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Anno edizione: 1981
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La valutazione critica delle Confessioni ha subito, dal dopoguerra in poi, una forte accelerazione, arricchendosi di contributi interpretativi e di conquiste filologiche rilevanti, grazie ai lavori di Romagnoli, Isnenghi, Di Benedetto, Mengaldo. Non si è allargata, pare, una consapevolezza sulla grandezza letteraria di Ippolito Nievo, che viene letto ancora con grande passione, ma senza un adeguato lasciapassare nei canoni delle letture scolastiche o dei corsi universitari. Eppure pochi libri sono di lettura così affascinante; e fanno così tanta luce su un periodo della nostra storia che si rivela sempre più decisivo per comprendere le “magagne di casa” e per immaginare uno slancio per un futuro migliore. Al di fuori del cono d’ombra prodotto dai “Promessi sposi” e dai due grandi romanzi di Verga, da cui risultano quasi esattamente equidistante nel computo degli anni, le “Confessioni” sono il nostro unico romanzo di statura europea di metà ottocento, e con la cultura europea (Balzac, Thackeray, Dickens) dialoga, muovendo da una situazione storica più arretrata ma, appunto, a essa rimediando con la luce di un’intelligenza effervescente e onnivora; che si mostra in trovate, tecniche, strategie narrative e linguistiche. Un libro paradossale, scritto da un ragazzo ancora in formazione, destinato a troppo presto scomparire, ma che parla con la voce di un ottantenne che sa mettere in prospettiva tempi e luoghi della realtà italiana e li racconta con un’ironia non disincantata, ma tutta protesa verso noi che oggi lo leggiamo.
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