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Il continente selvaggio. L'Europa alla fine della seconda guerra mondiale
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Il continente selvaggio. L'Europa alla fine della seconda guerra mondiale - Keith Lowe - copertina
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continente selvaggio. L'Europa alla fine della seconda guerra mondiale
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Il continente selvaggio. L'Europa alla fine della seconda guerra mondiale

Descrizione


La seconda guerra mondiale lascia un'Europa nel caos. Un continente devastato, città intere rase al suolo, più di 35 milioni di morti. Ma la distruzione non è solo fisica: è anche. sociale, politica, morale. Legge e ordine sono praticamente inesistenti. Istituzioni per noi oggi scontate, come governo e polizia, sono sparite o disperatamente compromesse. Non ci sono scuole né giornali. Non ci sono trasporti, né possibilità di comunicare. Non ci sono banche, ma tanto il denaro non ha più alcun valore. Non ci sono negozi, perché nessuno ha alcunché da vendere. Non c'è cibo. Non sembra essere nemmeno chiaro ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. La gente ruba tutto quel che vuole. Uomini in armi vagano per le strade minacciando chiunque intralci il cammino. Non c'è vergogna. Non c'è moralità. C'è solo sopravvivenza. Per le generazioni attuali è difficile figurarsi un mondo del genere, eppure ci sono ancora centinaia di migliaia di persone che hanno sperimentato proprio questo, e non in angoli sperduti del globo, ma nel cuore di quella che per decenni è stata considerata come una delle più stabili e sviluppate regioni della terra. "Il continente selvaggio" racconta per la prima volta il lato oscuro e sconosciuto di quegli anni. È il ritratto di un'Europa dura, sconvolgente.
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Dettagli

2
2013
7 novembre 2013
XVIII-498 p., ill. , Brossura
9788858105153

Valutazioni e recensioni

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Francesco Mambretti
Recensioni: 5/5

Sì, un libro importante per tutte le ottime ragioni esposte nelle precedenti recensioni. Purtroppo trovo anch'io insopportabile la scelta del traduttore di usare impropriamente il verbo sparare. Non si dovrebbe sparare a nessuno, ma dovendolo proprio fare si spara a qualcuno, non si spara qualcuno. E poiché nelle vicende narrate si spara a un sacco di gente, la fastidiosa sgrammaticatura è ripetuta all'infinito. Non è l'unico problema della traduzione. Si direbbe quasi che il traduttore rivendichi un inopportuno orgoglio dialettale.

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alfredo
Recensioni: 5/5

Il libro ha qualche difetto, ma ha il grandissimo merito di mettere in luce una parte della storia europea assolutamente sconosciuta a molti e che si spera non debba mai essere rivissuta. Penso sarebbe il caso di adottarlo come testo nei licei.

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Guido da Milano
Recensioni: 5/5

Il libro di Keith Lowe è un'opera notevole che ha il pregio di ricostruire con competenza ed equilibrio un periodo storico relativamente poco conosciuto, quello dei primi anni del dopoguerra in Europa, in cui la miseria, il degrado sociale e le violenze frutti della guerra erano tutt'altro che cessati. Assieme all'altrettanto notevole "Inferno. Il mondo in guerra 1939-1945" di Max Hastings - che descrive efficacemente le condizioni di vita durante la seconda guerra mondiale - un libro da consigliare non solo a chi si interessi di storia ma anche a chi si lamenta delle difficili condizioni attuali di parte degli stati europei, per rendersi conto delle sofferenze inaudite che hanno affrontato i loro nonni e di come l'Unione Europea ha quantomeno assicurato la pace per oltre cinquant'anni.

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Voce della critica

  L'argomento di questo volume è "la storia dell'Europa subito dopo la guerra" che, secondo l'autore, "non è, principalmente, una storia di ricostruzione e riabilitazione, ma è piuttosto soprattutto una storia di sprofondamento nell'anarchia". Si tratta di un tema di indubbia rilevanza, oggetto di una quantità di studi dedicati a singoli paesi o regioni ma sul quale "non c'è libro che descriva in dettaglio la storia dell'intero continente – est e ovest – in questo periodo cruciale e turbolento" che va dal 1944 al 1949. Lowe si prefigge come obiettivo quello di colmare questa lacuna, e prova a farlo con una storia divisa in quattro parti dai titoli eloquenti: L'eredità della guerra, Vendetta, Pulizia etnica, Guerra civile. La prima descrive "quanto durante la guerra fu distrutto, sia fisicamente sia moralmente"; la seconda affronta l'ondata di violenza che si abbatté sul continente a guerra finita; le ultime due "mostrano quello che accadde quando a questa (…) violenza fu consentito di andare fuori controllo". L'autore fa uno sforzo lodevole di presentare una storia complessiva di fenomeni che ebbero effettivamente una portata europea, ma è costretto dalla mole stessa dell'argomento a fare delle scelte. Alcune di queste sono abbastanza ovvie, come quella di concentrarsi, nella parte sulla pulizia etnica, sulle migrazioni forzate che ebbero luogo tra Germania, Cecoslovacchia, Polonia e Ucraina occidentale; altre meno, ad esempio quella di ricorrere agli esempi romeno e baltico per illustrare come i sovietici presero il controllo dei paesi da essi occupati od annessi dopo il conflitto. L'ampiezza stessa dell'argomento fa sì che alcuni paesi ricevano più attenzione, e Lowe sembra padroneggiare alcuni casi meglio di altri, mostrando limiti più evidenti man mano che si avvicina alla periferia del continente: poco è lo spazio dedicato alla Scandinavia (Vidkun Quisling nemmeno compare nell'indice dei nomi), ancor meno quello riservato alla Bielorussia e in generale alle regioni già appartenenti all'Urss prima del 1939. Grecia e Jugoslavia sono ciascuna oggetto di un capitolo, ma la scelta di discuterle separatamente impedisce di scorgere il nesso tra l'evoluzione del regime di Tito e l'andamento della guerra civile greca, senza contare che ciascuno dei due capitoli sostanzialmente trascura aspetti non irrilevanti della storia presa in considerazione (l'espulsione dei tedeschi e l'esodo degli italiani nel caso jugoslavo, o il peso della questione macedone in quello greco). A prescindere però dai problemi su singoli punti, che sono in qualche misura inevitabili in un'opera con una portata geografica dopotutto abbastanza vasta, le debolezze principali del volume sono due. La prima ha a che fare col fatto che, pur asserendo (e a ragione) che "un conflitto di così vaste proporzioni (…) non poteva arrestarsi di colpo (…) l'idea della Stunde Null non convince", non sempre Lowe presta adeguata attenzione agli antecedenti delle violenze postbelliche: questo, per fare un esempio, accade nel capitolo su Ucraina e Polonia, ma non in quelli sull'espulsione dei tedeschi o sulla Jugoslavia. La seconda deriva dall'assenza di riflessione teorica e concettuale: categorie come "pulizia etnica" o "genocidio" non vengono problematizzate, e l'autore non si confronta con le acquisizioni della storiografia sulle emozioni quando discute delle vendette e delle violenze postbelliche, benché emerga con chiarezza che dappertutto esse ebbero luogo in un'atmosfera a dir poco elettrica dal punto di vista psicologico oltre che politico. Ciò detto, Lowe offre una ricostruzione complessivamente adeguata dell'immediato dopoguerra. La parte più riuscita del volume è quella iniziale, che fornisce una vivida ricostruzione di un panorama quasi post-apocalittico, un "paesaggio di caos" ottimamente sintetizzato nella prima, efficace pagina del volume ed efficacemente descritto nella prima parte del libro; i capitoli più innovativi sono forse quelli dedicati ad assenza (intesa come il vuoto, demografico e psicologico, lasciato da intere comunità espulse o sterminate così come dagli uomini uccisi al fronte o prigionieri) e distruzione morale, che tematizzano due argomenti di assoluta rilevanza che, finora, non hanno sempre ricevuto la necessaria attenzione da parte degli storici del dopoguerra europeo. In definitiva, pur non offrendo particolari novità storiografiche, Il continente selvaggio propone al lettore non specialista una sintesi (di qualità forse altalenante, ma nel complesso ben concepita anche se non sempre altrettanto ben realizzata) di quanto la ricerca storica offre attualmente su un tema di sicuro interesse e di notevole importanza. Va a merito di Laterza l'averlo tradotto in italiano, e sarebbe auspicabile che ciò potesse avvenire anche per il recente volume di Ian Buruma intitolato Year Zero. A History of 1945 (Penguin Press, 2013). Concentrandosi su un solo anno, Buruma presenta una visione della storia dell'inizio del "dopoguerra" influenzata dal vissuto personale dell'autore e però, per certi versi, più ampia di quella di Lowe, in quanto allarga il suo sguardo oltre l'Europa includendo nella narrazione il Giappone, il Sudest asiatico e la Cina. Buruma dedica invece meno attenzione all'Europa centrale ed orientale e parecchia al caso olandese, poco trattato da Lowe. Quest'ultimo appare inoltre molto influente nell'organizzazione dell'intero libro, che si divide in tre parti, intitolate rispettivamente Complesso della liberazione, Rimozione delle rovine e Mai più, e tocca molti aspetti discussi anche in Continente selvaggio, ma con accenti a tratti diversi. Per esempio, laddove Lowe afferma che "la moralità sessuale assumeva un posto secondario quando si trattava della sopravvivenza" e dedica un paragrafo al tema degli stupri di guerra, Buruma rileva come, in Europa occidentale ma anche in Giappone, la "fraternizzazione" con le truppe alleate abbia costituito anche, per certi versi, un'anticipazione della "liberazione sessuale" degli anni sessanta. Forse però la principale differenza tra i due autori è che, mentre Lowe punta soprattutto a mostrare il carattere caotico e violento del dopoguerra europeo,Buruma dedica molta più attenzione al "molto che venne creato fra le rovine" (dall'unità europea all'Organizzazione delle Nazioni Unite). Year Zero inoltre contiene pagine di particolare interesse sul dopoguerra nipponico e in generale sull'Asia e sul mondo allora "coloniale", sparpagliate in un libro organizzato prevalentemente su base tematica anziché geografica (come quello di Lowe); propone inoltre un'interessante comparazione tra il destino dei civili tedeschi in Europa orientale e di quelli giapponesi nella Cina settentrionale, entrambi vittime delle violenze perpetrate dall'esercito sovietico avanzante da un lato e dalle popolazioni locali, radicalizzate dall'occupazione militare e dallo sfruttamento coloniale, dall'altro. Il suo libro potrebbe, in ultima analisi, costituire un utile complemento al volume di Lowe. Se né l'uno né l'altro appaiono davvero in grado di colmare le lacune storiografiche che, in modi diversi, mettono in rilievo, entrambi forniscono al lettore una messe di informazioni interessanti, e spesso utili spunti di riflessione.     Antonio Ferrara

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