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Dai comuni agli stati territoriali. L'Italia delle città tra XIII e XV secolo - Lorenzo Tanzini - copertina
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Dai comuni agli stati territoriali. L'Italia delle città tra XIII e XV secolo

Dettagli

2010
1 gennaio 2010
152 p., Brossura
9788865210352

Voce della critica

Ci sono modi diversi di creare strumenti didattici per l'università che dipendono dalla caratura degli autori, dalle scelte di editori e curatori di collane. Purtroppo, le opzioni editoriali di questi ultimi puntano spesso al ribasso, alla sintesi intesa come riduzione degli argomenti, alla semplificazione confusa per semplicità. È un riflesso condizionato che guida anche la redazione di manuali scolastici, ormai ridotti a poche righe ultranozionistiche, condite da qualche frase attualizzante. Si rinuncia alla spiegazione, alla giustificazione, all'inquadramento, come se dire meno equivalesse a essere più chiari. Molte sintesi pensate per l'università, uscite in questi ultimi due anni, hanno seguito questo schema: pochissime pagine ultracompresse, rare spiegazioni, qualche novità in pillole (comprensibile solo agli addetti ai lavori), seguite da una serie di fonti spezzettate e decontestualizzate; testi in genere assai poco "parlanti", dato che le "fonti", da sole, dicono poco o niente.
Questi due libri invece sono in controtendenza: una brillante eccezione nel mediocre panorama delle collane universitarie. Non rinunciano alla spiegazione, sono aggiornati, restituiscono la complessità dei problemi, non hanno paura delle contraddizioni né di trasmettere agli studenti saperi non semplificati. In altre parole, non hanno paura degli studenti (o dei lettori in generale). E questo è già un merito. Inoltre sono redatti da due tra i migliori giovani specialisti del tardo medioevo che, pur usando metodi e prospettive diversi, si integrano perfettamente nel tracciare un quadro problematico della "politica" nel basso medioevo italiano. Lorenzo Tanzini ricostruisce lo sviluppo istituzionale degli stati italiani, dal comune duecentesco agli stati regionali del Quattrocento. L'aggiornamento e la concreta esperienza di ricerca gli permettono di restituire un panorama di esperienze politiche in continuo movimento che prende forme istituzionali spesso ibride, complesse, irriducibili ai tradizionali schemi classificatori. Città comunali e primi esperimenti signorili continuano a condividere strumenti e codici linguistici per buona parte del XIV secolo, perché il problema di fondo era simile: coniugare un apparato istituzionale aperto con le necessità del regimen, del governo concreto degli individui. Credo che in questo consista la dimensione "cittadina" dello stato che Tanzini tiene al centro del suo excursus. E allora è vero che la rottura del sistema va spostata in avanti, verso la metà del XV secolo, quando le forme personali del potere si posero in aperto conflitto con l'apparato istituzionale dello stato. Una separazione cruciale nella storia italiana.
Qui si innesta bene il libro di Isabella Lazzarini dedicato ai legami di amicizia e alle reti sociali nel basso medioevo italiano. Si tratta di un tema poco sviluppato dalla storiografia italiana, molto di più da quella anglosassone che all'esistenza di network sociali ha prestato sempre molta attenzione, a volte anche eccessiva. I network ci sono, dagli intellettuali agli uomini di corte, dai curiali del papa agli uomini d'armi, dai mercanti agli abitanti dei villaggi, ma Lazzarini si cura di mostrare sempre la loro connessione con le strutture politiche e in generale con il modo di fare politica del tempo. In questo sforzo di inquadramento risiede il merito maggiore del libro. Perché la politica nel Quattrocento italiano sembra, a volte, coincidere davvero con l'amicizia intesa non solo come virtù positiva, ma come collaborazione, aiuto, complicità, dipendenza. Le funzioni del legame di amicizia, tuttavia, sono diverse e bisogna tener conto di questa pluralità di significati: se per i mercanti era necessario avere molti amici per "partecipare allo stato" e difendere le proprie sostanze, per i curiali del papa l'amicizia era tutto. I cardinali dovevano avere una clientela numerosa come segno di potere, e la clientela richiedeva a sua volta una ricca provvista dei benefici da distribuire: la chiesa, come scrive il cardinale Francesco Gonzaga nel 1478, era la "gran tetta" che nutriva questo sistema. Un'idea di "cosa pubblica" destinata a lunga fortuna. Ma vitale era l'amicizia dei potenti anche per i cortigiani e gli intellettuali, uniti da intese culturali interne al ceto, ma legati a doppio filo a fazioni e apparati di potere che li mantenevano materialmente. Il libro mette bene in luce questa dimensione duplice del termine: un'amicizia "privata" come legame di affezione e un'amicizia "pubblica" come legame di dipendenza. La retorica del potere provava, a volte, a confondere i due piani, come se veramente si potesse "amare" il patrono che si serviva in quel momento. La cruda realtà dei cambi di fronte e delle continue infedeltà di intellettuali, cortigiani, condottieri mostra, invece, come il significato politico del termine consistesse, in fondo, in una dipendenza servile e prezzolata.
Massimo Vallerani

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