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Mario Appelius è stato corrispondente per Il Popolo d’Italia e in questo racconto lungo ripropone le vicende del barone von Unger-Sternberg. Questo personaggio singolare era a capo dell’Esercito bianco in Siberia che, durante la Rivoluzione d’Ottobre, si opponeva all’avanzata del bolscevismo nell’oriente russo. Conoscitore di diverse lingue ed egli stesso di origini incerte, forse di provenienza baltica (ma si ipotizza fosse un meticcio di sangue ungherese, tedesco e scandinavo) il barone era molto rispettato dai cosacchi. Dal carattere solitario ma di indole condottiera, a volte indifferente persino alle donne, Roman Fiodorovič von Unger-Sternberg morì dopo essere stato catturato dai rossi. La cosacca a cui si riferisce Appelius è Olga Mikhàilovna, una fanciulla in verità non dotata di grande bellezza ma sensuale al tempo stesso, dai luoghi capelli biondi come l’oro e ne racconta il tragico epilogo. La Siberia di cui l’Autore dà una descrizione è una terra arida, selvaggia, gelida e inospitale, popolata di animali, per lo più roditori, in grado di vivere nella Russia più orientale. Il barone combatteva per difendere la tradizione millenaria di questo popolo, o meglio, di un crogiuolo di razze, religioni ed etnie che vivono in questa nazione-continente, messa a repentaglio dai bolscevichi resi ebbri da un’ideologia barbara, atea e materialista che si proponeva di uniformare i popoli che compongono la Russia con la violenza e la sopraffazione sterminando senza pietà chiunque si opponesse. Il libretto di Mario Appelius ha il pregio di narrare un fatto storico che già Ossendowski portò alla luce nel suo celebre Bestie, uomini e dèi. La cosacca del barone von Ungern è quindi consigliato perché fa rivivere un tempo passato e lontano nello spazio, ma sconosciuto ai più, e rende noto un personaggio straordinario, come lo è stato von Ungern, più unico che raro ma non solo, che in quegli anni si batterono contro l’inesorabile avanzata del rullo compressore dell’Armata Rossa.
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