Il Mediterraneo è mille cose insieme, scrive Fernand Braudel. Lo è fin dalla notte dei tempi e continua a esserlo. Geograficamente è un mare tra montagne, riprendendo sempre le parole dello storico francese, e le sue coste, affollatissime, sono teatro ancora di sanguinosi conflitti, mentre le sue acque e i suoi fondali scontano anche i nefasti effetti di un caotico sviluppo, spesso rovinoso da un punto di vista ambientale. Alla maniera di Charles Clover e di William Langewiesche, autori di due libri d'inchiesta di successo dedicati alle recenti problematiche del mare, Nicolò Carnimeo ha incominciato qualche anno fa il suo viaggio esplorativo in quella che l'editore, forse con un eccessivo clamore, ha definito "la più grande discarica del pianeta", cioè il mare e il Mediterraneo nello specifico. Se i problemi indagati e narrati con passione sono assolutamente rilevanti e purtroppo poco conosciuti, meno convincente appare il ricorso a numeri e microcasi che rischiano di sovreccitare il lettore e, più in generale, il pubblico mediatico. Si rischia così di non sensibilizzare ma di provocare un rassegnato pessimismo, con una conseguente fuga dagli ambienti naturali del quotidiano. Consapevole che la scienza procede in altro modo, e un episodio non costituisce prova rilevante, voglio comunque confrontare una mia recentissima esperienza con quella del capitano ecologista Charles Moore, scopritore dell'enorme isola di plastiche galleggianti dell'Oceano Pacifico e primo testimone interpellato da Carnimeo, per suggerire una riflessione più generale. Anche ieri nell'intestino dei trentacinque pesci eviscerati della costa adriatica, sgombri, suri e lanzardi, per fortuna non ho trovato traccia di quelle plastiche che riempivano le viscere della lampuga pescata nell'Oceano Pacifico da Moore, secondo cui "Ci sono frammenti di plastica in gran parte dei pesci che mangiamo". Per fortuna invece i pesci, come tutti gli animali, sono abilissimi nel selezionare il cibo e chiunque abbia un cane, un gatto o un pesce rosso lo sa. Il racconto di Carnimeo si fa invece drammaticamente appassionante nella ricostruzione di storie vicine, come quella di Priolo in Sicilia, e lontane, come l'intossicazione da mercurio a Minamata in Giappone. Due casi emblematici di quella marea silenziosa, parafrasando la più volte giustamente citata Rachel Carson, che ha trasformato splendidi ambienti marini in mortifere discariche acquatiche. Ma, va ribadito, che il Mediterraneo nel suo insieme non è una discarica, perciò è doppiamente importante raccogliere l'invito di Carnimeo a combattere i troppi rapporti criminali con il mare, a partire dalle nostre abitudini. (F. F.)
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