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Caro Johannes! Billroth-Brahms: lettere 1865-1895
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Descrizione


Theodor Billroth, scienziato e musicologo, e Johannes Brahms si incontrarono a Zurigo nel 1865. Il carteggio che nacque da quell'incontro è la storia dell'amicizia tra due personalità unite da un legame profondo ma assai diverse tra di loro. Nell'epistolario troviamo il resoconto delle memorabili serate musicali nel corso delle quali si realizzò, privatamente, la prima esecuzione di alcuni dei maggiori capolavori brahmsiani. Ma anche progetti e ricordi di viaggi in Italia fatti insieme, la vita di tutti i giorni, le piccole e grandi incombenze. Da parte di Billroth, che ormai esercitava il mestiere di musicologo solo nelle lettere a Brahms, c'è un'analisi dettagliata delle opere dell'amico che trovò in lui in critico attento e solidale.
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Dettagli

EDT
1997
18 settembre 1997
160 p.
9788870632200

Voce della critica


recensione di Fava, E., L'Indice 1998, n. 2

"Il sapere è unicamente la materia del pensiero, ma soltanto l'uomo che si muove con agio all'interno del sapere può essere considerato colto": così scriveva Theodor Billroth nei suoi "Aforismi", individuando con implacabile lucidità la differenza che intercorre fra il sapere libresco e la familiarità congenita con luoghi e memorie della cultura. La rarità del suo sodalizio con Brahms risiede proprio nell'amalgama di arte e vita, nel sovrapporsi di un continuo dialogo intellettuale alla spontaneità di un legame fraterno; abbozzi e partiture viaggiano dalla casa di Brahms a quella di Billroth e ritornano al mittente accompagnate da lettere-fiume, con annotazioni, rilievi, a volte perfino consigli. Consigli che Brahms aveva ben cari e che sollecitava personalmente, tanto era grande la stima nutrita per l'amico: con il quale finì per guastarsi, dopo vent'anni di comunione spirituale, per alcuni sciagurati malumori che aggravarono qualche inevitabile divergenza estetica.
Nel 1935 il genero di Billroth raccolse l'intero carteggio e lo diede alle stampe; per renderlo più accessibile Aloys Greither decise nel 1969 di proporne un'oculata selezione, privilegiando le lettere connesse con importanti lavori brahmsiani o quelle più ricche di addentellati culturali. Per colmare le lacune più vistose, Greither inserì di propria mano qualche precisazione, in modo tale da restituire il senso delle pagine omesse. Anna Rastelli ha ripreso l'antologia di Greither, offrendola finalmente in lettura anche al pubblico italiano; ma il suo lavoro non si è limitato alla traduzione (di per sé impervia, dato il tono colloquiale dell'epistolario e i costrutti ellittici dello stile brahmsiano). La Rastelli ha ricontrollato l'intero apparato di note redatto da Greither, ha arricchito le sezioni di raccordo interpolate nell'epistolario e ha voluto presentare ogni lettera immune da tagli, inserendo in parentesi quadra i passi che Greither aveva espunto. Va notata anche la delicatezza con cui la curatrice emenda numerose sviste del curatore tedesco senza mai farlo notare al lettore: che se ne può accorgere soltanto verificando di persona le discrepanze fra le due edizioni.
Chirurgo di fama europea, scienziato all'avanguardia e docente universitario, Billroth riuscì con teutonica fermezza a conciliare la professione (a quei livelli!) con l'attitudine alla musica e l'impegno, giusto come critico musicale, sulla "Neue Zürcher Zeitung". Fra le motivazioni addotte nella lettera con cui, ormai trasferitosi a Vienna, ricusava un importante incarico berlinese, la principale sarà l'impossibilità di allentare il vincolo d'amicizia che lo lega a Brahms e Hanslick. Questa necessità, questa sete di un dialogo tra affini traspare con molta evidenza dalle lettere, in cui vibra la commozione di chi si sente partecipe di una parabola artistica eccezionale, se ne nutre e ne ricava una linfa spirituale che cerca sbocco almeno in uno sfogo per iscritto.
Quante volte si avverte il desiderio di proseguire la conversazione a voce; lettere come quella di Billroth datata 6 gennaio 1886 sono meditazioni costellate di punti interrogativi, un appello lanciato durante ore serali colme di fertilità intellettuale e di domande insolute, come capita agli spiriti non dogmatici. "Come fa un artista a riconoscere la propria originalità? E qual è il significato della sua originalità? Forse che la maggior parte degli artisti - ed escludo quei poveri diavoli che devono lavorare per guadagnarsi il pane - non credono di creare qualcosa di nuovo? E la maggior parte di loro non si inganna su questo?"; Billroth è alle prese con lo studio del carteggio fra Robert e Clara Schumann e vi medita per iscritto, in colloquio mentale con l'amico Johannes; ogni tanto scivola dalla penna qualche osservazione di carattere domestico ("La lampada si sta spegnendo"; "Proprio adesso è venuta la mia Helenchen a darmi la buona notte!"), che dà al lettore la sensazione di premere per un attimo il viso contro i vetri appannati di casa Billroth e gettare un'occhiata nello studio del chirurgo-musicista. "Sarebbe troppo crudele mostrarmi qualcosa e poi portarmelo via", replica a Brahms con affettuosa cocciutaggine quando questi gli spedisce il manoscritto delle due "Rapsodie op. 79" con la pretesa che Billroth lo ceda immantinente al copista; con imperturbabilità da chirurgo l'amico si autorizza una piccola dilazione. Brahms raccomanda sempre un'estrema segretezza a proposito degli inediti che l'amico ha il privilegio di suonarsi in anteprima; ma Billroth è natura riservata al pari di Brahms e custodisce gelosamente il tesoro della sua amicizia, gli parrebbe di sciuparne l'unicità se ne discorresse con terzi: "Certamente non confiderò a nessuno alcunché riguardo ai tuoi nuovi trii, del resto la tentazione non è grande, perché qui non c'è nessuno a cui possa o voglia dare questo genere di informazioni" (20 giugno 1880).
Nature introverse, ed entrambe un po' ispide, Brahms e Billroth si intendono benissimo anche sul piano umano: finché i postumi di una grave malattia azzerano le facoltà reattive di Billroth e portano a qualche silenzio di troppo, a qualche malinteso mai chiarito e degenerato a incomprensione. "Il tuo 'Wanderer' sei tu, nel tuo essere più profondo", scrive Theodor dopo la lettura di un "Lied" dell'op. 106. E Brahms: "Suona sempre un po' malinconico quando scrivi della tua grande solitudine. Capisco molto bene", ammette; "Certo anche io sono così. Da molto tempo, o forse da sempre, ero e sono uno che se ne sta in disparte!" (22 luglio 1886).
L'incidenza maggiore delle lettere di Billroth rispecchia il rapporto effettivo del carteggio (come tra Hofmannsthal e Strauss); Brahms è più laconico, mentre l'amico affida alla carta considerazioni estetiche, confessioni spirituali, divagazioni letterarie di vario genere, ampie, ma mai prolisse. Il lettore viene conquistato sia dalla ricchezza degli argomenti toccati sia dall'acutezza delle analisi che Billroth compie sulle composizioni brahmsiane; il sentore di malinconia delle ultime annate di corrispondenza stringe il cuore, ma svela sul carattere di entrambi più di quanto possa una biografia.
Il lavoro della curatrice è condotto, come si diceva, con grande scrupolo e mette in condizione chi non è troppo in confidenza con il tedesco di accedere a uno stile un po' ermetico e spesso di difficile decifrazione. Il libro è appena uscito e, come capita nelle "prime edizioni", si è intrufolato qualche refuso che segnaliamo in vista di un'auspicabile ristampa: a p. XXIV dell'Introduzione un "sol minore" anziché "sol maggiore" scombina involontariamente le tonalità dei "Concerti" di Beethoven; e lo stesso avviene a p. 23, dove l'originale menziona la "Si""nfonia in do minore" (non in sol). Sono piccole inesattezza che non compromettono certo la bontà del lavoro: un epistolario fra arte e sentimento, che lascia intendere più di quanto dica, ma che proprio in questo pudore dell'affetto ritrova intatto il suo fascino dopo un secolo, all'ombra delle parole di Brahms: "Un ringraziamento (...) quanto più è sentito tanto più è espresso sottovoce" (9 giugno 1872).

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