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B & B. Beckett e Bacon
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Descrizione


Artisti epocali e finali, Bacon e Beckett sono uniti, in questo originale saggio di Nadia Fusini, nel cerchio di una comune ossessione: come arriva oggi l'uomo, e l'artista per lui, a prendere possesso e visione della realtà dopo la caduta delle utopie estetiche. L'autrice indaga una posizione culturale, ma nello stesso tempo disegna due ritratti umani.
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Dettagli

1994
1 aprile 1995
128 p.
9788811652052

Voce della critica


recensione di Boatto, A., L'Indice 1994, n. 8

La scrittura saggistica di Nadia Fusini, tesa e nervosa, arricchita d'immagini e fratturata dai sentimenti, si anima all'incrocio di due movimenti opposti. Sono lo sprofondare e l'emergere, l'inabissarsi e l'apparire. E i due grandi, conturbanti irlandesi, che ci presenta stretti in un dittico, Beckett e Bacon, forniscono appunto quell'instabile linea verticale necessaria al compiersi di questo tipo di scrittura. È come se i temi, i contenuti, i materiali dei due autori percorressero con ilare, disperata drammaticità, il pendio della discesa, del precipitare, mentre le forme originali e problematiche a cui approdano, procedessero con protervia e ostinazione lungo l'opposto cammino dell'ascesa, dell'emersione, dell'apparizione.
E la caduta di cui sono testimoni questi due universi creativi è una caduta non solo sociale ma ontologica. I personaggi di Beckett mimano l'atto stesso della caduta: Malone, Molloy, Millie strisciano per terra, lungo le strade battute dalla pioggia o sopra le assi del palcoscenico. Oppure, situazione ancora più radicale, stanno conficcati in bidoni di immondizie o paralizzati su una sedia. Da qui prende avvio proprio il dramma e la pena: l'impossibilità in cui si trovano di percorrere sino in fondo questa linea di caduta, di concludere l'insensata partita in cui sono impegnati. Che significa poi l'impossibilità, da parte di questi agonizzanti, di morire. Così il tempo dei personaggi, il contenuto dei loro monologhi, lo strazio e la comicità delle loro voci, altro non è che l'attesa di una fine che non viene, la ripetizione di una caduta che non trova conclusione.
Sulle tele di Bacon, i personaggi mostruosi e solitari che occupano un centro derisorio giacché inguaribilmente non significativo hanno la tendenza a sprofondare gonfi di pesantezza verso il basso, attratti dagli oggetti, dai pavimenti, risucchiati dalle tubature. I volti si svuotano, perdono la propria carne; i corpi spurgano materia. Bacon ha dipinto alcune Crocifissioni impressionanti, nelle quali il crocefisso diventa il luogo per eccellenza in cui la carne dell'uomo viene squartata ed esposta, la macelleria a cui siamo destinati.
Oltre che della caduta, la verticale è anche la linea della perdita. Perdita delle prerogative che l'umanesimo aveva accordato all'uomo, a cominciare dall'identità e dall'integrità fisica della persona. I personaggi di Beckett non sono che nomi, semplici pronomi personali, fino a smarrire anche questa estrema denominazione. "Not I" scrive l'autore. Bacon non dipinge tanto corpi quanto parti anatomiche tenute assieme da suture deformanti.
Ma in direzione opposta alla materia, al personaggio, alla carne, la stessa verticale è pure il vettore dell'emergere, dell'apparire, dell'epifania. È questa la dinamica della forma di Beckett e di Bacon secondo la lettura che ne dà la Fusini. Qui l'autrice tocca con penetrazione uno dei punti nodali della creazione nell'epoca della fine del moderno. Nel mondo dei due artisti è in atto un lavoro di distruzione: nello scrittore, distruzione della lingua a favore della parola minacciata dal silenzio, di un monologo che è di tutti e di nessuno; distruzione della rappresentazione e della mimesi a favore dell'immagine, in un pittore caparbiamente figurativo e realista come Bacon. E nondimeno, da un intreccio di sensazioni fisiche fatte di spavento e di attrazione, di ingordigia e di disgusto, da una "macchia" torbida e opaca sorge, si eleva la voce delle creature di Beckett, come emerge, affiora, si sporge, accade l'immagine potentemente carnale, l'"ecce homo" di Bacon.
Così la scrittura della Fusini ama sprofondare con questi personaggi e con questi corpi, affacciarsi su abissi, sfiorare il vuoto, lasciarsi minacciare dall'afasia. Come egualmente ama risalire, riaffermare un nodo di sensazioni, una presenza indubitabile perché pesante e spoglia, celebrare il "miracolo" di una forma che non rimargina n‚ compensa, bensì manifesta e mette a nudo. La Fusini non ricostruisce, non analizza la genesi e lo svolgimento dell'arte dei due grandi irlandesi diversamente in fuga dalla propria origine e dalla propria terra, ma piuttosto li percorre con passo risoluto come si percorre un continente unitario, se ne impossessa e li assume a proprio carico.

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Conosci l'autore

Nadia Fusini

1946, Orbetello

Insegna Letterature Comparate presso il Sum, Istituto Italiano di Scienze Umane di Firenze. Traduttrice di moltissimi autori tra cui Keats, Beckett, Woolf, autrice di romanzi - "La bocca più di tutto mi piaceva" (1996), "Due volte la stessa carezza" (1997), "L'amor vile" (1999), "Lo specchio di Elisabetta" (2001), "L'amore necessario" (2008) -, si è imposta all'attenzione della critica e del pubblico attraverso una vasta produzione di saggi tra cui "Nomi. Dieci scritture femminili" (Donzelli 1996), "Donne fatali. Ofelia, Desdemona, Cleopatra" (Bulzoni 2005), "Possiedo la mia anima. Il segreto di Virginia Woolf" (Mondadori 2006), "Di vita si muore. Lo spettacolo delle passioni nel teatro di Shakespeare" (2010), "La figlia del sole. Vita ardente di Katherine Mansfield" (2012),...

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