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Le avventure di Robinson Crusoe-Le ulteriori avventure-Serie riflessioni - Daniel Defoe - copertina
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Le avventure di Robinson Crusoe-Le ulteriori avventure-Serie riflessioni
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Le avventure di Robinson Crusoe-Le ulteriori avventure-Serie riflessioni - Daniel Defoe - copertina
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Descrizione


Carico di guai e di debiti, Daniel Defoe scrisse il "Robinson Crusoe" a sessant'anni: l'urgente bisogno di procurare una dote alle figlie, promesse spose, lo spinse, sull'onda del successo che stava ottenendo il libro del Capitano Rogers su di un naufrago, il marinaio Selkirk, sopravvissuto su un'isola deserta per quattro anni, ad avvicinare l'editore Taylor e a proporgli il titolo e un breve sommario di un libro destinato a essere tra i più famosi di tutta la letteratura. Il romanzo uscì nel 1719, ma il nome di Defoe non comparve sul frontespizio per indurre il pubblico a credere di essere di fronte ad autentiche memorie.
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Dettagli

1998
Tascabile
1 gennaio 1997
800 p.
9788806139377

Valutazioni e recensioni

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Giulia Rea
Recensioni: 5/5

MERAVIGLIOSO!!!!! Sono sicura che all' inizio molti non lo sopporteranno, ma andando avanti non si può dire che è brutto o noioso. C'è perfino sui libri di scuola e consiglio a tutti di leggerlo...

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Voce della critica


recensioni di Clegg, J. L'Indice del 1999, n. 01

Con la pubblicazione in un unico volume di La vita e le straordinarie sorprendenti avventure di Robinson Crusoe, Le ulteriori avventure di Robinson Crusoe e addirittura Serie riflessioni nel corso della vita e delle sorprendenti avventure di Robinson Crusoe, insieme (nientemeno che) alla Visione del mondo angelico , il lettore italiano si trova privilegiato rispetto al povero inglese. Per sapere come va a finire per Robinson Due quest'ultimo deve mettersi alla caccia dell'edizione delle opere di Defoe del 1927, mentre per Robinson Tre non resta che rintracciare, se ha tempo e voglia, edizioni ormai centenarie.

Il presente ben annotato volume, a cura di Giuseppe Sertoli, non segna, d'altronde, l'unica occasione in cui l'Italia moderna è stata più generosa con Defoe di quanto lo sia stata la sua patria. L'accuratissimo saggio bibliografico qui offerto cita due edizioni degli anni cinquanta che comprendono le Ulteriori avventure, oltre a quella di Antonio Meo, del 1963, che forma la base di questa. Finora inedite in italiano (se non per alcuni brani apparsi su un giornale) sono invece le Serie riflessioni, una scelta delle quali è qui tradotta da Sertoli, pur con un occhio di riguardo per le scelte stilistiche di Meo "per evitare dissonanze".

Sembra facile, a dirlo così. Ma se già il tradurre richiede una difficile combinazione di audacia (nel saltare da un codice linguistico a un altro) e remissività (nel prestare la propria voce per far parlare un altro), tradurre senza tradire non solo l'autore ma anche un precedente traduttore richiede un tatto e una sicurezza assolutamente fuori del comune.

Ma, ci si potrebbe chiedere, lo sforzo vale la pena? Merita seguire quest'infaticabile viaggiatore per quasi settecento pagine, invece di fermarci alle meno di trecento alle quali eravamo abituati? Samuel Johnson, lamentandosi della noiosità della maggior parte dei libri, indicò Robinson Crusoe, con Don Chisciotte e Il pellegrinaggio del cristiano, come gli unici tre libri al mondo che i loro lettori desidererebbero più lunghi. In realtà, come ammette Sertoli nella sua introduzione, sono pochi a prestare attenzione anche alle avventure vissute da Robinson prima e dopo la fase isolana, tale è la "forza di suggestione" delle pagine dedicate a quegli anni. Anni in cui, con l'aiuto del capitale tecnologico e ideologico che riesce a salvare dal relitto della nave (arnesi, chiodi, fucili, semi d'orzo, bibbie, inchiostro...), e grazie alla propria operosità, ingegnosità e prudenza, Crusoe crea da solo un'impresa agricola perfetta, per poi, con l'arrivo di Venerdì, realizzare un piccolo regno privato. "Metafora storica (...) parabola del destino della borghesia", il racconto dell'isola ha offerto una palestra intellettuale per esercitazioni economico-sociali da Rousseau a Marx fino ai giorni nostri. Un database di letteratura economica ci offre saggi recentissimi su Robinson Crusoe, Friday and the Competitive Price Mechanism, su Decentralization and Increasing Returns: Robinson Crusoe Revisited, su Robinson in quanto Not Mainly a Resource Allocator...

L'isola rivisitata nelle Ulteriori avventure potrebbe offrire altri spunti. Dieci anni dopo averla lasciata, Robinson torna in visita pastorale ai suoi "sudditi" - un gruppo di spagnoli salvati dai cannibali, il padre di Venerdì e tre reprobi inglesi ammutinati - e ascolta da loro la storia dell'isola durante la sua assenza (un raro esempio di racconto in terza persona con l'implicito invito a fidarci di una testimonianza di seconda mano); una storia che costituisce un unico grande exemplum per mostrarci cosa fare (e non fare) non per sopravvivere allo stato di natura, ma per istituire e proteggere uno stato sociale nella sua fase nascente. Se per il naufrago era la solitudine a costituire problema, per i suoi sudditi-coloni il nemico è umano, interno (criminale) ed esterno (l'invasore), e per salvaguardarsi non basta più nascondersi nella grotta fortificata: è necessario creare istituzioni complesse. "Quelle bestie dei tre inglesi" si rivelano classici esempi di freerider, difficilmente integrabili. Rissosi e pigri, per sfamarsi derubano gli spagnoli o - viene raccontato come se fosse ugualmente deplorevole - raccolgono tartarughe e cacciano uccelli. È scontato che vivere di quanto offre la natura non sia accettabile in questa società robinsoniana - né è del resto permesso all'individuo agire per proprio conto. Per prevenire il sorgere di contrasti su questioni come la distribuzione della terra, del lavoro e delle donne, e conseguenti retrogradi comportamenti da frontiera, il "governatore" spagnolo lasciato in carica da Robinson discute, ragiona, negozia contratti scritti, e, quando è necessario, celebra processi e punisce. Anche la lunga, sanguinaria lotta contro il nemico esterno, i cannibali invasori, richiede la creazione di istituzioni rudimentali e una divisione del lavoro. Viene costituito un piccolo esercito gerarchicamente ben strutturato: il cortese e saggio spagnolo al vertice, il valoroso e pragmatico Will Atkins al comando in prima linea, gli altri bianchi equipaggiati con armi da fuoco, e gli indiani pronti a uccidere con accette, tronchi, o le sole mani nude.

Ma una delle importanti novità di quest'edizione di Robinson Crusoe risiede nel tentativo di farci vedere oltre i confini della mitica isola. I quasi trent'anni che Robinson ha in essa trascorso costituiscono - secondo Sertoli - "[solo] un inizio", un "apprendistato" che "rimodella la personalità" di qualcuno che dovrà poi "'uscire da sé', agendo e realizzandosi nel mondo degli uomini. Solo così l'eroe borghese trova la sua epica: nell'aperto dei viaggi e dei traffici, non nel chiuso di un 'giardino' in cui, più che homo oeconomicus, sarebbe homo domesticus". Così quella che - insiste il curatore - non va intesa se non come la prima parte di un unico romanzo, si chiude anticipando nuovi viaggi. Ed è in questi viaggi che Robinson, seguendo il suo istinto ad andar per mare, realizzerà finalmente la sua vera "vocazione", quella del mercante-principe di un emergente impero commerciale: "Da occidente a oriente, dalle isole caraibiche a quelle del mar della Cina, la mappa dei suoi spostamenti - dei suoi traffici - illustra il piano di navigazione - e di conquista - di un capitalismo (mercantile) che si sta facendo sistema-mondo. Lavorare e rendere produttiva non un'isola o una fattoria ma tutta quanta la terra (...) Questo 'lavoro' è il trade di Robinson: il compito che la Provvidenza (...) gli ha assegnato e a cui i primi cinquanta e rotti anni della sua 'infelice [ma redditizia] vita' lo hanno preparato".

Se nessuno prima d'ora ha notato che "anche questo, in fondo, fa parte del 'mito' di Robinson" sarà pure perché non leggevamo le Ulteriori avventure, ma anche perché Robinson stesso non solo non ne è consapevole ma - osserva Sertoli - nega il proprio destino. In nome dei valori conservatori della "quieta vita ritirata" il vecchio Robinson ripetutamente colpevolizza il Robinson giovane per il suo "impetuoso desiderio (...) di girare il mondo", rappresentandolo come un figliol prodigo e, definendo le sue avventure "pazzesche", "follie" che la "giusta mano della Provvidenza" ha trasformato in "castigo", punendo così ribellione e irrequietezza. Ma questa "dicotomia tra io narrante e io narrato" è anche "segno di una divisione interna al personaggio". Anche il Robinson giovane, al momento della sua conversione, accetta l'idea che il suo vagabondare costituisca peccato, rimuovendo quella, ad essa contraria, che i suoi desideri istintivi siano guidati dalla Provvidenza. Così non vengono mai armonizzate "le grandi forze antitetiche che governano la sua storia: quella religiosa e quella economica".

Dietro questa divisione Sertoli ne intravede un'altra: l'ambivalenza dello stesso Defoe su due spinosissime questioni. Battezzato "coscienza inquieta della ideologia puritana", Defoe - a differenza di coloro che, come descrive Weber, riuscivano tranquillamente a conciliare interesse economico e coscienza religiosa - non solo avverte il pericolo che l'arricchirsi può costituire per l'anima, ma arretra e condanna. Per quanto riguarda la mobilità sociale, il modello statico che i discorsi di Robinson propongono sarebbe inteso a difendere i valori morali piccolo-borghesi minacciati dall'ascesa, in atto in questo periodo, della grande borghesia mercantile.

Che il saggio introduttivo costituisca chiave essenziale per una lettura unificata di tutte le Avventure, così giustificando questo progetto editoriale, è evidente. Ma esso è anche qualcosa di più. Nell'articolare in un unico discorso dialettico due tipi di lettura (l'economicistico e lo spirituale), che nella tradizione critica defoeiana sono fino pochi anni fa rimasti separati e concorrenti, Sertoli offre un contributo importante all'interpretazione di questo e forse di altri romanzi. Egli ci dà anche qualcosa che pochi ormai osano tentare (tanto terrorizza l'idea dell'inafferrabilità di Defoe), ossia suggerimenti per comprenderne l'ideologia e la sua evoluzione.

È soprattutto in questo senso che interessano le Serie riflessioni, alle quali Sertoli dedica una premessa a parte. "Documento ideologico rilevante per definire le posizioni di Defoe all'altezza degli anni '20", questo collage affrettato adopera una definitiva "rimozione (...) dell'istanza economico-progressista da parte di quella religioso-conservatrice", cosicché dei due Robinson, e due Defoe, non rimane che uno solo. Non sentiamo più parlare, ormai, di avventure, di imprese e, di traffici, se non in geremiadi: sentiamo invece della solitudine, dell'onestà, della immoralità della conversazione mondana, delle forme della religione nel mondo, dell'ascoltare la voce della Provvidenza. Letto nell'ottica suggerita da Sertoli, ha risvolti comici quest'ultimo capitolo, in cui "l'umile lettore" si trova davanti, nelle vesti di esperto decifratore della guida di Dio, proprio quel Robinson Crusoe chiamato a vagabondare per mare e per terra al servizio del commercio mondiale, ma per il quale la propria vocazione restava un mistero.

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Daniel Defoe

1660, Londra

Scrittore inglese. Figlio di un modesto negoziante, ebbe un’istruzione piuttosto eterogenea e frammentaria, viaggiò a lungo in Europa e tentò varie imprese commerciali, ottenendo però sempre risultati deludenti. Verso il 1700 si stabilì definitivamente a Londra, cercando di vivere come giornalista e libellista. S'impegnò in politica cambiando casacca diverse volte, nel corso di una vita pubblica che durò diversi decenni, e nel corso della quale fu più volte incarcerato per motivi politici e anche per i debiti. Nel 1704 fondò e diresse «The Review», rivista sulle cui colonne espresse le sue eccezionali qualità di giornalista. Defoe è infatti considerato uno dei fondatori del giornalismo moderno. Verso...

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