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Ballate ebraiche e altre poesie - Else Lasker Schüler - copertina
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Dettagli

2
1995
1 aprile 1995
180 p.
9788885943186

Voce della critica

SOLDI MARETTI, MARA, Prosit, Libreria del Convegno, 1985

RODARI, GIANNI, Secondo libro delle filastrocche, Einaudi, 1985

PORTA, ANTONIO, Nel fare poesia, Sansoni, 1985

ORTESTA, COSIMO, La nera costanza, La Nuova Guanda, 1985

LASKER-SCHLER, ELSE, Ballate ebraiche e altre poesie, La Giuntina, 1985
(recensione pubblicata per l'edizione del 1985)

GHIZZI, DONATELLA (A CURA DI) / SECOL, MARIUCCIA (A CURA DI), Poesia degli esclusi, Periscopio, 1985

FRASSINETI, AUGUSTO, Tutto sommato, Scheiwiller, 1985

BANDINI, FERNANDO, Papillones, in 'Latinitas', marzo '85, non indicata, 1985

AA.VV., Tre poeti tedeschi, in 'In forma di parole' n.4, Analisi Trend, 1984
recensione di Giudici, G., L'Indice 1985, n. 8

1 "A prima vista " fa dire Pound a un personaggio del suo Mauberley "nessuno riconosce un capolavoro". Ciò vale, in quel contesto, per la poesia, tema sul quale - "nella cabina crema e oro del suo yacht" - si svolge il colloquio tra l'ancor giovane Ez e un immaginario Mr. Nixon (che mai, a quell'epoca, avrebbe sospettato la sua futura omonimia con un presidente degli Stati Uniti). Non ho mai dimenticato quella giusta ammonizione; e tanto meno la dimentico adesso che, sommerso dalla piccola marea di pubblicazioni in versi a me inviate come a ogni altro supposto addetto ai lavori ("supposto", dico: perché il poeta in concreta attività, per così dire, di servizio, intento cioè al proprio demone di scrittura, è purtroppo la persona più "estranea" di questo mondo ai lavori altrui), non sono affatto convinto della validità dei criteri secondo i quali amministro la mia attenzione.
Notorietà dell'autore e autorevolezza della sigla editoriale sono assai spesso criteri fuorvianti, e tuttavia non è agevole impresa quella d'inseguire il capolavoro di cui sopra per decine e centinaia di quasi sempre deludenti "plaquettes" come cercando l'ago nel pagliaio e per giunta in un'età in cui quasi più nessuno cuce e i pagliai scarseggiano. Quindi preferirei, adempiendo qui alla richiesta di esprimere le mie impressioni sullo stato della poesia o delle poesie, affidarmi alla disordinata casualità dei miei incontri, dei libri che ho sul tavolo, delle mie curiosità e (se mai capitasse) persino di vicinanze personali.
2. Potrebbe essere, quest'ultimo il caso di Cosimo Ortesta, poeta nato a Taranto nel 1939 e abitante ora a Milano dove insegna in un istituto tecnico. Il suo nome (mi sembra) è conosciuto appena nel ristretto ambito dei cultori di poesia, nonostante il Premio Viareggio Opera Prima conferitogli nel 1980 per il volume "Il bagno degli occhi" edito da Guanda. E il suo libro di adesso, "La nera costanza", è fra i primissimi di una nuova e non ancora ben diffusa collana di poeti italiani e stranieri (Acquario -La Nuova Guanda) pubblicata a Palermo a cura di Giovanni Raboni. Quindi, a propiziare il mio incontro con la poesia di Ortesta, è stato soprattutto (a parte l'occasione del "Viareggio" della cui giuria a quel tempo facevo parte) il fatto di abitare nella stessa città, più una conseguente conoscenza, amicizia e stima reciproca. Nell'occasione di quel già citato "Viareggio" ci fu un cronista della televisione che, intervistando i diversi vincitori, si permise (proprio in piena cerimonia di premiazione) alcune volgari ironie nei confronti di una pretesa non intelligibilità di una o due poesie del nostro Poeta: che, certamente, nemmeno io avrei consigliato come letture per la prima elementare, ma il cui "mistero" era comunque legittimo e funzionale alla costruzione di quello che già era e ancora più sarebbe diventato in seguito il discorso poetico di Ortesta il suo valoroso sforzo di riappropriare la lingua, le parole, di tutta la loro nativa densità ed importanza, per approdare a una spontanea immediatezza di lingua poetica, alla cruenta (per esempio) tenerezza di una canzone d'amore ("... e se la guardo mi sembra uscire dal mio sangue / remota gemma o fanghiglia di lacrime alla soglia / della mente che già senza fatica divora / senza saperlo il ghiaccio delle nervature / . . . che é quasi morta baciando / con tutto il corpo il suolo, la terra da cui / si stacca in una scia col solo portamento della testa. . . ").
3. La stagione non è stata avara di frutti. Ma degustarli dal primo all'ultimo, o anche limitarsi ai più invitanti, non sarà possibile; e un po' anche questo è il guaio, dato che il silenzio può suscitare negli autori ansiosi di cronaca lo stesso risentimento che l'eccessiva franchezza. Abbiamo incontrato, in veste di scrittori di poesia, persone di grande notorietà nel campo della narrativa e persino del cinema: il Bevilacqua, ad esempio, di "Vita mia" (che Mondadori ha eletto a poeta di punta), il Pratolini del "Mannello di Natascia" (premiato a Viareggio), il cordiale Primo Levi di "Ad ora incerta" (pubblicato da Garzanti e vincitore del Premio Carducci). Abbiamo avuto un nuovo, corposissimo, libro di Mario Luzi, che data l'importanza del poeta è quasi mortificante citare qui appena di straforo, così come (se non erro) un altro libro di Biagio Marin, la cui fecondità ci ha fatto ormai perdere il conto. Dovremmo quanto meno prendere atto del "Secondo libro delle filastrocche", libro postumo di Gianni Rodari (Einaudi), dove non tutti i versi appaiono riservati esclusivamente ai bambini. Questi per esempio, in limine: "Abbiamo parole per vendere / parole per comprare / parole per fare parole / ma ci servono parole per pensare. // Abbiamo parole per uccidere / parole per dormire / parole per fare solletico / ma ci servono parole per amare. // Abbiamo le macchine / per scrivere le parole / dittafoni magnetofoni / microfoni telefoni. // Abbiamo parole / per fare rumore, / parole per parlare / non ne abbiamo più. ". Ci sono poi autori che devono comunque essere registrati per la continuità dell'impegno o per l'interesse o la comunque rilevabilità della presenza, notissimi, noti e meno noti: a cominciare dal ritornante Giancarlo Majorino di Provvisorio e dal più che dotato Milo De Angelis di Terra del viso, entrambi pubblicati da Mondadori, per passare (chiedendo venia a tutti i saltati) alla discretissima ma ben affinata Silvana Colonna ("L'orientamento lontano", Società di Poesia-Lunario nuovo), all'interessante Renato Minore di "Non ne so più di prima", al vivace Francesco Serrao ("Fra notte e mattino", Garzanti), all'attivissimo Remo Pagnanelli ("Musica da viaggio" e "Atelier d'inverno), rappresentante di una bella pattuglia poetica marchigiana sulla quale bisognerebbe soffermarsi (penso a riviste come "Marca, Lengua"). Né dimenticherò, infine, quell'appartato scrittore che è il veneto Gino Nogara e che ci offre una scelta ("La trama lacerata") delle sue poesie di oltre un trentennio; o gli "Appunti di volo" di Biancamaria Frabotta; o (per fare spazio a un giovanissimo) i poemetti "Phantasmata" di Maurizio Brignone.
4. Però vorrei dedicare alcune righe a un poeta che non ha bisogno di conforti pubblicitari: Antonio Porta. È uscita di lui, in una collana di Sansoni concepita secondo tale criterio, una specie di auto-antologia, dove al pregio dell'essenzialità della scelta si uniscono quelli della persuasiva sincerità con cui l'autore espone le sue esperienze "Nel fare poesia" (il libro si chiama così) e c'è un gruppetto di inediti, "Annuncio", con almeno due testi di notevole fattura. Uno fa da introduzione ed è il racconto di un sogno dove il poeta ironizza sul suo desiderio di riconoscimento ("Non ho dubbi, da sveglio, che voglio essere amato / cosi come voglio che l'altra mia pelle, il libro, ti piaccia"), per poi esplicitare il suo stesso atto di scrittura ("decido di scrivere questi versi") e soffermarsi a riflettere su una parola ("sentimento") che scatena in lui una tempesta di emozioni, preludio a una felice "cecità"... Di veggente? Parrebbe: se, appunto, egli scrive, "Da questa cecità io voglio incominciare..." Intendevo sottolineare come in questa poesia assuma particolare evidenza un procedimento che non è isolato in Porta (si veda, nello stesso volume, una poesia come "Canzone") e che consiste nel rifiuto, per dir così, delle smussature: se l' "aura", una certa cosiddetta "aura", va trasgredita, se è da spezzarsi il tòno, il Poeta non teme i rischi della frattura e rifiuta ogni imbellimento di koinŠ (fa pensare a un calciatore ben sicuro di sé, che non si precipita a tirare in porta alla come-va-va; stoppa, invece, il pallone, lo controlla, si volta, dà un'occhiata al bersaglio, tira, fa gol). L'altro, sesta sezione della sequenza, ha per sottotitolo "Gli sposi" ed è un testo di grande respiro umano e meriterebbe d'essere citato per intero, mentre io mi limiterò qui ai versi finali (a mo' di stuzzichino per il lettore e senza aver preteso con tutto ciò di rendere conto adeguato dell'importanza che questi versi potranno avere negli sviluppi futuri del lavoro di Porta): ". . . Ma visibili sono gli sposi visibile / è la felicità dei loro sguardi trasmessa a chi li osserva e / si stende ai loro piedi e guarda un bambino che danza / vorticoso inseguito da un bambino che corre e si diverte / a inseguire la danza, a non raggiungerla ancora ".
5. Qualche giustizia va resa agli extravaganti. Al compianto Augusto Frassineti, anzitutto, del quale abbiano (presso Scheiwiller) un "Tutto sommato" che raccoglie, con la presentazione di Giuliano Gramigna, un suo florilegio di epigrammi e motti non sempre memorabili ma a suo tempo di discreta circolazione, tipo: "Ma certo, ma certo, ma-certo-ma-certo, / signor Consigliere Delegato. / Via quella faccia da garrotato! / C'è tempo, che diamine, c'è tempo a scavarsi la fossa! / Espropriazione è una parola grossa. / Tutto eventualmente si farà piano, piano / saldo-merda alla mano È. E poi, perché non far sapere, a chi nutrisse per questa materia interesse, che Mara Soldi Maretti, autrice a suo tempo di "Ma pudaròo màai dite (delicate liriche in vernacolo cremonese), ha pubblicato, sempre a Cremona, presso la "Libreria del convegno", una raccolta di ricette di cucina in versi, derivate principalmente dal trattato "De re coquinaria" di Celio Apicio, ma con echi anche di altri autori latini? L'edizione è decorosa, l'apparato esplicativo piuttosto esauriente, i testi sono sorretti da una composta e moderata ironia. II lettore potrà ricavare da questo "Prosit" (sottotitolo: filtri pozioni elisir polmenti) utili indicazioni sulla preparazione di ghiri farciti, struzzi lessi, porcelli laureati (niente paura: vuol dire "guarniti con lauro"), pavoni in umido, vino di rosmarino contro coliche e diarree, vino di rose e viole, un filtro d'amore a base di radicchio, porro, rucola, senape, zenzero, tartufo, rape, carote, santoreggia (da cogliersi però in fase di luna piena), il tutto diluendo in vino addolcito con miele da propinarsi allo sposo prima di andare a letto. Già che siamo in tema, segnaliamo tra le ricette anche quella della "vulva arrosto": "Quando l'alato crivello / col suo girevole moto / dalla farina la crusca separa... / lascia per altri polmenti / la bianca farina: / solo la crusca rimasta nel vaglio / vesta ed avvolga la vulva di scrofa / che il giorno prima ha figliato. / Bagnala con salamoia / (giusta compagna del tonno). / Indi la cuoci...". Non resta che augurare una buona degustazione.
Abbiamo toccato l'area classica e molta è la tentazione di fare spazio a uno dei nostri più affabili poeti, Fernando Bandini, che coltiva a latere, ma con impegno non discontinuo, anche una Musa latina in anni passati, ciò gli valse più d'una menzione onorifica ai famosi concorsi internazionali di Amsterdam ai quali Giovanni Pascoli mieteva le auree medaglie poi investite nella casa di Castelvecchio e che, ora cessati pare per mancanza di fondi, sono stati soppiantati in autorevolezza dal "Certamen Vaticanum". Qui Bandini domina il campo: due anni fa, con un poemetto sul viaggio della regina di Saba (che suscitò qualche imbarazzo nei prelati di maggior pruderie) meritò se non erro il secondo premio; mentre ha poi avuto, nell'edizione 1984, la medaglia d'oro (aureum nomisma) per i 301 versi del poemetto "Papiliones" ("Le farfalle"), pubblicato sul fascicolo del marzo 1985 della rivista "Latinitas". "Papiliones", che vuol essere anche un implicito omaggio a Gozzano, entrerà presumibilmente a far parte di un libro di poesie latine che Bandini sta pubblicando col titolo "In lingua morta" presso le edizioni di San Marco dei Giustiniani in Genova. Intanto il lettore può godere, anche da "Papiliones", la levità del suo dettato, la vivezza delle immagini, la musicalità del ritmo prosodico quasi spontaneamente assimilato (secondo la lezione virgiliana) all'accentazione naturale delle parole e, insomma, l'autenticità di una vocazione che comporta (per non scadere nell'esercizio erudito) un profondo coinvolgimento linguistico. Ecco qui la crisalide còlta al punto del suo divenire in cui non può ormai non chiamarsi farfalla: "Sed iam papilio (nostrae pars altera curae) / dicendus, iam tempus adest quo perforat ,urnam / et vix emergit late madefactus et alas / contractas avidus sub aperto extendere caelo È. Dovrei tradurre ?
6. Tedeschi. Non posso dire gran che (non si può sapere tutto) sulla poesia tedesca moderna e contemporanea. Prima della guerra (chi fosse almeno in età di leggere) ci rimpinzavano di Rilke, poi ci hanno somministrato Brecht fino alla noia, fino a esecrarlo come l'olio di merluzzo: quello aveva nome di "reazione" questo (il Brecht) di "progresso". Meno male che l'hanno piantata. Ogni tanto qualche falotica apparizione, qualcosa che non fosse n‚ l'uno n‚ l'altro: caro, povero Trakl! E anche Benn, perché no? E a proposito di Benn, ecco adesso una non esile scelta di poesie di Else LaskerSchüler (1869-1945), curata e tradotta da Maura Del Serra. S'intitola "Ballate ebraiche" ed altre poesie, Editrice La Giuntina, Firenze. A parte una precedente scelta (ormai da supporsi introvabile) a cura di Giuliano Baioni, è l'unico libro di LaskerSchüler sul quale il lettore italiano possa oggi fare assegnamento. Donna dalla tormentata biografia e dai diversi amori (quello per Gottfried Benn, dedicatario di un gruppo di poesie fra le più belle, rimase pressoché unilaterale), ebbe la sorte non tra le più confortevoli per un poeta tedesco ed ebreo, di dover coesistere proprio negli anni della sua migliore maturità col regime di Hitler (si rifugiò, infatti, in Israele, dove poi morì). La sua poesia, che ascriverei a un'area di religiosità espressionistica, potrebbe apparire oggi un po' datata, ma non è priva di qualche grandioso sussulto e lascia intravedere nell'originale un suo rigore d'impianto e di prosodìa a cui non sempre un pur diligente traduttore sarà oggettivamente in grado di render giustizia. Questa Madre ("Bianca una stella canta un funebre canto / nella notte di luglio. / Come campane a morto nella notte di luglio. / E sul tetto la mano delle nubi, strisciante / umida mano d'ombra, / cerca mia madre. // Sento la mia vita nuda - / dalla terra materna si distacca - mai tanto nuda è stata la mia vita / e tanto arresa al tempo, / come se dietro alla fine del giorno / sfiorita, fra lontane notti io stessi / sola È) mi sembra una bella poesia; e non è, del libro, l'unica.
Credo che Lea Ritter Santini stia svolgendo, dalla sua cattedra di germanistica a Münster una preziosa opera di raccordo fra la cultura tedesca e l'Italia. Basterebbe, al riguardo, citare alcuni libri che, grazie alle sue cure, sono potuti uscire negli ultimi anni presso "ll Mulino": dai saggi letterari di Hannah Arendt agli studi di Ernest Curtius ("Letteratura della letteratura" e Marcel Proust) e di Friedrich Ohly ("Geometria e memoria"), sempre accompagnati da illuminanti introduzioni. Però Lea Ritter Santini non trascura i poeti ed è per questo che si devono segnalare i tre contemporanei tedeschi da lei presentati e tradotti nel "numero quarto" della rivista "In forma di parole": Cristoph Meckel (193S), Gerhard Meier (1917) e Paul Wühr (1927). Mi sono sembrati, tutti e tre, autori di ottimo livello, serviti piuttosto bene da una traduzione che, a parer mio molto opportunamente, non ignora l'importanza della sinossi. Non vorrei scontentare gli altri due poeti, che ho trovato sinceramente interessanti, ma mi si dovrebbe consentire di spezzare una lancia di preferenza a favore del primo. Una piccola campionatura: "E aspetto ancora, che tu salga dalla costa / in questo vecchio omnibus / che si ferma qui una volta al giorno / e scarica tanta gente che nessuno aspetta. / Sono arrivate le tue valige gli scialli, le scarpe / e i vetri colorati rubati insieme a Rialto / il letto è già qui, il tuo accappatoio, e prima la morte / solo tu manchi ancora, il tuo respiro, il tuo ridere per due". Ognuno riconosce i suoi: o i suoi, comunque, di un tempo passato.
7. Vorrei che fossero contenti gli "esclusi", autori del libro "Poesia degli esclusi", pubblicato per le Edizioni del Periscopio di Varese, a cura di Donatella Ghizzi e Mariuccia Secol con prefazione di Piernicola Marasco e Cesare Viviani. Vorrei che fossero contenti nel sedare che la mia attenzione per il loro libretto (che mi è giunto mentre redigevo queste note) non è stata motivata da un male inteso senso di simpatia per la loro, condizione di ricoverati in un ospedale psichiatrico, bensì dalla perentoria assolutezza delle loro parole, di certi accenti di queste poesie davvero extra-istituzionali. Non si distingue, scorrendo il libro, quali siano i versi di questo o di quello, di questa o di quella: Vittorina, Wanda, Luigi, Dante, Ignazio, Antonio, Carlo, Ettore, Ines, Mario, Virginio, Giuseppina, N.N., Adiego, Angelo, Duilio, Giovanni, Pippo. Poi l'indice restituisce unicuique suum, ma nel corso della lettura io ho preferito non andarmi a controllare le rispettive attribuzioni, appunto per non guastarmi il pensiero, l'immagine, il concetto di questo grazioso e doloroso giuoco collettivamente liberatorio per via di poesia in esso coinvolgendo mentalmente un po' tutto: loro, i malati, i medici, gli aiutanti, i cameroni, il cibo e l'odore del cibo, il piccolo universo di un asylum dove la presenza della poesia parrebbe avere assunto il grande significato di una non rinuncia alla speranza. Anche se: "Piangevo / mi ha fatto piangere me / pianto tanto tanto / ieri sera / con le lacrime / in infermeria". È un libro che, se permettete, vi esorterei a non trascurare.

LASKER-SCHLER, ELSE, Ballate ebraiche ed altre poesie, La Giuntina, 1985
(recensione pubblicata per l'edizione del 1985)
recensione di Bernieri, E., L'Indice 1985, n. 8

Questa notevole raccolta di liriche della maggiore poetessa dell'espressionismo tedesco, con testo originale a fronte e note biografiche e bibliografiche, pubblicate prevalentemente nel 1913, ci offre un ampio spaccato della poetica, dello stile e delle tematiche dell'autrice che interpretò in chiave mistico-magica l'avanguardia mitteleuropea. Fantastica ed appassionata essa passa dalle lamentazioni bibliche e dallo stile dei Salmi all'elegia sontuosa e lievemente ironica, dalla musicalità elementare dei sonagli dei pastori nomadi del deserto, ai toni più sofisticati della cultura occidentale. L'autrice stessa diceva che le sue liriche erano "scritte in ebraico" e in effetti gettano una vivida luce sui sottili legami che uniscono cultura e tradizioni della letteratura ebraico-germanica: riecheggiando alcuni toni della poesia popolare tedesca esse esprimono con singolarità ed intensità di linguaggio una profonda religiosità. Peter Hille, poeta cattolico, chiamò la Lasker-Sch(ler "il cigno nero d'Israele... una Saffo il cui mondo è andato a pezzi", Kraus la considerò la massima esponente della lirica tedesca e il suo amato Gottfried Benn la defin l'incarnazione lirica dell'ebraico e del tedesco in una sola persona."

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(Wuppertal-Elberfeld 1869 - Gerusalemme 1945) scrittrice tedesca. Di famiglia ebraica, abbandonò la Germania nel 1933 e dopo alcuni anni di peregrinazioni si stabilì a Gerusalemme. È autrice di drammi, romanzi e novelle (fra cui la raccolta Il principe di Tebe, Der Prinz von Theben, 1914), ma soprattutto di liriche: Stige (Styx, 1902), Ballate ebraiche (Hebräische Balladen, 1913), Il mio pianoforte azzurro (Mein blaues Klavier, 1943). La sua opera è caratterizzata da una profonda nostalgia e da una religiosità che ha radici ebraiche. All’ansia della trasfigurazione mitica unì il gusto del grottesco, del fantastico e delle atmosfere esotiche. Fu tra i primi esponenti dell’espressionismo.

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