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Devo, per correttezza, aggiungere alla lode sperticata e incondizionata espressa nella mia recensione, una doverosa avvertenza: questa edizione straripa di refusi, ne è proprio piena, ad ogni pagina. Sicché chi riesca a procurarsi un'altra edizione (non so poi quanto più accurata), lo faccia. Aggiungo altresì che la grandezza di quest'opera è tale che la presenza di detti errori, la quale di solito oltremodo mi fastidia, non ha minimamente intaccato il piacere della lettura. A voi la scelta fra desistere o studiare finalmente un saggio che dice qualcosa di straordinario e originalissimo su Dante, un saggio vergato con passione (quando mai se ne trova, oggidì?) da un autore vecchio, quasi cieco, esiliato (tanto per cambiare siamo sempre bravi a tenerci quelli validi!) e che non ha mai cessato di investigare e sviscerare il sacro verbo dantesco.
Formidabile testo che approfondisce straordinariamente quel che l'autore già aveva ventilato nel precedente "Spirito antipapale" e che aveva esaminato con sovrabbondanza di testimoni ne "Il mistero dell'Amor platonico". È uno scandalo che il dantismo "ufficiale" snobbi con tale sufficienza un libro del genere; forse perché non sa cosa ribattervi. È evidente anche al più sprovveduto che le opere medievali, PER ESPRESSA E RIPETUTA DICHIARAZIONE DEI LORO AUTORI, non possano essere intese fermandosi alla superficie e alla lettera. Se il codice sia esattamente quello individuato da Rossetti, o da Luigi Valli, o da altri è un tema diverso; ma CHE il gergo vi sia mi pare indubitabile. Se non altro l'idea di lectio facilior propugnata da Marco Santagata (che io peraltro stimo assai) andrebbe opportunamente problematizzata, se non apertamente sconfessata.
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