Mondadori (Lo specchio); 1973; Noisbn ; brossura con risvolti, sovracoperta ; 20 x 13 cm; pp. 122; Prima edizione marzo 1973. ; Presenta leggeri segni d'uso ai bordi (imperfezioni alla sovracoperta), dorso con segni di lettura, volume lievemente brunito; Buono, (come da foto). ; Come apparirà all'appassionato montalista questa « quinta » (e pur primaria) raccolta poetica, già dal suo titolo? Nei precedenti, parole quanto mai « piene » (e pregnanti, come presto o tardi si vide, di intelligenza autocritica), Ossi di seppia, Occasioni, Bufera, più Satura: qui, una parola « vuota » e neutra, Diario, integrata da un puro in-dice temporale. E ciò significa una totale « apertura » alla disposizione poetica, guadagnata (le date designano insieme la riuscita e la sua improbabilità) oltre il ciclo ormai conchiuso dalla ragione. In un certo senso, questi epigrammi sono i nuovi Ossi, stavolta tutt'altro che eri plein air, e partiti su un piede non lirico. Naturalmente la matrice « prosaica » risale al momento così ben definito con Satura: un « pasticcio » che intride la poesia-poesia con la prosa, e prima ancora presuppone la prosa di fantasia (non mai d'invenzione!) del dopoguerra montaliano. Quanto alla fulgurazione epigrafica, essa si era palesata in accezione melico-magica nei « mottetti » (Le occasioni) e si era spogliata dalla perdurante liricità nella riflessione, che poteva essere patetica solo in negativo, votata al pensiero d'una morta: Xenia (poi in Satura). Se il Diario riesce a essere il diagramma d'una sopravvivenza che è stata, vincendo una scommessa non fatta, vera vita, è anzitutto per questa intersezione d'un piano che con vocabolo montaliano sarà da chiamare « oltrevita ». E non va omessa la constatazione che le grandi sequenze poetiche, dalle Occasioni a quella che non per nulla è La bufera (ora non si elaborano nuovi miti, tranne forse Annetta), concomitavano con un periodo rifiutato e addirittura tragico, ma dov'era semplice il discrimine nell'opposizione; invece l'imperante « ossimoro permanente » dell'« onore e l'indecenza stretti in un solo patto » (Lettera a Malvolio, con II terrore di esistere pertinentissimo paradigma di poesia civile) impone l'apparente « fuga », e non si può sferzare altro che in « prosa », e impastando al controcanto le parole della moda. Ma se è agevolmente ricostruibile la preistoria formale del Diario, non sorprenderà meno la novità che senza timore diremo teologica. La più clamante è stata collocata in posizione strategica, a chiusura dei Diari: nell'uno il cantore del « male di vivere » lancia, p[our] p[rendre] c[ongé], la proclamazione testamentaria « Amo la terra, amo / Chi me l'ha data / Chi se la riprende »; nel secondo espone un bilancio di fatturato ridotto ma non meno soddisfacente (« Vissi al cinque per cento »). La riduzione vitale per la verità era già balenata come costitutiva a parte della critica, e il diarista si moltiplica a darle esplicita ragione con la « misura di millimetro » a cui è il regno del Re pescatore, coi « pochi milligrammi » della Danzatrice stanca, con i tanti teoremi di teologia apofatica, col situarsi aldilà, o piuttosto aldiquà, delle opzioni fra stasi e moto, vuoto e pieno, dopo e prima, e così via per tutta la fila delle polarità. Col sussidio di questa limpida chiave una neanche troppo sofisticata esegesi saprà certo dar conto di molte affabulazioni finora cifrate, esitando solo innanzi all'abbondanza delle citazioni tra cui scegliere il motto. O l'epigrafe sarà forse: « Essere vivi e basta / non e impresa da poco ». E a questo breviario di ascesi esistenziale si potrà adattare, dei titoli disponibili, Il mio ottimismo. Gianfranco Contini;
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