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L' odore della Maremma - Mario Puccini - copertina
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Dettagli

1985
1 gennaio 1985
244 p.
9788820712822

Voce della critica


recensione di Della Terza, D., L'Indice 1985, n. 9

Nel corso di una carriera durata un cinquantennio lo scrittore marchigiano Mario Puccini s'impose un intenso ritmo di produzione, un sollecito artigianato scrittorio veramente notevole in un periodo segnato, in Italia, da desuetudine del romanzo. Merito del curatore del presente volume - un esperto: Antonio Palermo - è stato quello di averci saputo offrire uno spaccato della produzione narrativa del Puccini tra il 1922 ed il 1955 intorno ad un tema unico: la Maremma.
Tra le insidie della malaria, le memorie ataviche di briganti ingigantite ai margini del mito, i protagonisti del libro vivono una vita fatta di preclusioni e di silenzi, di familiarità con la terra folta di misteri. Di fronte a loro si erge la figura dell'io narrante, l'avvocato, un estraneo esigente diviso tra l'amore per un paesaggio che non sa più evitare e l'orrore che i suoi miraggi suscitano in lui; tra la simpatia che prova verso gli abitanti della Maremma e il disappunto che nasce in lui di fronte alla scarsa loro volontà di comunicare il mistero della loro dissociazione dal mondo. Ma, se non in quello degli abitanti della Maremma che sfuggono ad una sua inalterabile definizione, egli può rispecchiare il suo destino almeno in quello dei remotissimi antenati etruschi la cui tomba isolata è stata rinvenuta in Maremma, venuti a morire, nell'ipotesi formulata dallo scrittore, lontani dalla storia; o nel destino del filosofo Ermogaste che cerca se stesso nell'estremo rifugio di una grotta.
Ma cosa vuol dire per Puccini l'esplorazione di questi orizzonti proibiti? In un senso, questo rifugio segnala l'itinerario attraverso cui egli vive ed assorbe l'avventura letteraria di un maestro amato, Giovanni Verga. Da un altro punto di vista, optando fermamente per un orizzonte linguistico incluso tra Lazio e Toscana, egli si distacca dal Verga perseguendo con lucidità una sua strada molto personale. Se in qualche scritto maggiore del Puccini l'esperienza dirompente e pionieristica del discorso indiretto libero dei "Malavoglia" agisce da tentante polo d'attrazione, la mimesi del parlato perseguita in "Odore di Maremma" rivela un'ascesi scrittoria di tipo diverso, rivolta prevalentemente al lessico e, attraverso esso, al raggiungimento di una reificazione dello stile, di una pietrosità che respinge ai margini ogni tentazione di "bello scrivere". Puccini insomma "toscaneggia " nel senso che non lascia spazio all'approssimazione circolocutoria; attraverso la parola va direttamente al cuore della cosa. I butteri che dal primo lucore dell'alba affrontano il vento freddo di Maremma si muovono tra "bruzzico" (luccichio d'alba) e "sizza" (vento freddo). Essi, per muoversi, aspettano che l'alba "strambelli" il buio. E se "strambello" sovrappone straccio a brandello, un personaggio forte, il Nonno Isola, del racconto "Luce" che, nell'incipiente cecità, "cempenna" come un ubriaco, sovrappone nella coscienza dello scrittore che ne rivive la disavventura inciampare a tentennare. Nonno Isola (1926) e il Buttero (1929) sono insomma rispettivamente precursore ed epigono di un altro parlare toscano, esemplarmente ritratto in memorabili pagine di guerra: il soldato Cola. Essi sono i proponenti d'un esatto parlare che si scava con artigianato impeccabile un suo percorso narrativo meritevole oggi di attento riesame...

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Conosci l'autore

Mario Puccini

(Senigallia, Ancona, 1887 - Roma 1957) narratore italiano. Collaboratore della «Voce», esordì nella linea del realismo «provinciale» con le Novelle semplici (1907), cui seguirono altri volumi di racconti e prose varie (La viottola, 1912; Foville, 1914; Piccolo mastro spirituale, 1916), mettendo a punto un’acuta analisi delle «coscienze inquiete», in uno stile fermo e disadorno, immune da tentazioni estetizzanti e bilanciato tra modello verghiano e psicologismo russo. Dall’esperienza di combattente nacquero i diari Dal Carso al Piave (1918), Davanti a Trieste (1918), Come ho visto il Friuli (1919) e, a distanza di anni, il romanzo Cola (1927; poi con il titolo Il soldato Cola, 1935), che fu salutato da Th. Mann come «una delle migliori e più pure espressioni del verismo italiano», capace di...

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