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Una cura per la terra. Manifesto di un ecopragmatista - Stewart Brand - copertina
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Descrizione


Uno dei padri del movimento ambientalista propone un'originale riflessione sul presente e il futuro della Terra. Con una parola d'ordine: bisogna avere il coraggio di mettere in discussione e ripensare i mantra dell'ambientalismo. Esplosione demografica, riscaldamento globale, inquinamento e urbanizzazione stanno cambiando il volto del nostro pianeta. Sono forze potenti, con conseguenze imprevedibili che potrebbero mettere a repentaglio la sopravvivenza della società così come la conosciamo oggi. Siamo insomma alle porte di una profonda trasformazione: il punto non è come evitarla, ma come affrontarla per evitare che ci travolga. E il modo migliore è lasciarsi alle spalle trent'anni di un dibattito pubblico troppo compromesso da ideologie e politicizzazioni e troppo poco informato, e dire le cose come stanno senza paura di essere ruvidi, scomodi, eretici. L'urbanizzazione è un fattore di sviluppo, e come tale va trattato. L'energia nucleare è oggi necessaria per liberarci dalla dipendenza dei combustibili fossili. Gli organismi geneticamente modificati non sono il "cibo di Frankenstein", e potrebbero sfamare milioni di persone. La geoingegneria, la scienza che interviene a modificare il clima, non va demonizzata. Non si tratta solo del passaggio a una nuova ideologia: è un cambiamento più profondo, è il totale abbandono di qualsiasi ideologia a favore del più lucido e laico pragmatismo.
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Dettagli

2010
2 novembre 2010
350 p., Brossura
9788875781675

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Dario
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Ammetto che sono solo a metà del libro ma già mi sono innamorato. Questo è un ottimo libro, scritto in maniera chiara, rigoroso e con informazioni decisamente interessanti. Il libro fornisce anche tutti gli strumenti per approfondire gli argomenti trattati, non solo la solita bibliografia tutta ammucchiata, ma consigli specifici su libri e siti. Si tratta di un libro davvero adatto a tutti coloro che, ai facili idealismi di stampo ambientalista tanto di moda basati sul nulla, preferiscono il confronto con fatti e riflessioni fondati sulla realtà. Compratelo, sono soldi spesi bene che miglioreranno il modo di rapportarvi alle questioni ecologistiche.

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Voce della critica

Nel suo libro così riassume Stewart Brand l'obiettivo che si è prefisso: "L'equilibrio ecologico è troppo importante per lasciarsi prendere dai sentimenti. Ci vuole scienza. La salute dell'infrastruttura naturale è troppo compromessa per restare a guardare. Ci vuole ingegneria. Quello che chiamiamo naturale e quello che chiamiamo umano sono inseparabili. Si vive una volta sola". Il volume viene presentato al pubblico, con una sorta di slogan, ripreso da numerosi organi di informazione, che più o meno, suona così "Per salvare la Terra occorre abbandonare le ideologie a favore di un più lucido e laico ecopragmatismo".
Stewart Brand è un noto ambientalista statunitense che ha sorpassato i settant'anni e, nella sua lunga attività, ha realizzato iniziative certamente significative per l'avanzamento della cultura dell'intero movimento ambientalista (e non solo negli Stati Uniti) attraverso la realizzazione della rassegna "Whole Earth Catalogue" e della rivista "CoEvolution Quarterly", nonché la fondazione dell'organizzazione della The Long Now Foundation di cui ora è presidente (per approfondire vedere il suo sito http://web.me.com/stewartbrand/SB_homepage/Home.html e http://longnow.org).
La meritevole casa editrice Codice, che ha pubblicato il volume in italiano, così ne riassume il contenuto: "Esplosione demografica, riscaldamento globale, inquinamento e urbanizzazione stanno cambiando il volto del nostro pianeta. Sono forze potenti, con conseguenze imprevedibili che potrebbero mettere a repentaglio la sopravvivenza della società così come la conosciamo oggi. Siamo insomma alle porte di una profonda trasformazione: il punto non è come evitarla, ma come affrontarla per evitare che ci travolga. E il modo migliore è lasciarsi alle spalle trent'anni di un dibattito pubblico troppo compromesso da ideologie e politicizzazioni e troppo poco informato, e dire le cose come stanno senza paura di essere ruvidi, scomodi, eretici. L'urbanizzazione è un fattore di sviluppo, e come tale va trattato. L'energia nucleare è oggi necessaria per liberarci dalla dipendenza dei combustibili fossili. Gli organismi geneticamente modificati non sono il 'cibo di Frankenstein', e potrebbero sfamare milioni di persone. La geoingegneria, la scienza che interviene a modificare il clima, non va demonizzata. Non si tratta solo del passaggio a una nuova ideologia: è un cambiamento più profondo, è il totale abbandono di qualsiasi ideologia a favore del più lucido e laico pragmatismo".
Le posizioni che Brand ha recentemente assunto sui suddetti temi hanno fatto sì che egli venga oggi ampiamente "utilizzato" dai fautori del ritorno al nucleare, dai propugnatori delle biotecnologie nonché della geoingegneria per dimostrare che bisogna dire basta ai fondamentalismi ideologici di una gran parte della cultura ambientalista e muoversi, ecopragmaticamente, nel favorire queste soluzioni. Non è affatto un caso, quindi, che la pubblicazione di questo volume in italiano sia stata supportata dall'Enel.
Scrive sempre Brand: "Cambiamento climatico. Urbanizzazione. Biotecnologie. Questi tre temi ancora in divenire stanno sviluppando una lunga trama che molto probabilmente dominerà questo secolo, e il modo in cui li affronteremo oggi ne influenzerà lo sviluppo domani. Mistificazioni e cattiva informazione abbondano in tutte e tre le questioni, ma in realtà conoscerne la vera natura è possibile. (…) Non ci siamo ancora pienamente resi conto del radicale cambiamento di approccio di cui avremo bisogno per comprendere la natura delle forze che ci circondano, e imparare a gestirle. La scala, questa volta, è planetaria; la portata si misura in secoli; la posta in gioco è ciò che chiamiamo civiltà; e tutto sta avvenendo alla spaventosa velocità delle tecnologie umane e delle turbolenze climatiche. Chi parla di 'salvare il pianeta', tuttavia, esagera; la Terra se la caverà in ogni caso, e lo stesso vale per la vita. Il rischio semmai lo corrono gli esseri umani. Ma, dato che ci siamo cacciati da soli in questo guaio, dovremo anche essere in grado di uscirne".
Molte di queste affermazioni di Brand sono assolutamente condivisibili, in particolare le ultime righe.
Come afferma Edward Wilson, della Harvard University, uno dei maggiori esperti di biodiversità al mondo che ha dedicato l'intera vita ad approfondire la conoscenza della straordinaria ricchezza della vita presente sul nostro pianeta: "Poche persone osano dubitare che il genere umano si sia creato un problema di dimensioni planetarie. Anche se nessuno lo desiderava, siamo la prima specie a essere diventata una forza geofisica in grado di alterare il clima della Terra, ruolo precedentemente riservato alla tettonica, alle reazioni cromosferiche e ai cicli glaciali. Dopo il meteorite di dieci chilometri di diametro che precipitò nello Yucatan, ponendo fine all'era dei rettili sessantacinque milioni di anni fa, i più grandi distruttori della vita siamo noi. Con la sovrappopolazione ci siamo creati il pericolo di finire il cibo e l'acqua. Ci attende dunque una scelta tipicamente faustiana: accettare il nostro comportamento corrosivo e rischioso come prezzo inevitabile della crescita demografica ed economica, oppure rianalizzare noi stessi e andare alla ricerca di una nuova etica ambientale".
Indubbiamente l'umanità si trova in una situazione veramente difficile: abbiamo un estremo bisogno di sistemi naturali (foreste, praterie, zone umide, tundre, savane, fiumi, laghi, mari, oceani ecc.) vitali e dinamici, come base insostituibile del nostro benessere e delle nostre economie, e, invece, operiamo quotidianamente per renderli sempre più deboli e vulnerabili. Con il passare del tempo non facciamo altro che rendere l'intero genere umano, e i livelli di civiltà sin qui raggiunti, sempre più in pericolo. Far transitare con rapidità i nostri sistemi sociali verso una nuova economia è diventato quindi un obiettivo prioritario per tutte le società umane. Ecco dunque il nodo centrale della questione; rispetto all'impostazione di Brand, che sembra considerare oggetto prioritario della sua attenzione la correzione dell'ideologia ambientalista verso un ecopragmatismo, mi permetto di affermare che un'importanza estremamente superiore la riveste oggi la correzione dell'ideologia economica dominante della crescita continuativa, della quale, purtroppo per Brand, soluzioni tecnologiche e industriali come quelle da lui propugnate non sono che una logica conseguenza.
Infatti, protagonista assoluto di questo processo di deterioramento complessivo della relazione esistente tra sistemi naturali e sistemi sociali sulla nostra Terra è il meccanismo economico di crescita materiale e quantitativa che stiamo ormai perseguendo, in particolare dalla rivoluzione industriale ma, soprattutto, nell'arco degli ultimi sessant'anni, e che plasma i modelli di consumo alla base, in forme diverse e con penetrazioni diverse, di tutte le nostre società.
Oggetto di questo processo è quello che il grande economista ecologico Herman Daly definisce il throughput delle nostre società, cioè il flusso di risorse (energia e materia) che attraversa il processo produttivo, quindi la relazione tra il metabolismo naturale e quello delle società umane.
Oggi gli scienziati ci dicono che ci troviamo in un'epoca geologica nuova, l'Antropocene, come ha proposto il Premio Nobel per la chimica Paul Crutzen in una sua nota, scritta con Eugene Stoermer nel 2000 e pubblicata su "Global Change Newsletter", caratterizzata dall'impatto della presenza umana documentato scientificamente come equivalente all'impatto delle grandi forze geologiche che hanno, da sempre, plasmato l'evoluzione del pianeta Terra. La comunità scientifica internazionale ha ormai raccolto una documentazione ingente sulla profonda modificazione che la specie umana esercita quotidianamente sui sistemi naturali e i qualificati e motivati appelli a un cambiamento di rotta del nostro modo corrente di impostare l'economia e il nostro modello di sviluppo dominante sono ormai tantissimi.
Come si interroga il noto studioso Tim Jackson nel suo bellissimo Prosperità senza crescita. Economia per il pianeta reale (Edizioni Ambiente, 2011, edizione italiana a cura di Gianfranco Bologna) cosa possiamo dire di un mondo in cui 9 miliardi di persone (quante ne avremo sul nostro pianeta nel 2050, secondo le statistiche delle Nazioni Unite) possano raggiungere tutte il livello di ricchezza e abbondanza atteso per le nazioni dell'area Ocse? Jackson ci ricorda, come hanno fatto tanti altri illustri studiosi prima di lui, che ci sarebbe bisogno di un'economia pari a 15 volte quella attuale (75 volte quella del 1950) entro il 2050, e pari a 40 volte quella attuale (200 volte quella del 1950) entro la fine del secolo. A cosa può mai avvicinarsi un'economia del genere? Come potrebbe andare avanti? Offre davvero una visione realistica di una prosperità condivisa e duratura?
Ecco, questo è il vero punto nodale che non possiamo più eludere, se veramente desideriamo il prosieguo della civiltà umana. Il libro di Brand, di piacevole lettura e corroborato da interessanti testimonianze storiche, molte delle quali vissute direttamente in prima persona dall'autore, è concentrato sulla critica all'ideologia ambientalista e sulla proposta di un ecopragmatismo che accetti con convinzione l'energia nucleare, le biotecnologie e la geoingegneria, ma non offre minimamente spazio e riflessioni ai problemi che incombono sul nostro futuro e che derivano dall'ipersfruttamento dei metabolismi sociali rispetto a quelli naturali e che, certamente, non saranno risolti dalle ricette proposte da Brand.
La sola possibile risposta alla richiesta di espansione della domanda di materie prime non può più essere quella di prolungare l'incremento del flusso di materia dei metabolismi sociali, ma, piuttosto, la necessità di ridurre il consumo di materie prime, e lo stesso ragionamento riguarda il consumo di biodiversità, di ecosistemi, di suolo, di acqua ecc. Con buona pace di Brand, credo che il vero ecopragmatismo stia nell'indicare dei tetti massimi all'utilizzo delle risorse e delle emissioni, come ormai anche i grandi scienziati che si occupano delle scienze del sistema Terra hanno fatto avviando un affascinante ragionamento sui nostri planetary boundaries ("limiti planetari"). L'abitudine allo spreco della società consumistica sta innegabilmente dilapidando le risorse materiali più importanti e sottoponendo gli ecosistemi del pianeta a uno stress insostenibile. Per considerare insieme il principio di uguaglianza rispetto ai limiti ecologici, potrebbe risultare molto utile il modello noto come "contrazione e convergenza", in cui si definisce una quantità ammessa, pari per tutti, in modo che ognuno tenda ad allinearsi a un livello sostenibile. La vera sfida del nostro futuro passa per questi approcci innovativi e "rivoluzionari" non certo per mantenere scenari Business As Usual, con l'accettazione di tecnologie che non mettono minimamente in discussione il "mainstream", palesemente insostenibile, dell'economia della crescita.
Gianfranco Bologna

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