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Pubblicato nel marzo 1998 questo romanzo consacrò il successo di Andrea Camilleri: acclamato dalla critica, nella classifica dei libri più venduti dell’estate di quell’anno i primi dieci titoli erano suoi romanzi.
«Camilleri scriveva perché si divertiva: ed è evidente che scrivendo La concessione del telefono si è divertito molto. E con lui si diverte il lettore» - Alessandro Barbero
«Io credo che il romanzo italiano contemporaneo abbia in Andrea Camilleri uno dei suoi rappresentanti più notevoli ed originali, per la sua capacità di dominare con un colpo d’occhio tutta la commedia umana della sua Sicilia senza mai scadere nel bozzetto e nel costume; per le trame che sa far proliferare nel racconto mantenendo sempre la stessa tensione narrativa; per la implicita e mai superficiale critica sociale che si nasconde dietro le sue “storie naturali”.» - Raffaele La Capria
"L'errore giudiziario, o Signori, è il pericolo tremendo che incombe su ogni processo. La domanda che attaglia il cervello, il cuore, il sentimento di ogni uomo che esercita la Giustizia e fa insonni le sue notti è sempre uguale: sto io fallando?"
La descrizione di un'Italia di fine Ottocento, la cui unità risale ad una trentina d'anni appena, e di una classe dirigente che deve governare in un paese imprevedibile ed eterogeneo in cui le varie gerarchie del potere risentono ancora di una burocrazia farraginosa e giudicano per antichi preconcetti. Chi viene preso nelle maglie dell'amministrazione rischia di non venirne più a capo. Anche perché gli amministratori rasentano spesso la follia, nel vero senso della parola.
Come racconta l'autore, l'ispirazione della storia arriva dal ritrovamento di un decreto ministeriale per la concessione di una linea telefonica privata. "Il documento presupponeva una così fitta rete di più o meno deliranti adempimenti burocratico-amministrativo da farmi venir subito voglia di scriverci sopra una storia di fantasia".
Divertente e appassionante sin dalle prime righe, questo romanzo di Camilleri dimostra subito quale sarà lo spirito della storia. L'inizio è rappresentato da uno scambio epistolare svoltosi fra alcuni personaggi di Vigàta, l'immaginario paese siciliano assolutamente rispondente alla realtà in cui l'autore ambienta abitualmente le sue storie. Le lettere hanno un accento assai diverso, a seconda del destinatario: confidenziali, quasi volgari quelle tra amici, pompose e deferenti quelle rivolte alla pubblica amministrazione. Molto divertente quella di Vittorio Marascianno, prefetto di Montelusa, al suo amico e collega Arrigo Monterchi, questore nella medesima cittadina, nella quale vengono riassunti gravi fatti personali attraverso un codice numerico, di cui deve essere necessariamente edotto anche il destinatario della lettera, previo non comprendere assolutamente nulla: un codice composto dai numeri della smorfia.
Filippo Genuardi, cittadino di Vigàta, inoltra una richiesta per la concessione di una linea telefonica, ma "L'iter della pratica di concessione governativa per una linea telefonica ad uso privato, vale a dire non commerciale, è in genere abbastanza lungo e laborioso, abbisognando tutta una serie di informazioni e di rilievi preliminari"...
Il richiedente è un appassionato dei nuovi strumenti messi a disposizione dal progresso tecnico. Possiede un quadriciclo a motore "Phaëton" della ditta Panhard-Levassor (di cui esistono solo tre esemplari in tutta Italia) e una macchina parlante e cantante, "phonograph Edison": manca il telefono. Ma il suo amore per il progresso suscita sospetti; non è "normale", cosa nasconderà? Sarà forse un affilliato di quella setta di "senza Dio, senza Patria, senza Famiglia, senza Dignità, senza Decoro, senza Onestà, senza Arte né parte che si ispirano all'ateismo e al materialismo"? Scatterà un'indagine con implicazioni anche drammatiche sino a un finale davvero imprevedibile.
La scrittura è quella abituale, che ha fatto parlare molti critici di capolavoro. Il valore della lingua d'origine, zeppa di termini e inflessioni dialettali, viene riscoperta in modo magistrale da Camilleri, che la adatta a una narrazione, di fatto non facile, di un evento scarso di pathos, trasformato proprio dal linguaggio in una storia curiosa dall'andamento travolgente.
Recensione di Giulia Mozzato
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