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Il paesaggio del cinema. Dieci studi da Ford a Almodovar - Sergio Arecco - copertina
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2002
11 giugno 2014
184 p., ill.
9788880121916

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me
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Propone riflessioni molto interessanti su uno degli aspetti più intriganti nel cinema: la rappresentazione del paesaggio. Molto consigliato. Per gli appassionati di cinema, consiglio tutti i libri della stessa collana Le Mani-Microart'S.

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Voce della critica

Sergio Arecco

IL PAESAGGIO DEL CINEMA

Dieci studi da Ford a Almodóvar

pp. 179, Euro 15,

Le Mani, Genova 2002

Il volume di Sergio Arecco, critico cinematografico che ha pubblicato diverse monografie, costituisce un interessante contributo all'analisi di quel vero e proprio doppio che, per il grande cinema di ieri come per quello di oggi, è stato ed è il paesaggio. Termine che va inteso nel senso di un immaginario che non è mai sfondo o contorno illustrativo, ma presenza viva, interlocutore privilegiato e speculare ai personaggi, complemento insostituibile alla loro articolazione narrativa e alla loro storia. Il percorso tra "vecchio" e "nuovo" tracciato dall'autore conduce il lettore dalla mitologia western alla mitologia contemporanea, ma anche dal vuoto della Monument Valley, che improvvisamente si popola di uomini e cavalli, al pieno dello scenario urbano, che in modo altrettanto repentino si spopola e si fa deserto, luogo di solitudini e derive. Nel passaggio dal cinema classico al cinema postmoderno non cambia però la logica di una visione che è sempre incentrata su confini e sconfinamenti, contrazione e dilatazione di spazi e orizzonti, incontra rileggendo alcune delle opere dei registi che meglio hanno saputo incarnare il rapporto cinema/territorio, da Ford ad Antonioni, da Malick a Bertolucci, da Rohmer a Visconti. E non ci si stupisca che sia presente anche un tipico metteur en scène "di interni" come Almodóvar: pure il suo è un cinema di pieni e di vuoti, di volumi e di geometrie, e poco importa che la sua formalizzazione abbia luogo (anche se non sempre) nel chiuso di uno studio piuttosto che nel plein air naturale.

Il libro ha una struttura a spirale: comincia con tre film dell'Antonioni italiano e si conclude con tre titoli dell'Antonioni angloamericano, nella convinzione che tra il primo e il secondo Antonioni non vi sia alcuna discrepanza o discontinuità. E si sviluppa poi seguendo la regola del tre, ossia dei tre film-campione per ognuno degli altri nove registi chiamati a tenergli compagnia (con l'eccezione di Bertolucci, di cui viene esaminata una sola opera, sdoppiata però in due per le sue ingenti dimensioni): Rohmer, Hawks, Malick, Almodóvar, Visconti, i fratelli Coen, Campion, Bertolucci e Ford. Il percorso proposto dall'autore ha una sua precisa logica, senza essere per questo rigido: è infatti lo stesso Arecco a indicare la possibilità di rovesciare e addirittura di rimescolare l'iniziale ordine dei capitoli. Rimane il fatto che i film scelti, pur appartenendo a dieci registi diversi per nazionalità e cultura, condividono tutti un senso di naufragio. Naufragio che può essere salvifico o meno, ma che resta comunque il tratto, o la traiettoria, saliente di quella dialettica del vuoto che regola sempre i rapporti formali in tema di cinema e paesaggio. Nel senso che il vuoto non può rimanere tale e deve dialetticamente colmarsi di figure, popolarsi, gremirsi, per poi magari deterritorializzarsi e tornare alla cifra originaria. Con la consapevolezza che non si tratta di una dinamica esclusiva e pertinente a un solo tipo di cinema, e che di essa, della sua specifica orchestrazione dei pieni e dei vuoti, si nutre, in definitiva, l'intera grammatica cinematografica.

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