I Dieci pensieri sulla politica di Roberto Esposito sono una riedizione dei Nove pensieri sulla politica del 1993, ripresentati con l'aggiunta di un nuovo capitolo e di una nuova prefazione, nella quale l'autore ci spiega che il libro del '93 "chiudeva una fase (
) aperta da Categorie dell''impolitico'" del 1988 "e ne apriva un'altra (
) dedicata prima alla relazione antinomica tra comunità ed immunità e poi a una ridefinizione del paradigma di biopolitica". Partendo di qui, la prefazione del 2011 ci offre un biografia intellettuale dell'autore, che purtroppo il suo riserbo ha ridotto a una ventina di pagine. Convinto "che la filosofia politica (
) perda di vista il problema fondamentale (
) del crescente divario tra politica e pensiero", Esposito ha provato, fin dai pensieri del '93, per non smettere più in seguito, a metterci lui una pezza. Allo scopo ha preso le distanze "dal taglio normativo che (
) caratterizza larga parte della filosofia politica di matrice anglosassone, ma anche (
) Habermas", adottando il "punto di vista critico sulle categorie politiche moderne che, nella riflessione italiana degli anni Ottanta, ha assunto il nome di 'impolitico'". Per riempire di pensiero l'impolitico, ha incominciato, come tanti, con la "Destruktion della metafisica operata da Heidegger, poi ripresa e originalmente rimodulata dal decostruzionismo francese", ma non si è fermato qui. Già nel '93, con uno "scarto laterale", consistente nel passaggio dallo "scavo nell'opera di alcuni pensatori" alla formulazione di veri e propri pensieri, le categorie fino ad allora usate sono state "sottoposte ad una rotazione di centottanta gradi che le spinge a ridosso del loro apparente opposto". Così finalmente Esposito ha incominciato a offrire alla politica il pensiero mancante. Si fa presto a dire che bisogna pensare, la politica poi; ma come si fa? Come si può praticare l'impolitico, evitando che diventi semplice negazione della politica? Esposito ne da qualche esempio in questi pensieri. Occorre interpretare il nulla "come una sorta di operatore interno che porta le categorie della tradizione moderna a volgersi contro se stesse, fino a decentrare il loro significato manifesto". Detto in parole molto povere, si tratta di portare la negazione della politica dentro la politica, per ricuperare i suoi concetti fondamentali non come modi per risolvere conflitti, ma come riconoscimenti di conflitti irrisolti. Esposito ha applicato questo trattamento, che, con una rotazione, riconduce i concetti al loro "vuoto di sostanza, allo stesso modo in cui la parola è 'bucata' dal silenzio", a dieci temi: politica, democrazia, responsabilità, sovranità, mito, opera, parola, male, Occidente, comunità e violenza. Non è facile esporre i risultati ottenuti, perché Esposito ha mantenuto l'abitudine dei filosofi della sua setta di lavorare su citazioni di autori. Per esempio, per evitare di fare banalmente della politica una disciplina della violenza, se si vuole esercitare effettivamente il pensiero, si può partire dalla "'fatticità' che Heidegger assegna al politico come improprietà del suo proprio − o inessenzialità della sua essenza", per giungere alla conclusione che bisogna "racchiudere in un unico colpo d'occhio" la politica "come violenza contro una violenza peggiore solo perché cieca" e come "nuda finitezza esposta alla replica di ciò che è più forte di chi dà la morte perché è la mortalità stessa dell'uomo". Quanti discorsi sulla libertà in politica; eppure basta partire da Bataille per fare della libertà "un'inessenzialità irrimediabile" e della democrazia un "abbassare la voce, spegnere le luci, produrre silenzio". Ancora Bataille per dire che non possiamo possedere la sovranità come un oggetto e perciò "noi non possiamo mai essere sovrani, dal momento che il soggetto sovrano non può darsi che nel ritiro dal soggetto e dalla sua opera". Se qualcuno si fosse mai illuso di essere sovrano
Una domanda. Questi pensieri hanno un valore archeologico, per conoscere la storia intellettuale di Esposito, che è andato molto avanti dopo la loro prima formulazione, o sono ancora validi? Perché viene il dubbio che il bisogno di pensiero che si avverte nella politica non sia proprio quello che Esposito distilla commentando gli autori tra i quali è solito aggirarsi. Che la politica sconti spesso la distanza tra ciò che si sa e i programmi che si formulano è vero: è difficile applicare le conoscenze effettive, capaci di generalizzazioni attendibili, a situazioni particolari, quelle che la politica affronta con formule che contengono false generalità. A questa mancanza di conoscenze forse non pongono rimedio i pensieri di Esposito del '93. Ma lui è andato avanti e certamente oggi è in grado di rispondere al bisogno di pensiero che ha così tempestivamente avvertito. L'amatissimo Heidegger non si stancava di ammonire che non si è ancora incominciato a pensare; che il '93 sia stato un inizio? Carlo Augusto Viano
Leggi di più
Leggi di meno