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Descrizione


Allinizio di questo Diario, Etty è una giovane donna di Amsterdam, intensa, passionale, intricata in varie storie amorose. Legge Rilke, Dostoevskij, Jung. È ebrea, ma non osservante. I temi religiosi la attirano, e talvolta ne parla. Poi, a poco a poco, la realtà della persecuzione comincia a infiltrarsi fra le righe del diario. Etty registra le voci su amici scomparsi nei campi di concentramento, o uccisi o imprigionati. Un giorno, davanti a un gruppo sparuto di alberi, trova il cartello: «Vietato agli ebrei». Un altro giorno, certi negozi vengono proibiti agli ebrei. Un altro giorno, gli ebrei non possono più usare la bicicletta. Etty annota: «La nostra distruzione si avvicina furtivamente da ogni parte, presto il cerchio sarà chiuso intorno a noi e nessuna persona buona che vorrà darci aiuto lo potrà oltrepassare». Ma, quanto più il cerchio si stringe, tanto più Etty sembra acquistare una straordinaria forza dellanima. Non pensa un solo momento, anche se ne avrebbe loccasione, a salvarsi. Pensa a come potrà essere daiuto a quei molti altri che stanno per condividere con lei il «destino di massa» della morte amministrata dalle autorità tedesche. Confinata a Westerbork, campo di smistamento da cui un giorno sarà mandata ad Auschwitz, Etty esalta ancora in quel «pezzo di brughiera recintato da filo spinato» la sua capacità di essere un «cuore pensante».
Se la tecnica nazista consisteva innanzitutto nel provocare lavvilimento fisico e psichico delle vittime, si può dire che su Etty abbia provocato leffetto contrario. A mano a mano che si avvicina la fine, la sua voce diventa sempre più limpida e sicura, senza incrinature. Anche nel pieno dellorrore, riesce a respingere ogni atomo di odio, perché renderebbe il mondo ancor più «inospitale». La vita, quella protetta della sua stanza di ragazza e quella torturata della baracca in cui vive, le passa davanti agli occhi senza soluzione di continuità. La disposizione che ha Etty ad amare è invincibile. Un giorno aveva annotato: «Temprato: distinguerlo da indurito». E proprio la sua vita sta a mostrare quella differenza. Così la testimonianza di Etty rimane fra le più preziose che la persecuzione degli ebrei ci abbia lasciato.
Nata nel 1914 in una famiglia della borghesia intellettuale ebraica, Etty Hillesum è morta ad Auschwitz nel novembre 1943. Questo suo diario, fortunosamente salvato e passato poi di mano in mano, è stato finalmente pubblicato nel 1981 dalleditore De Haan, con immenso successo, paragonabile a quello che accolse il Diario di Anna Frank, in Olanda e molti altri paesi.
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Dettagli

7
1985
18 ottobre 1985
260 p.
9788845906367

Voce della critica


(scheda pubblicata per l'edizione del 1985)
scheda di Rastello, L., L'Indice 1986, n. 1

Una giovane donna olandese affida, nel 1941, ad un diario la cronaca della sua complessa vicenda interiore. Mentre tutta l'Europa vive il dramma della persecuzione e delle deportazioni di massa, Etty Hillesum, ebrea e destinata a trovare la morte ad Auschwitz, narra con lucidità la sua avventura di liberazione spirituale e la conquista, attraverso le strettoie dell'occupazione nazista di una felicità che, ben lungi dal costituire una fuga dall'epoca, si traduce in arricchimento e forza vitale. Ai divieti imposti alla sua gente Etty risponde con una crescita incontenibile, in grado di dar forza e fiducia a chi le vive accanto; nelle sue pagine capaci di allegria, che nulla nascondono o addolciscono dell'orrore di quei giorni, la guerra e la storia esteriore affiorano gradualmente in funzione della tensione introspettiva, fino ad assumere un ruolo centrale come testimoni di riflesso della battaglia vittoriosa condotta da Etty Hillesum contro le loro forze. Nel diario è anche la storia della creazione di un'opera d'arte - che non nascerà - di cui l'autrice, conscia del suo talento, si sa capace ed a cui si prepara rigorosamente ponendo attenzione ad ogni brano della vita sua ed altrui e indagando la sostanza e le possibilità della scrittura. Il libro tradotto con enorme successo in tutto il mondo, sta diventando per molti un oggetto di culto a scapito, forse, della sua peculiarità e del suo vigore letterario.



(recensione pubblicata per l'edizione del 1985)
recensione di Gentiloni, F., L'Indice 1986, n. 6

"A volte vorrei rifugiarmi con tutto quello che ho dentro in un paio di parole. Ma non esistono ancora parole che mi vogliano ospitare. È proprio così. Io sto cercando un tetto che mi ripari ma dovrò costruirmi una casa, pietra su pietra. E così ognuno crea una casa, un rifugio per sé. E io mi cerco sempre un paio di parole" (pag. 67). Le ha trovate, Etty Hillesum, le parole che cercava, e per nostra fortuna ce le ha lasciate in un "Diario" che resta uno dei documenti più elevati di questo nostro secolo, stupendo e disgraziato. Donna. Amante. Ebrea. Intellettuale. Condannata a morte. Mistica. Altruista. È difficile, fra tutti questi attributi stabilire una graduatoria: sono tutti specificamente e originalissimamente suoi.
Olandese di Amsterdam. Nata nel 1914, famiglia di media borghesia intellettuale. Comincia a scrivere il diario a 27 anni, nel marzo del 1941, quando i tedeschi già occupano l'Olanda. Nell'agosto del 1942 viene deportata nel campo di Westerbork (di smistamento, non di sterminio) dove rimane, lavorando all'ospedale e quindi con una certa libertà di movimento, fino al settembre 1943. Poi Auschwitz, dove viene ammazzata, sembra il 30 novembre 1943. Dal vagone piombato era riuscita a gettare una cartolina, raccolta e spedita da un contadino: "Abbiamo lasciato il campo cantando".
Il diario Etty l'aveva lasciato ad un amico scrittore che, anche se sembra impossibile, per 38 anni non era riuscito a trovare un editore. Finalmente, nell'81, la prima edizione olandese, accompagnata da alcune lettere di Etty da Westerbork: subito 150.000 copie e ora le traduzioni in tutto il mondo.
"Io noto che alla mia sofferenza personale si accompagna sempre una curiosità oggettiva, un interesse appassionato per tutto ciò che riguarda questo mondo, i suoi uomini, i moti della mia anima" (p. 57). Un occhio a se stessa e uno agli altri, lungo tutte le pagine del diario, e sullo sfondo, sempre più presente ma sempre tenuto a bada da un mirabile equilibrio, il forno crematorio. Fra gli altri, molti e guardati con un'attenzione continuamente rinnovata, ne spiccano due, il cui predominio sdoppia idealmente il diario in due parti: S. e Dio. Mai in contrasto, in dolce compagnia, mentre S. non scompare mai (anche se muore nel 1942) ma lascia discretamente il posto.
S. (Julius Spier) doveva avere un fascino incredibile: Etty lo subisce, vive con lui quei due lunghi terribili anni, soffre perché non sembra ottenere l'esclusiva di un uomo eccezionale anche nella professione: faceva lo psicochirologo, e da lui Etty deve avere imparato quella particolare attenzione non soltanto alla voce delle mani ma a tutti i dettagli del corpo. Mai "storia di un'anima" è stata altrettanto ricolma di corpo! Si vedano certi dettagli dei loro incontri di amore, anche se, ovviamente, la morte bussa alla porta.
Due percorsi si intrecciano nel diario di Etty, fino quasi a confondersi in uno: quello da S. a Dio e quello dalla vita alla morte. Ma Dio non elimina n‚ schiaccia S., come la morte che incombe ogni giorno di più non schiaccia n‚ soffoca la vita. "Ho guardato in faccia la nostra misera fine, che è già cominciata nei piccoli fatti quotidiani; e la coscienza di questa possibilità fa ormai parte del mio modo di sentire la vita, senza fiaccarlo. Non sono amareggiata o in rivolta, non sono neppure più scoraggiata o tanto meno rassegnata. Continuo indisturbata a crescere, di giorno in giorno, pur avendo quella possibilità dinanzi agli occhi" (p. 140). La morte cresce con lei e in lei "di giorno in giorno", senza soffocare piccole gioie e speranze, anzi valorizzandole come valorizza il suo impegno per gli altri.
Il diario di Etty è talmente pieno di piccole cose vissute con grande impegno che il lettore rischia di dimenticarsi come vada a finire. Acqua fredda o calda per lavarsi al mattino colazione; cioccolato; golfini a uncinetto; crochi, tulipani, campanule; vesciche ai piedi; l'attenzione divertita alle espressioni degli altri non la lascia neppure durante gli interrogatori della Gestapo. Tornata con un permesso da Westerbork annota: "Le mie rose rosse e gialle si sono completamente schiuse. Mentre ero là, in quell'inferno, hanno continuato silenziosamente a fiorire. Molti mi dicono: come puoi pensare ancora ai fiori di questi tempi?" Glielo chiediamo anche noi.
La risposta, nel diario, si può trovare in due direzioni, Dio e gli altri. La seconda direzione mi sembra più vera. Di Dio è piena tutta l'ultima parte, ma non è un Dio che consola. Profondamente ebrea, anche se non osservante, non è Etty ad aver bisogno di Dio: è il suo Dio, il Dio che consente Auschwitz e che le ha tolto S., ad avere bisogno di lei. Non Dio salva Giobbe, ma Giobbe Dio.
"Dobbiamo abbandonare le nostre preoccupazioni, per pensare agli altri" (p. 155): questo è il suo segreto. Al campo, la sua principale attenzione è per "le ragazzine di sedici anni" (p. 160). Ci viene in mente Anna Frank, strappata nell'agosto del '44 dal suo alloggio segreto e trasportata a Westerbork, prima di venire ammazzata a Bergen Belsen.
Altro riferimento quasi obbligato per chi legge il diario di Etty sono i "Quaderni" di Simone Weil: stesso amore alla vita, stesso esilio continuo fra la casa ebraica e quella cristiana, stessa attenzione per tutto e tutti. Ma Etty resta molto più ebraica, mentre non spazia, come Simone, nel panorama della grande cultura greca, orientale, e nostra. Si porta sempre con sé, anche nella baracca di Westerbork e, chissà, forse anche nell'ultimo viaggio, la Bibbia con dentro la foto di S. e l'amatissimo e citatissimo Rilke.
Da Westerbork, in una delle ultime lettere, Etty scrive ad un amico: "La miseria che c'è qui è veramente terribile - eppure alla sera tardi quando il giorno si è inabissato dietro di noi, mi capita spesso di camminare di buon passo lungo il filo spinato, e allora dal mio cuore s'innalza sempre una voce - non ci posso far niente, è così, è di una forza elementare - , e questa voce dice: la vita è una cosa splendida e grande, più tardi dovremo costruire un mondo completamente nuovo. A ogni nuovo crimine o orrore dovremo opporre un nuovo pezzetto di amore e di bontà che avremo conquistato in noi stessi. Possiamo soffrire ma non dobbiamo soccombere. E se sopravvivremo intatti a questo tempo, corpo e anima ma soprattutto anima, senza amarezza, senza odio, allora avremo anche il diritto di dire la nostra parola a guerra finita. Forse io sono una donna ambiziosa: vorrei dire anch'io una piccola parolina" (p. 245).

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Conosci l'autore

Etty Hillesum

1914, Middelburg

Il padre insegnava lingue classiche; la madre, russa, arrivò ad Amsterdam in seguito a un pogrom. La coppia si sposò nel 1912 ed ebbe, oltre a Etty, due figli maschi: Michael e Jacob. La famiglia seguì gli spostamenti del padre. Etty si laureò in giurisprudenza all'Università di Amsterdam, l'ultima città dove avrebbe abitato. Si iscrisse anche alla facoltà di Lingue Slave e all'inizio della guerra si interessò alla psicologia junghiana. I suoi studi furono interrotti a causa dalla guerra.Intelligenza precoce e brillante. Nel 1942, lavorando come dattilografa presso una sezione del Consiglio Ebraico, le si offrì anche l'opportunità di salvarsi dalla persecuzione che i nazisti stavano mettendo in atto nei confronti degli ebrei,...

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