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Berlusconi. Ambizioni patrimoniali in una democrazia mediatica - Paul Ginsborg - copertina
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Descrizione


Che democrazia è quella italiana? L'anomalia di Berlusconi è un fenomeno tutto nazionale o è lo specchio di un nuovo tipo di potere personale e mediatico? In questo agile saggio lo storico inglese Paul Ginsborg, già professore all'università di Cambridge e ora docente di Storia dell'Europa contemporanea nella facoltà di Lettere di Firenze, cerca di rispondere alle domande sollevate da molte parti dell'opinione pubblica italiana ed europea. Per Ginsborg, Berlusconi non è un caso isolato, ma fa parte di quel gruppo di figure emergenti del terziario, in particolare dalla finanza e dal settore delle telecomunicazioni, che usano le loro risorse economiche e mediatiche per influenzare e, talvolta, conquistare la sfera pubblica democratica.
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Dettagli

2003
10 giugno 2003
91 p.
9788806166724

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Lorenzo Panizzari
Recensioni: 3/5

Breve saggio, politicamente schierato, non per questo inutile, ma nemmeno di gran spessore. L'autore non è contro Berl ma contro il modello di democrazia che matura sotto il Gov Berl (sostanziale spostamento del focus dalla persona al mod.politico), e per un mod.SocialDem di cui il csx non si sa fare interprete. L'ottimo inizio lascia poi spazio al più noto antiBerl.mo (ma non ideologico: ben argomentato, supportato da eventi/dati) e si riprende nel finale; mancano a mio avviso maggiori riferim all'estero (per eventi simili ed analisi del tema) ed una più seria critica all'opposizione incapace di proporsi come reale alternativa di governo. Nella prima parte non mancano critiche al csx (con ripresa a p.74) incapace di formulare una concreta/seria politica alternativa; per il cdx la colpa è di appiattirsi sul leader, mentre l'assenza di una vera politica conservatrice non è trattata perché si ritiene il capitale umano impreparato/inadeguato a formularla (p.68). Da p.18 il saggio perde di spessore. Prima le analisi del voto (m/f, età, reddito, ripartiz geogr, esposiz.tv ecc) ed i bacini di raccolta (ex Dc) sembrano ripresi da I.Diamanti; poi i classici temi antiBerl: il progetto personale/politico, giustizia, confl di interessi, sponda sulla religione, potere carismatico artefatto (non weberiano), stimoli a conformismo/consumismo, personalismo, clientelismo, paternalismo, ecc; tutto su ipotesi/prospettive argomentate ma deduttive, che nove anni dopo la redazione del saggio vediamo realizzate sono in minima parte. Si riprende di qualità da p.49 con l'analisi dell'operato del governo, per ambiti (econ, sicurezza, esteri, istituzioni) e macroattività; all'altezza dell'inizio l'ultima dozzina di pagine, con qualche riferimento all'estero ed una visione un po' più di insieme che coinvolge nelle responsabilità altri soggetti oltre al solito Berlusconi.

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irene giordano
Recensioni: 5/5

Lucido, chiaro, breve, di ampio respiro, ma non ha avuto il successo che si merita, forse perché critico anche verso la politica della sinistra. Mi chiedo se è conosciuto nei paesi europei, dove Berlusconi e il "berlusconismo" viene considerato un fenomeno solo italiano... Se ne è stata fatta una traduzione in francese vorrei conoscere la casa editrice. Grazie

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Piero
Recensioni: 5/5

Grande, lucida, fluente analisi sociologica del "fenomeno Berlusconi" come crisi del sistema democratico occidentale. Dimenticate Ginsborg come girotondino, qui e' lo scienziato che parla.

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Voce della critica

La personalità politica di Berlusconi, così come la natura dei suoi due governi (quello breve del 1994 e quello lungo iniziato nel 2001), hanno caratteristiche peculiari che, al di là del quasi totale monopolio televisivo-mediatico e dello stesso strapotere economico, devono essere approfondite e studiate. Il signor B. è una creatura in via di apparizione, vale a dire una sorta di apripista che inaugura, nel sempre effervescente laboratorio politico italiano, una stagione inedita della politica moderna? O è invece una nuova epifania dell'interminabile autobiografia della nazione italiana? È un absolute beginner o la "rivelazione" del ripresentarsi di ben note persistenze? Sinora, con l'eccezione (peraltro parziale) del Governo Berlusconi. Le parole, i fatti, i rischi, raccolta di saggi curata da Francesco Tuccari (cfr. "L'Indice", 2002, n. 4), l'analisi, inevitabilmente, non è stata disgiunta dalla critica e dalla denuncia. Queste ultime, anzi, hanno alimentato e fecondato l'analisi stessa, come risulta ben evidente dagli interventi, formidabili sul terreno etico-politico come su quello tecnico-dottrinale, di Franco Cordero e di Paolo Sylos Labini (per entrambi cfr. "L'Indice", 2003, n. 6).

A questo tipo di pubblicistica critico-esplicativa, pur apparendo più quieto e distaccato, non si sottrae il volumetto di Paul Ginsborg, che contiene una pacata ricostruzione dei fatti, una serie di osservazioni (talvolta rapsodiche, ma sempre assai acute) sulla specificità del fenomeno in questione, nonché alcune riflessioni sull'azione passata e sulle prospettive future dell'opposizione, anzi delle opposizioni (la sociale, la culturale-morale-movimentistica, la politica e parlamentare). Sono tuttavia le osservazioni su Berlusconi, e sulle ragioni del suo successo, la parte più importante del libro. Con al centro la forma di governo. La democrazia italiana, oggi, parrebbe infatti per Ginsborg appartenere - il condizionale è d'obbligo, data la fluidità del momento storico - alla famiglia delle democrazie elettorali più che a quella delle democrazie liberali. Indiscusso, senza dubbio, è il plebiscito personalizzato e il rispetto delle regole elettorali. La legge, tuttavia, non è eguale per tutti, non solo per la disparità dei mezzi mediatici ed economici in campo, ma perché la maggioranza ha promosso e approvato (trascurando tutte le emergenze) quasi esclusivamente misure che soddisfano gli interessi di pochi, anzi di pochissimi. La magistratura è poi minacciata nella sua indipendenza e quotidianamente vilipesa. Il sistema mediatico, infine, sempre secondo Ginsborg, è semplicemente il meno libero d'Europa, così come la concorrenza è sfigurata dai monopoli.

Il deficit, dunque, riguarda più il liberalismo che la democrazia. Ma senza le garanzie liberali, la democrazia diventa mera applicazione delle regole che periodicamente conducono alla formazione della rappresentanza ed esercizio personalizzato del potere. Curioso paradosso, se si pensa che qualcuno, nel 1994, aveva salutato la comparsa, in Italia, del primo "partito liberale di massa". La libertà privilegiata, in realtà, è solo la "libertà negativa", il "fare da sé", l'affrancarsi da ogni interferenza e ostacolo (la burocrazia, le leggi, l'etica pubblica, i vincoli ambientali, il senso dello stato, lo stato stesso). Alla libertà positiva, vale a dire alla realizzazione degli individui nel contesto pubblico, non viene invece dedicata, negli stessi discorsi di Berlusconi, una grande attenzione. Ciò favorisce, come si è detto, la democrazia personalizzata. Ci vuole il carisma, tuttavia, per tenersi in sella su tale democrazia.

E Ginsborg, pur essendo stato preceduto da altri, ha il merito di insistere su tale categoria weberiana. Chi ha carisma? Oggi, moltiplicandosi e degenerando l'uso della parola stessa, si assiste, grazie ai media, a una supposta, e ciò nondimeno tangibile, carismaticità diffusa, cui non vengono ritenuti estranei calciatori o conduttori televisivi. Ha insomma carisma, così si dice sui rotocalchi e in tv, chi ha successo e/o faccia di bronzo. Per lo stesso Weber, del resto, il potere carismatico, per sua natura sovversivo nei confronti del potere tradizionale e di quello legale-razionale, non esiste in quanto tale. È riconosciuto dai seguaci. Nel nostro caso dagli elettori e "spettatori". Per questo chi ha la ventura di possedere il carisma è condannato a vincere. Un politico come Rumor poteva perdere, ammetterlo e risollevarsi. L'uomo di Arcore può solo vincere. Se registra una sconfitta, o fa una gaffe, grida che non è vero. O addebita la causa a un complotto. Il portatore di carisma deve poi, per Weber, essere ritenuto, anche se ricchissimo, del tutto disinteressato quando è in gioco il potere. Ciò spiega la disperata battaglia dell'esecutivo contro la giustizia. Non è in gioco solo un caso personale. É in gioco quel che lo stesso Weber, in Politik als Beruf (1919), definiva Führerdemokratie. Il fatto è che Berlusconi non è un leader, vale a dire il prodotto di una competizione-selezione politica, ma un boss, un capo, vale a dire il prodotto politico, e nel contempo umoralmente "antipolitico", di una improvvisa comparsa che si vuole soteriologica e appunto carismatica (la "discesa in campo" di "un uomo solo al comando"). La direzione dei partiti e dei governi da parte di capi plebiscitari determina del resto, sempre per Weber, la rinuncia dei seguaci alla propria anima (Entseelung) o, anche, la loro "proletarizzazione spirituale". Seguaci e alleati devono infatti obbedire. Devono essere "macchina".

Da dove deriva il carisma berlusconiano? Torniamo a ciò che espone Ginsborg. Per il quale tale carisma deriva da un amore totale verso se stesso, da un mix di chic (io direi piuttosto kitsch) mediterraneo e di "stile Dallas", dalla capacità di generare autoidentificazione e proiezione dei propri desideri. Berlusconi non è solo un venditore, come aveva sostenuto in un bel libro il compianto Giuseppe Fiori (cfr. "L'Indice", 1995, n. 8). È l'incarnazione di un esibito potere patrimoniale, necessario per forgiare un carisma adatto all'età del consumismo indotto (ma i consumi sono vertiginosamente calati e ciò preoccupa il "capo", evidentemente non per ragioni solamente economiche). Berlusconi è insomma soprattutto un compratore: "di beni e di imprese, di ville e di calciatori, di reti televisive e di gente di spettacolo, di supermercati e di case editrici, forse anche di giudici (benché sia necessario attendere gli esiti dei processi)". Il suo carisma, che si affianca al reincantarsi del mondo attraverso il "virtuale", non è cioè contiguo all'etica protestante, e intramondana, di Weber. Ma a quel lusso cattolico e a quella rapace mentalità acquisitiva che furono per Sombart i veri presupposti, morali e materiali, dell'accumulazione capitalistica originaria. Ed è anche contiguo, mi pare, alla Scomparsa dell'Italia industriale, come recita il titolo di un recente, illuminante e drammatico volumetto di Luciano Gallino (pp. 106, Ç 7, Einaudi, Torino 2003). Un volumetto che andrebbe letto insieme a questo di Ginsborg. E che ci consente di vedere in Berlusconi il sintomo del declino di quella grande e produttiva classe borghese italiana che è stata determinante al tempo della "rivoluzione industriale di massa" e del famoso "miracolo". Nessuno, del resto, definisce Berlusconi un "borghese". Piuttosto un parvenu. All'immaginazione dei sociologi lasciamo in ogni caso il compito di definirlo in modo acconcio.

Il volumetto di Ginsborg è stato comunque licenziato prima delle non eccellenti prove elettorali della tarda primavera. Prima del cosiddetto "lodo Schifani". Prima dei dissapori nella maggioranza. Cresce probabilmente la disaffezione. Val la pena di chiedersi quanta disaffezione può sopportare il carisma esibizionistico del compratore.

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Paul Ginsborg

1945, Londra

Storico inglese, naturalizzato italiano, Paul Ginsborg è stato tra i più noti studiosi contemporanei della Storia d'Italia.Fellow del Churchill College di Cambridge, nella cui Università ha insegnato presso la Facoltà di Scienze Sociali e Politiche. In Italia ha avuto incarichi di insegnamento alle Università degli Studi di Siena e Torino. Dal 1992 ha insegnato Storia dell’Europa contemporanea nella Facoltà di Lettere di Firenze.Ha pubblicato, tra lgi altri, Storia d'Italia 1943-1996 (1998), Berlusconi (2003), Il tempo di cambiare (2004), La democrazia che non c'è (2006) e Salviamo l'Italia (2010).Foto dell'autore © Profile Books

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