eroi che si distinguono per il sacrificio della felicità alla lealtà.
Esistono entro i repertori dell'immaginario motivi, oltre a personaggi, che presentano caratteristiche proprie del "segno" in accezione saussuriana; n‚ va dimenticato che l'omologazione di alcuni personaggi fantastici al segno risale appunto a Saussure nelle note sulle leggende dei Nibelunghi e di Tristano e Isotta, là dove lo studioso parla di eroi leggendari come prodotto di una 'association libre' o gioco combinatorio di unità più piccole portatrici di un significato fisso. Antonio de Villegas e Chateaubriand inseriscono nel "segno" comune unità narrative qua e là diverse e così secondo Avalle nascono i "macrosegni", come per esempio accade nei 'contes d'adultere', nei racconti della fanciulla perseguitata, ecc.
Ma vi è dell'altro che fuoriesce dalla lunga e fittizia vicenda dei mori Abenceragi sopra schizzata: nell'universo dell'immaginazione si ricreano, attraverso successive invenzioni, le stesse strutture antropologiche del mondo reale: per esempio, le strutture della parentela, qui di marca intertestuale. Vi sono cioè figli, nipoti, zie e cognati che si generano per fenomeni di intertestualità: l'avo della novella spagnola, l'ultimo Abenceragio della novella francese di qualche secolo dopo. Fecondissima l'intertestualità nel riprodurre personaggi dentro i poemi cavallereschi e le narrazioni moresche; negli uni e nelle altre i personaggi importanti si conoscono tutti da un'opera all'altra come in una cittadina di provincia. Che se poi si aggregano i testi apocrifi, i rifacimenti e le aggiunte, il processo si moltiplica, per stravagante che possa apparire.
Nel caso specifico della novella di Chateaubriand vanno tenute presenti alcune circostanze storico-biografiche: Chateaubriand, come Toffano mette in luce nell'introduzione, ha scritto la novella in onore dell'amica Natalie de Noailles che lo attendeva proprio in Spagna al ritorno del viaggio nel Mediterraneo dello scrittore. L'incontro sarebbe stato lontano dagli sguardi dei rispettivi amici e avrebbe avuto quel carattere di segretezza che connota gli incontri della prima parte della novella fra la bella spagnola Bianca, figlia del duca di Santa Fé, discendente nientemeno che del Cid di Bivar e Aben-Hamet, fedele del grande capo musulmano Boabdil, il cui nome è incastonato tra i mosaici dell'Alhambra. Il destino storico è in questa novella più forte dell'amore, donde l'esito romanticamente negativo di tutta la vicenda. Forse senza questo potere dell'intertestualità letteraria, che abbiamo voluto rievocare, il racconto non eserciterebbe l'attrazione che oggi può suscitare.
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