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Studiare i fenomeni illegali, per loro natura "nascosti", è una sfida particolarmente insidiosa per le scienze sociali. Il compito del ricercatore risulta più difficile e delicato del solito e l'attendibilità dei risultati rischia di essere irrimediabilmente compromessa. Anche per questo motivo è da apprezzare lo studio curato da Antonio La Spina sul fenomeno del racket delle estorsioni in Sicilia. Nell'indagare questo importante aspetto della vita economica, culturale e sociale dell'isola, il gruppo di ricerca ha impiegato un metodo di indagine originale, che si distingue, nel panorama degli studi sugli aspetti economici e imprenditoriali delle mafie, per appropriatezza e rigore. La proficua integrazione di più fonti di informazione e il coinvolgimento di un gruppo interdisciplinare di autori (sociologi, economisti, giuristi, imprenditori, magistrati) consentono di giungere alla definizione di un quadro puntuale e "meno impressionistico possibile" del fenomeno del pizzo.
I quattordici saggi contenuti nel volume affrontano diversi aspetti delle pratiche illegali in Sicilia. Di particolare interesse è il contributo introduttivo di Antonio La Spina, nel quale si distinguono varie forme di illegalità, ognuna delle quali ha attori, meccanismi, costi sociali ed economici propri. Per restringere il campo di ricerca a un obiettivo alla portata delle risorse economiche, umane e di tempo disponibili, i ricercatori hanno scelto di concentrarsi soltanto sull'esborso monetario che gli imprenditori devono affrontare per fare impresa in Sicilia. Per giungere a una stima attendibile di questa "voce di spesa", che peraltro non esaurisce tutti i costi derivanti dalla piaga del pizzo, i ricercatori hanno incrociato le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia con le informazioni ricavate dalle interviste con esponenti delle forze dell'ordine e della magistratura. Altre fonti cui si è fatto ricorso sono i documenti giudiziari e le testimonianze di alcuni imprenditori vittime del racket che hanno deciso di ribellarsi all'imposizione del pizzo. Così calcolato, il denaro estorto agli imprenditori siciliani ammonterebbe, dunque, a non meno di un miliardo di euro all'anno, equivalente all'1,3 per cento del Pil regionale.
A guardarlo da vicino, il fenomeno del racket non appare come la stereotipata operazione estorsiva che si riproduce ovunque allo stesso modo. Piuttosto, esso racchiude tante pratiche diverse che assumono caratteristiche distintive, principalmente a seconda del settore economico considerato, del territorio e dalla compattezza dei gruppi criminali che su di esso operano. Ad esempio, a Palermo e provincia vige l'estorsione "sistematica", che combina una forte unitarietà dei gruppi criminali a un'imposizione generalizzata del pizzo. In altre zone (province di Trapani e Agrigento) il pizzo assume le forme dell'estorsione "tradizionale", con una forte unitarietà delle organizzazioni mafiose che taglieggiano selettivamente solo imprese molto importanti e aggredibili. C'è poi l'estorsione "complessa o molteplice", modalità diffusa a Catania, Gela, Messina, Siracusa e Vittoria, che è condotta da gruppi mafiosi debolmente coordinati tra loro, ma capaci di battere a tappeto il territorio. Infine, la quarta e ultima modalità di esazione del pizzo, definita estorsione "predatoria", è limitata a poche zone dell'isola e ha carattere episodico.
Uno dei temi ricorrenti del libro riguarda la responsabilità degli imprenditori. Difatti, diversamente da quanto normalmente si ritiene, "è assai arduo stabilire, nel caso concreto, dove finisce l'azione necessitata dalla imposizione mafiosa e dove comincia il coinvolgimento ed il fiancheggiamento delle attività mafiose". Il tema è di importanza cruciale, perché non può esistere una lotta al racket efficace e risolutiva senza la collaborazione degli imprenditori. La porta stretta dalla quale la battaglia contro il pizzo deve passare è infatti la denuncia e il successivo riconoscimento in tribunale dell'estorsore da parte della vittima. Ciò non può essere lasciato all'eroismo dei singoli, ma necessita di presupposti legislativi, economici e culturali che facilitino la collaborazione degli imprenditori con le istituzioni. È quanto sembra stia accadendo negli ultimi anni, con la "storica" decisione di Confindustria siciliana di espellere chi paga il pizzo. Di particolare interesse è quanto succede sul fronte del movimento antiracket a Palermo, dove le strategie dei mafiosi puntavano a rendere effettivo lo slogan "pagare meno, pagare tutti". La nascita del Comitato Addiopizzo che contro le estorsioni applica in maniera inedita i principi e le pratiche del consumo critico e l'inaugurazione della prima associazione cittadina antiracket rappresentano segni importanti di un rinnovato impegno antiracket che, a giudicare dal numero di denunce e dal successo delle operazioni condotte dalle forze dell'ordine, sembra dare risultati crescenti. Vittorio Mete
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