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Anno edizione: 2018
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recensione di Piretto, G.P., L'Indice 1993, n. 9
La struttura di questa meticolosa raccolta epistolare combina lettere di Cajkovskij collegate tra loro da brevi brani di raccordo e discreto commento, in modo da ottenere l'effetto di una narrazione in prima persona. Anche in questo caso, come si è scritto per la Berberova, la professione dell'autrice lascia tracce piuttosto vistose. Aleksandra Orlova aveva lavorato in diversi archivi di musei sovietici, compreso il museo-residenza di Cajkovskij a Klin, prima di emigrare dall'Urss nel 1979. La lettura procede su un filo documentaristico, attento e completo, volutamente scevro di coinvolgimento ed emotività. La combinazione di stralci epistolari non sempre è felice. Il criterio seguito accosta in uno stesso brano lettere a persone diverse, montate in base ad ambiti tematici e cronologici, e il risultato è talora disorientante per il lettore che spesso non riesce a collegare luoghi e fatti con la necessaria lucidità. Il punto attorno a cui ruota l'attenzione riguarda le circostanze di morte. La censura sovietica rimosse sempre gli ambiti scabrosi quali le ipotesi di omosessualità e suicidio di Cajkovskij. La Orlava propone in chiave di "giallo" il presupposto del giurì d'onore che avrebbe "condannato a morte" il musicista per cancellare lo scandalo della sua omosessualità. Si parla anche, ma sempre in termini di tradizione orale, di una misteriosa lettera conservata nel museo di Klin, che avrebbe costituito la prova schiacciante di questa tesi. Manco a dirlo la lettera è irreperibile e i testimoni oculari in forza al museo negano che sia mai esistita. I criteri "scientifici", didascalici adottati per la stesura del testo epistolare contrastano con queste concessioni alla facile sensazione che trovano, per altro, scarso riscontro nel testo del volume. L'aspetto più interessante di questa cronaca epistolare riguarda senz'altro le teorie estetiche e musicali a cui Cajkovskij faceva riferimento, la genesi e il seguito delle sue opere, i viaggi, le sue letture e anche la posizione religiosa e il coinvolgimento politico di Cajkovskij. Proprio quegli aspetti che il "romanzo" della Berberova tralascia. L'autrice avanza legittimi dubbi sulla totale sincerità degli scritti cajkovskiani, sulla parzialità delle scelte operate, ma la ricchezza del materiale raccolto compensa queste obiezioni. Qualche riserva sulla traduzione. D'accordo non assecondare soluzioni interpretative "di repertorio" (v. Nota del curatore), ma, per citare un esempio, la resa troppo letterale del diminutivo in 'mogucaja kucka' con "possente mucchietto" (p. 94) non fa che trasformare il "Gruppo dei Cinque" (Mila) o "l'invincibile Banda" (Pestalozza) in un 'calembour' tra il ridicolo e il patetico, che nulla ha da spartire con il gustoso ossimoro che solo in russo può indicare i maggiori musicisti contemporanei di Cajkovskij.
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