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Come cavalli che dormono in piedi - Paolo Rumiz - copertina
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Come cavalli che dormono in piedi

Descrizione


"Perché proprio qui e ora, in viaggio verso l’alba, inseguito dalla notte di novembre, alla vigilia dei giorni dei Morti, ritrovo la pienezza del mito di Europa, la terra del tramonto dove i popoli si ammassano e non esiste alternativa fra il massacro e la coabitazione?”

Questo è il racconto di un viaggio in treno, anzi di molti viaggi in treno. Il narratore parte per la Galizia: che prima nel 1914 e poi nel 1915 fu teatro di pesantissimi combattimenti fra russi e austro-ungarici. Lì scorre il primo sangue della grande guerra. Lì il narratore raccoglie le prime voci, le voci che vengono dalle piccole luci dei cimiteri polacchi dove le tombe si lucidano sino a farle brillare. E quelle voci si sommano alle altre che progressivamente Rumiz raccoglie: i tedeschi, gli italiani, gli austriaci sembrano parlare la stessa lingua della morte subita. E quei cimiteri si rivelano abitazioni create per l'eterno. Sul treno che lo riporta in Italia dalla Polonia il narratore fatalmente smarrisce il quaderno degli appunti. Quella perdita gli stringe il petto come una morte. Vi legge con nettezza il rischio della perdita della memoria storica che è di fatto il segno più luttuoso a cui noi fragili umani siamo esposti. Per fortuna arrivano come benedizione i nuovi racconti orali, l'aprirsi delle cassapanche dove le famiglie tengono come preziosi cimeli i diari, gli appunti, le cartoline, gli effetti personali di chi non è più. Da quei racconti la memoria risospinge il racconto in Russia, in Ucraina, a Leopoli, là dove si destano le rimembranze di alpini passati dalla guerra alla rivoluzione leninista. La lenta tradotta su cui viaggia il narratore accoglie fantasmi di soldati: i fantasmi dei vivi si accompagnano a quelli dei morti e il viaggio finisce a Redipuglia...
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Dettagli

2014
26 novembre 2014
261 p., ill. , Brossura
9788807031045

Valutazioni e recensioni

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rigus68
Recensioni: 4/5
Oh Galizia tu sei maledetta ...

Tutti sappiamo che l’Italia entrò nel primo conflitto Mondiale nel maggio 1915. Ma pochissimi sono al corrente che già ad agosto 1914, più di centomila trentini e giuliani, in qualità di sudditi dell’impero austroungarico, furono inviati sui campi della Galizia (regione tra la Polonia e l'Ucraina) a combattere contro i russi. In gran parte furono sterminati; beffa finale, i prigionieri sopravvissuti, rientrati a casa a guerra finita (fine 1918), furono considerati nemici in quello che era diventato il loro Paese e spediti in campi di rieducazione nell'Italia centro-meridionale. Rumiz parte per un lento viaggio in treno sui campi di battaglia di Polonia e al confine dell’Ucraina, a visitare centinaia di cimiteri di guerra e accendere lumini assieme al ricordo di coloro che ivi caddero. Dopo un mese di peregrinazioni, al rientro in Italia, su un treno veloce, è derubato di computer e tutti i documenti scritti. Riparte e si spinge fino a Leopoli, divenuta città ospedale, prima degli austriaci poi dei russi. E’ quasi un racconto omerico, una discesa all’Ade con un forte senso di pathos e pietas e rispetto per tante vite stroncate senza una ragione. E’ un racconto incalzante, martellante, a ritmo indiavolato con un linguaggio nobile e altisonante da calibro Nobel della letteratura. Va letto con compunzione, lentamente, come quando si assiste a un’interminabile messa da requiem. Ci sono però lampi di poesia nel buio paesaggio delle tombe: “nevicano zecchini d’oro dalle betulle nel vento” (p. 85); “coro potente di abeti bianchi e faggi mormoranti, contornato da abeti rossi, larici giallo fiamma, pini di tenebra e poi aceri dai forti bicipiti, olmi torreggianti e frassini dalle gemme vellutate” (p. 96). Rumiz dev’essere nato con inchiostro nelle vene e dita a forma di penna, poiché il suo narrare è prodigioso. Un neo: la nostalgia per i bei tempi dell’occupazione austriaca di Trieste e dintorni. E le 5 Giornate di Milano, e San Martino e Solferino, inzuppati di sangue?

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Matteo
Recensioni: 2/5

il libro è lodevole per il portare alla luce una realtà che è stata per molti anni disconosciuta dalla storiografia ufficiale italiana o comunque non sufficientemente esplorata l'autore, pur avendo letto solo Leggenda dei Monti naviganti (molto bello), non riesce a raccontare (se di racconto voleva trattarsi) la vicenda come dovrebbe essere narrata: neanche a me piacciono i numerosi "sogni" sulle pianure galiziane e sulle trincee fangose Inoltre mi pare che riproponga sempre un po' gli stessi topos: galizia fangosa, magiari cattivi, tedeschi insensibili, croati cattivi...alla fine stanca Non è invece una storia come invece l'argomento meriterebbe ad ogni modo il libro può essere letto senza troppi problemi

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Dave
Recensioni: 4/5

Nell’agosto 1914, più di centomila trentini e giuliani vanno a combattere per l’impero austroungarico, di cui sono ancora sudditi. Muovono verso il fronte russo quando ancora ci si illude che “prima che le foglie cadano” il conflitto sarà finito. Invece non finisce. E quando come un’epidemia si propaga in tutta Europa, il fronte orientale scivola nell’oblio, schiacciato dall’epopea di Verdun e del Piave. Ma soprattutto sembra essere cassato, censurato dal presente e dal centenario della guerra mondiale, come se a quel fronte e a quei soldati fosse negato lo spessore monumentale della memoria. L’autore comincia da lì, da quella rimozione e da un nonno in montura austroungarica. E da lì continua in forma di viaggio verso la Galizia, la terra di Bruno Schulz e Joseph Roth, mitica frontiera dell’impero austroungarico, oggi compresa fra Polonia e Ucraina. Alla celebrazione l’autore contrappone l’evocazione di quelle figure ancestrali, in un’omerica discesa nell’Ade, con un rito che consuma libagioni e accende di piccole luci prati e foreste, e attende risposta e respira pietà – la compassione che lega finalmente in una sola voce il silenzio di Redipuglia ai bisbigli dei cimiteri galiziani coperti di mirtilli. L’Europa è lì, sempre suggerire l’autore, in quella riconciliazione con i morti che sono i veri vivi, gli unici depositari di senso di un’unione che già allora poteva nascere e oggi forse non è ancora cominciata.

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Conosci l'autore

Paolo Rumiz

1947, Trieste

Paolo Rumiz è scrittore e giornalista triestino, inviato speciale del «Piccolo» di Trieste ed editorialista de «La Repubblica». Esperto del tema delle Heimat e delle identità in Italia e in Europa, dal 1986 segue gli eventi dell’area balcanico-danubiana. Nel 2001 invece segue, prima da Islamabad e poi da Kabul, l'attacco statunitense all'Afghanistan. Vince il premio Hemingway nel 1993 per i suoi servizi dalla Bosnia e il premio Max David nel 1994 come migliore inviato italiano dell’anno. Ha pubblicato, tra l’altro, Danubio. Storie di una nuova Europa (1990), Vento di terra (1994), Maschere per un massacro (1996), La linea dei mirtilli (1993), La secessione leggera (2001), È Oriente (2003), Gerusalemme perduta (2005), La leggenda...

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