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Dall'Edipo al sogno. Modelli della mente nello sviluppo e nel transfert - Mauro Mancia - copertina
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Dall'Edipo al sogno. Modelli della mente nello sviluppo e nel transfert - Mauro Mancia - copertina

Descrizione


Muovendosi sul filo del pensiero kleiniano, l'autore propone un'ipotesi dello sviluppo mentale attraversando i grandi temi della psicoanalisi attuale: il dramma edipico e la soluzione antiedipica, le fantasie inconsce come nuclei intorno ai quali si sviluppa la personalità del bambino, il sogno come indice delle trasformazioni del paziente nel corso del processo analitico.
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Dettagli

1996
1 febbraio 1996
X-150 p.
9788870782813

Voce della critica


recensione di Borgogno, F., L'Indice 1994, n.11

Dedicato a Mario Montessori, questo nuovo libro di Mancia raccoglie secondo uno stile a lui consueto seminari e conferenze tenuti ad addetti ai lavori negli ultimi tre anni. L'argomento concerne grandi temi del pensiero psicoanalitico intorno al ruolo degli affetti e delle fantasie nella relazione primaria e nel processo di trasformazione delle rappresentazioni in linguaggio. Ampia e complessa è la cultura specifica dell'autore. In gran parte di tradizione kleiniana ma anche di derivazione francese e argentina, essa è particolarmente aperta in quest'ultimo libro ai contributi del 'Middle Group' e della Psicologia dell'Io. Lo spirito che la permea è ben espresso dalla frase tratta dal "Faust" di Goethe con cui il discorso esordisce nel primo capitolo: "Ciò che hai ereditato dai padri/ Riconquistalo, se vuoi possederlo davvero". Benché nutrito di una visione classica, Mancia non è dogmatico e ossequioso verso le teorie abbracciate: le elabora in modo personale tralasciandone le parti non più confacenti alla sua esperienza e ai dati clinici. Prova di questo è la critica serrata ch'egli muove lungo tutta la sua riflessione al concetto di pulsione di morte e l'enfasi da lui data all'ambiente come elemento fondamentale nell'organizzazione e nella creazione del mondo interno. Aspetti che gli analisti Indipendenti inglesi, ma anche Anna Freud (a un'attenta rilettura odierna della sua opera), hanno decisamente considerato e trattato sin dalla metà degli anni trenta e che io condivido pienamente nel mio itinerario di ricerca.
Ma veniamo alla nascita e costruzione della vita psichica secondo Mancia, che è tema di tutto il libro e in particolare dei primi cinque capitoli. Per Mancia il mondo interno del bambino, i suoi valori, le sue visioni del mondo, la sua identità sessuale si strutturano sulla base di rappresentazioni. Queste rappresentazioni che il bambino assimila e costruisce in modo peculiare sono connesse alle rappresentazioni che i suoi genitori possiedono internamente e agli affetti che le ispirano. I genitori sono in quest'ottica "anelli di trasmissione" di una determinata cultura, anche della cultura emozionale profonda. È la madre, innanzi tutto, ad essere fondamentale nel "dar forma e direzione" all'organizzazione della mente e della personalità del bambino: fondamentale con la qualità del suo amore e della sua 'reverie' e con la capacità ch'ella possiede di accogliere e trasformare bisogni e ansie del figlio in strutture simboliche adeguate alla nascita del pensiero. Si vede da queste premesse, confermate dalla recente 'Infant Research', come per l'autore non siano la fantasia inconscia e la distruttività innata centrali nella formazione dell'apparato psichico, ma le interazioni reali con la figura materna. L'interpersonale precede quindi l'intrapsichico, che si organizza successivamente a partire di l'internalizzazione dell'esperienza di accudimento primario. Il modello della mente che Mancia propone è squisitamente relazionale e interattivo, benché egli inviti gli analisti a non dimenticare le pulsioni e l'equipaggiamento innato del bambino, fattori altrettanto importanti. Una base sicura ('Bowlby') è comunque necessaria per separarsi e crescere ed è tale - sicura cioè - per le caratteristiche affettive ch'essa veicola ('Winnicott') e per le potenzialità di pensiero di cui dispone ('Bion').
L'autore nel sesto capitolo sottolinea poi il ruolo non secondario del padre, spesso sottovalutato per un'enfasi eccessiva sulla diade madre-bambino. Critica qui nuovamente i kleiniani, che illustrano prevalentemente solo un polo della storia, e cioè le fantasie innate del bambino sul corpo materno che contiene il pene del padre o altri bambini e quelle di una figura genitoriale combinata che esclude il bambino e lo fa sentire solo ed eccitato. Il padre, per Mancia, è importante sia per le sue reali caratteristiche, sia per come è presente nella mente della madre: oggetto collaborativo, premuroso e capace di amore; oggetto assente fisicamente ed emozionalmente; oggetto sadico, inaffidabile e irresponsabile nei confronti della nuova coppia madre-bambino. Ovviamente, laddove il padre sia deficitario e la madre abbia (in relazione anche alla sua storia) difficoltà consistenti rispetto al "padre" e ai rapporti triangolari, il processo di crescita del bambino verrà ostacolato e le sue ansie e conflitti per la separazione e l'ingresso nell'Edipo verranno aumentati con conseguenti danni nell'individuazione, anche di genere. Il tipo di rapporto che i genitori hanno tra loro e con il bambino, le rappresentazioni inconsce dei propri genitori e delle relazioni tra genitori e figli che governano i loro comportamenti risultano dunque determinanti per la semantica relazionale che ogni bambino svilupperà e che eserciterà un'influenza sostanziale per tutta la sua vita.
Quest'aspetto di trasmissione inconscia dei modelli operativi interni dei genitori (come essi, in pratica, significano e affrontano ciò che accade nelle persone, tra le persone e con le persone), che Mancia teoricamente segnala quale fattore interagente con le risorse innate di ogni individuo nella costruzione di specifici 'patterns' relazionali, avrebbe potuto essere maggiormente valorizzato nella descrizione del materiale clinico. Mancia si attiene invece, parlando dei suoi pazienti severamente disturbati, a un linguaggio ancora kleiniano, seppure di stile "ultimo Rosenfeld", e quindi spiega le difese e l'organizzazione delle difese narcisistiche prevalentemente sulla base dell'onnipotenza e dell'incapacità a tollerare la frustrazione e la delusione edipica. Ma io mi chiedo, parafrasando il transfert del Sig. P., come può un bambino, se non lo si è lasciato vivere, conoscere da adulto la gioia di scoprire l'altro, in sé prima di tutto e quindi negli altri. Come può non schiacciare la testa e il cuore del bambino in lui e dell'altro, se questo cuore e questa testa sono stati a loro volta sistematicamente schiacciati nella sua vita, poiché probabilmente ogni autonomia di pensiero e sentimento significava per i genitori un attacco e una minaccia di morte e di discrezione del loro se. Come possono non nascere compiacenza e falsa idealizzazione in tali pazienti e non farsi avanti comportamenti improntati a manipolazione dei bisogni e desideri altrui e appropriazione sistematica del partner, se ciò è stato quanto veniva Atto loro ed era anche preteso. Concordo pertanto in generale con i tratti che Mancia rileva e discute a proposito del Sig. P, ma il fraintendimento a cui egli si appella - richiamandosi a Money-Kyrle - non lo definirei più primario, poiché ciò può suonare contraddittorio con gran parte del suo discorso e con l'incertezza con cui la categoria "altro" era presente nella mente di quei genitori. Genitori che Mancia peraltro ben illustra tenendo conto della storia del suo paziente e dell'importanza della memoria nell'ambito deità relazione e della ricostruzione.
Ritrovo con l'autore una completa sintonia quando nel capitolo settimo descrive la psicosi come l'estremo patologico della difesa narcisistica, ma pur sempre disperato adattamento a una relazione primaria carente che non ha permesso la disidentificazione dalla madre (Grenson). Un altro punto rilevante lo si incontra nel capitolo successivo a proposito del caso del poeta ungherese Attila Jòzsef. Mancia, rifacendosi al bisogno cieco e violento di essere amato del bambino (descritto nel '37 da Balint sulla scia di Ferenczi), esplora le conseguenze in termini di odio, risentimento, distruttività della mancanza di amore e del venir puniti perché i genitori non tollerano di non amare il proprio figlio. È in questo terreno pieno di infelicità e povero di amore sano, che sorge nel bambino la sfiducia nella sua sopravvivenza e in oggetti buoni e affidabili che lo sostengano di fronte alle difficoltà del vivere e del crescere. Si generano così ansia catastrofica e intensa rabbia e ostilità, che il clima persecutorio che ne deriva alimenta a sua volta. Il bambino, spronato all'inversione dei ruoli e al diniego di bisogni e sentimenti, cerca allora di provvedere a se stesso annullando la dipendenza e costruendosi "un mondo interno autarchico, protesico e sostitutivo". Simile a quello di Attila è il tragico destino del protagonista di "Si j'étais vous" di Jules Green, che Melanie Klein ha commentato nel suo famoso saggio sull'identificazione, che non considera tuttavia il dramma del non essere stati amati e neppure apprezzati nei propri tentativi di amore da una madre che non poteva riconoscere tutto ciò.
Concludendo, sottolineerei con Mancia come l'elaborazione della sofferenza sia un elemento fondamentale nella formazione e organizzazione dell'apparato psichico. Una quota di essa è ineliminabile fin dai primi giorni di vita, in quanto anche l'accudimento migliore non può evitarla. La sofferenza è però immensa anche per e nei genitori e questa può essere facilmente trasmessa da una generazione all'altra. Alcuni la riconoscono e possono apprendere da essa, riparando ai propri errori anche con il solo fatto di ammetterli. Molti non ne sono affatto consapevoli e non hanno strumenti per poterla avvicinare e modificare. Questa è naturalmente una quota in più che ciascun figlio potrà o non potrà tollerare e trasformare nel suo adattamento alla realtà. La patologia relazionale, in specie quella narcisistica trattata da Mancia, ha qui la sua origine: nel commercio di dolore tra le persone, che in taluni casi assume forma di "sofferenza fisica" non trovando gli eventi dolorosi vissuti e gli affetti a essi corrispondenti altra via simbolica attraverso cui esprimersi.
Ma questi ultimi, ricorda l'autore nel suo stimolante libro, si riattualizzano costantemente nell'esperienza quotidiana che facciamo e privilegiano per emergere quella fucina del pensiero che è il sogno. Attendono tuttavia, soprattutto quando non compresi e significati consapevolmente, un interprete (potrebbe essere l'analista nel viaggio analitico) che, capace di intendere la loro lingua poetica, li risvegli e li richiami alla coscienza dalla parte nascosta, notturna e sognante della personalità, dove tutto - almeno per un attimo - è ancora possibile.

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