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Bisogna avere i coglioni per prenderlo nel culo
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Bisogna avere i coglioni per prenderlo nel culo - Aldo Busi - copertina
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Bisogna avere i coglioni per prenderlo nel culo

Descrizione


Stanco di raccontare agli italiani le verità su di loro che essi non amano stare ad ascoltare, in questo suo nuovo libro Aldo Busi torna a fare le valigie per intraprendere un lungo viaggio attraverso isole, penisole, istmi e altre celebri e ignote realtà geopolitiche sparse nel pianeta. Passando da Capri a Itaca, dall'Irlanda a Salonicco fino a mettere piede nel promontorio di Sant'Elena, Busi compie le sue personalissime "prove d'esilio", percorrendo luoghi che in comune hanno la rassegnazione con cui i loro abitanti vivono isolati gli uni dagli altri e tutti insieme dal resto del mondo, spesso senza neppure esserne coscienti. Lo perseguita un insonne spirito di osservazione che non gli permette di eludere alcuna esperienza: di sesso, di solitudine, di solidarietà. E così, tra una passeggiata nello squallore degli slums di Johannesburg e un party di lusso a New York, scopriamo che l'emarginazione ha la pelle di tutti i colori, si annida al vertice come alle fondamenta della piramide sociale e non risparmia nessuna etnia, nessuna posizione di privilegio, nessun reddito. E l'ultima àncora Busi la getta nella più insospettata delle isole di Pasqua, dove si respira l'ironica consapevolezza che "siamo feretri in ballo, il ballo della fine apparente, tra l'interramento e il volo, con dentro ancora qualcosa di vivissimo che risuona e fa schiodare la cosa, non ancora del tutto definitiva, avanti e indietro dal cimitero della ragione e della sua spensierata materia, senza mai nulla di fatto...".
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Dettagli

2006
16 maggio 2006
306 p., Rilegato
9788804557258

Valutazioni e recensioni

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C.Matar
Recensioni: 5/5

Più che un diario autobiografico di viaggi un breviario di opinioni, idee e tendenze personali, spesso condizionate dall’eterna (e quanto mai animale oltreché connaturata) libido o, forse, dalla ricerca di un segno che possa interpretarsi o confondere con il sempre agognato grande amore. Libro divertente, sincero, falso, illuminante, dissacratore, evanescente, mistificatore e, soprattutto, generoso. Libro trasgressivo, incisivo, profondo ed a tratti lirico, sebbene fin troppo subordinato alle onnipresenti ossessioni sessuali. In ogni caso: narrativa, letteratura, dalla consistenza geniale. C.Matar

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Alex
Recensioni: 5/5

ScritturaVerità è il nome della Letteratura. Non ha importanza che le cose siano poi andate diversamente, perché di una verità letteraria è sempre vero pure il contrario: riuscissimo solo a vivere a questo modo, non dimezzati dalla parte del bene o del meno bene, ma integri, e fedeli in primis non alle nostre convinzioni (questi pietosi inciampi del fato) ma al nostro destino. Busi, come sempre, riconferma il teorema

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Antonio Schimera
Recensioni: 5/5

"Vivo in un'inondazione di pioggia che però ha riempito tutte le grosse buche nelle strade e sui marciapiedi sicché una volta tanto tutto sembra allo stesso livello, tutto è marrone uguale e liscio". Un lungo viaggio tra Capri e Itaca, l'Irlanda e Salonicco fino al promontorio di Sant'Elena. Nulla di più divertente se la lunghissima passeggiata comincia e finisce accanto ad Aldo Busi. Ha il piglio di un atto vessatorio: attraverso un'analisi irriverente e cruda, reale e divertente della società Busi, con il suo spirito di osservazione immediato, porta a galla tutta una serie di dinamiche in cui gli uomini e i luoghi sono irrimediabilmente irretiti sottolineando, paradossalmente, la rassegnazione con cui i rapporti si vivono quando, mirabilmente, non ci si ritrova già irrelati. Il punto di vista è sincero, elimina costrizioni intellettuali e moralità tipicamente cristiane per analizzare, come in un'odissea contemporanea (in cui si ritrova un Busi dedito alla promiscuità sia corporale che sociale ed intellettuale), il corpo come l'unico modo reale per ritrovarsi mischiati con l'intera umanità. L'analisi efficiente ed il piglio ironico, sarcastico e pungente, sezionano col l'efferetezza di un'alabarda il triste perimetro in cui quotidianamente ci si muove, tra rassegnazione e voglia di apparire, in relazioni in cui a volte ci si ritrova clienti? a volte prostitute. Lo consiglierei ad ogni scuola? da alternare alle letture di Dante e Manzoni.

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Voce della critica

Erotolalia e omopatia. Come un pendolo dal movimento volutamente irregolare, l'estetica narrativa di Aldo Busi oscilla sempre più tra questi due poli. Ammaliando lo sguardo del lettore indifeso, allentando le difese di quello armato anche di tutto punto.
La prima, ben sostenuta dal consueto stile rapinoso e debordante, sacrifica alle parole brutali di un amore disperatamente cercato ma un attimo dopo (o un attimo prima) rinnegato; linfa e veleno di un corpo che ha rinunciato a rimestare nelle ceneri, ormai definitivamente estinte, del fuoco di passione che aveva costretto un tempo il giovanissimo autore a "darsi in pasto più volte al giorno" ("avrei scopato anche con Moby Dick arpionata e anche in apnea", Seminario sulla vecchiaia). Erotolalia in quanto verbalizzazione paranoica della copula in assenza di questa (si sarebbe altrimenti trattato di erotofilia o erotomania), provocazione della parola sessuata per ribadire, in modo paradossale, l'inappetenza (del desiderio erotico): parlare d'amore è fare l'amore. Mai così scabroso, peraltro, il titolo, ultima tappa di una sessuodisfemia in crescendo: da Sodomie in corpo 11 (1988) a Cazzi e canguri (pochissimi i canguri) (1994) a questo Bisogna avere i coglioni per prenderlo nel culo.
La seconda è lo stato di sofferenza del vivere, di inselvatichita malinconia con cui Busi sembra quasi intonare il suo controcanto morale alla gaytudine, sempre più furbescamente blandita dai media (ancora assai dura a morire, però, la stereotipia di gridolini e falsetti, sculettamenti e moine, abitini di Calvin Klein e Dolce & Gabbana) e cavalcata dai protagonisti della società dello spettacolo che fanno a gara per chi riesce meglio nell'impresa di coming out (o, come sempre più si usa erroneamente dire, di outing). Il futuro, così, se rosa del tutto il presente ancora non è (le gerarchie ecclesiastiche non stanno certo lì impalate a guardare e la pelosità del cattolicesimo di risulta vi aggiunge del suo), pare sempre più gaio. Lo sdegnoso lumbard, però, non ne vuole assolutamente sapere di seguire l'onda; come la sua sessualità, ormai abrupta e annichilitada una scelta di campo che ha umiliato "ogni sogno, ogni mito, ogni fatica, ogni volontà, ogni disciplina sentimentale, intellettuale, civile": per quel poco che ancora sopravvive del sesso, alla fine, uomini e arnesi perciò pari sono ("per la parte che hanno gli uomini nella mia omosessualità mi andrebbe bene anche un aspirapolvere").
La materia, per il resto, è nota. Una particolare attenzione riservata, nel resoconto delle varie avventure di viaggio, ai modi della loro verbalizzazione ("Non ho mai svicolato una sola volta dalla fatica retorica di attingere dalla mia linfa alfabetica di riserva più nascosta per riportare in presa diretta gli avvenimenti dei miei viaggi"). L'elogio convinto dell'ipocrisia, perché "la menzogna è sempre più credibile di una verità inaudita" e "fingere è a tutt'oggi l'unico segno di sicura civiltà degli umili" ("e di sicura inciviltà dei potenti"). Un ombelicalismo sfacciato ("Si dovrebbero fare reportage incentrati solo sulla mia persona e sulla mia opera per almeno cent'anni a venire"), già prefigurato nell'Aldo-Barbino di Seminario sulla gioventù, ricamatore bambino di centrini, "in cambio di qualche lira", per zie e vicine; a forza di sperimentare sempre nuovi disegni escogita alla fine il ricamo ideale: un ragazzino che si rispecchia dentro uno stagno e che da solo fa per due. La noncuranza apparentemente snobistica con cui viene portata in preziosistico trionfo una teoria di colori, sapori, specie animali e vegetali alimentata, in molti casi, dai ricordi contadini dell'infanzia montechiarina. Un moralismo, a tratti irritante, che è motivo civettuolo di vanto ("Sarò anche un esteta ma spero mi venga riconosciuto che sono innanzitutto un moralista: ci tengo tanto!"). Una fantasmagoria erotica che supplisce all'assenza del coito con la costruzione di immaginari da malabolgia dantesca. La refrattarietà a ogni forma di potere e a ogni consorteria o professione costituita (ce n'è per tutti: preti, politici, giornalisti, giudici, industriali, intellettuali, artisti, cantanti, scrittori laureati) e un antidogmatismo e un libertarismo radicale che, nel tentativo di smascherare il magistero unico nel campo generale del pensiero, arrivano a sfidare sul suo terreno l'assolutismo sociale, culturale, politico, religioso nelle sue varie manifestazioni. Feroci, soprattutto, le tirate antireligiose: contro l'omofobia di papa Benedetto XVI come del mahatma Gandhi; contro le grandi religioni monoteiste ("la più grande barbarie della storia dell'umanità"); contro ogni forma di proselitismo in nome dei vari Messia o Salvatori.
E poi figure descritte in modo tanto grottesco da sembrare foto scattate dall'obiettivo inquietante di Diane Arbus; gli affondi contro una giustizia ingiusta che mostra i muscoli con i deboli ma si genuflette davanti ai forti; l'aristocratico disprezzo per il "procreazionismo furioso" occidentale, adesso anche "artificiale e lesbico e gay"; lo sbandieramento impietoso delle magagne di una italianità inspiegabile, "irresistibile adorazione per mafia, fascismo, superenalotto" e, nuovamente, provvidenza divina; l'amore in forma di amicizia, del tutto disinteressato, che nell'evitare il pericolo di una identificazione dell'uno con l'altro dichiara l'impossibilità di un secondo incontro dopo il primo (con Fotis, giovane e fascinoso greco conosciuto carnalmente una volta e mai più cercato).
Resta ancora, a completare il quadro, lo struggimento per il venire meno di una ispirazione verbale (è sempre la parola a dettar legge) che per Busi, messo continuamente alla prova dall'italiano lingua che non c'è ("dei sagrestani e delle perpetue in aspettativa" nonché "di uno staterello provincia del Vaticano!"), è proprio tutto; l'oggettivazione della parola (pensata, fin da quando era Barbino) nella scrittura finisce così per scalzare il vissuto ("io non ho pertanto un passato, non lo posso avere, perché il mio passato sta non nella mia vita ma nelle parole scritte") e per svuotare di significato un presente avaro dei grandi romanzi di un tempo ("da quando non scrivo più non so più niente di me"): molto meglio, allora, sognare di smettere definitivamente di scrivere.
Infine il primato del libro, delle divorate e onnivore letture. Non è poco in un'epoca in cui i libri sono sempre più attirati dall'insidioso tranello che gli tendono forme di apparente conservazione (di più: di traino) della loro specificità e che si rivelano invece energie traditrici, di disintegrazione dell'atto stesso di lettura: dai blog, agli audiolibri, ai volumi-supplemento che, come ha scritto Alessandro Baricco sulla "Repubblica" (29 giugno 2006), "prolungano" altre esperienze; il libro, in quest'ultimo caso, come oggetto sussidiario o succedaneo di qualcosa che è sempre altro (il quotidiano o il periodico a cui è abbinato), il libro come appendice o "nodo passante di sequenze originate altrove e destinate altrove" (è sempre Baricco a parlare), il libro che non leggeremo mai.
Mai come in questa sua ultima prova Aldo Busi, senz'altro il più dotato e visionario scrittore della sua generazione, mi è sembrato tanto vicino a una possibile soluzione per questi nostri tormentatissimi anni. Il suo ego turgido e continuamente "in tiro", una volta tanto, riesce a farci toccare con mano così bene e così a lungo le sue illusioni, i suoi errori, le sue sofferenze da disinnescarne la carica potenzialmente distruttiva; restituendoci in questo modo, del suo "catastrofismo ottimistico" (per rovesciare quanto ha detto recentemente di sé Edoardo Sanguineti), non solo la terragna, indomita tensione verso una conclamatissima libertà, ma anche, nella controluce dell'apparente smarcamento, le diafane forme di una qualche forma di saggezza e di verità.
Ancora troppo smodato però quell'ego per consentire al suo autore una fuga, una latitanza, un'assenza significativa. Forse ad avergli impedito finora l'accesso al pantheon dei moderni miti contemporanei, ancorché dimidiati e un po' piccoloborghesi, è la resistenza alla eclissi volontaria totale, quella dei grandi personaggi (come Thomas Pynchon) a cui la cronaca non riesce, non riesce più, non è mai riuscita a dare un volto. Ci vorrebbe perciò un atto di coraggio. Una splendida frase di Fernando Pessoa, che piacerà senz'altro a Busi, potrebbe aiutare nella scelta: Escrever é preciso. Viver não é preciso ("Scrivere è necessario. Vivere non è necessario"). Tantomeno necessario quando a essere in questione non è l'esistenza come valore assoluto, ma la quotidianità spicciola, inutilmente consumata nei salotti mondani e negli studi televisivi.
  Massimo Arcangeli

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Aldo Busi

1948, Montichiari (BS)

L'esordio letterario risale al 1984 con Seminario sulla gioventù. Considerato uno dei maggiori scrittori italiani, è anche apprezzato traduttore letterario. Ha tradotto diversi libri tra cui Alice nel paese delle Meraviglie di Lewis Carroll e Intrigo e amore di Friedrich Schiller. Tra le sue opere: Vita standard di un venditore provvisorio di collant, Sodomie in corpo 11, Altri Abusi, Le persone normali, Vendita Galline km 2, Manuale del perfetto single, La signorina Gentilin dell'omonima cartoleria, E io, che ho le rose fiorite anche d'inverno?, Casanova di se stessi, Dritte per l'aspirante artista (televisivo), Aaa!, Bisogna avere i coglioni per prenderlo nel culo, Vacche amiche (un'autobiografia non autorizzata), La camicia di Hanta, Seminario sulla gioventù-Seminario...

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