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La dimensione oscura - Nona Fernández - copertina
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La dimensione oscura
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La dimensione oscura - Nona Fernández - copertina
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Descrizione


Finalista Premio Terzani 2019

Il 27 agosto del 1984, in piena dittatura cilena, un uomo alto, magro, moro, con folti baffi neri arriva negli uffici di una rivista di opposizione. È un agente dei servizi segreti. Voglio parlare, dice, e la giornalista accende il registratore per ascoltare il racconto agghiacciante e inedito di chi ha eseguito sequestri e sotterrato cadaveri, una testimonianza che aprirà la porta verso una dimensione fino ad allora sconosciuta. Messaggero dell'altro lato dello specchio, con la sua confessione l'"uomo delle torture" confermava e rendeva irrefutabile l'esistenza di un universo parallelo e invisibile dominato dall'orrore e dal sopruso del potere. Prendendo le mosse da questa scena reale, Nona Fernández entra nella vita dei protagonisti di quella sinistra testimonianza, recupera le storie di quanti negli anni Settanta e Ottanta furono vittime della dittatura e attiva i meccanismi dell'immaginazione per accedere là dove documenti e archivi non sono stati in grado di arrivare, perché a volte l'"immaginazione è più nitida della memoria". Tra cronaca, letteratura e diario personale, "La dimensione oscura" parla di colpa, pentimento e delle emozioni di un intero paese, il Cile, di fronte a un passato fosco e brutale.

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Dettagli

2018
213 p., Brossura
9788895492490

Valutazioni e recensioni

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Paolo Cabutto
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Poche volte mi è capitato di rimanere così spiazzato davanti a un libro. Quando mi sono ritrovato tra le mani “La dimensione oscura” davvero non avevo idea a cosa sarei andato incontro. Romanzo? Saggio? Memoir? L’opera di Nona Fernández è nello stesso tempo tutto questo e nulla di quello che ho elencato. La somma delle parti ha creato qualcosa di unico e straordinario. Un atroce spaccato della storia del Cile ma anche un distillato amaro della vita dell’autrice, tra ricostruzioni autentiche e viaggi nella coscienza. Un libro che genera dolore, anche a chi come me abita a migliaia di chilometri di distanza e nel 1984 era appena nato, e che trascina il lettore in una dimensione alternativa, in cui pallide lame di luce tentano di dare un senso a un buio che attanaglia il cuore. Protagonista della storia narrata dalla Fernández è il Cile martoriato di Augusto Pinochet degli anni ’70 e ’80, in cui gli oppositori e i detrattori del regime si trasformavano in desaparecidos, tra brutali torture, uccisioni e rapimenti. “La dimensione oscura” è un libro sulla sofferenza e sulla perdita ma anche sulla memoria e sulla necessità di ricordare la devastazione del regime di Pinochet. Perché soltanto ricordando si potrà rendere giustizia a chi si è immolato per la libertà, a chi è stato vittima di soprusi e di violenze ma non si è piegato, affrontandole a testa alta. Un libro necessario per chi vuole dare la giusta importanza alle testimonianze del passato ma che nel frattempo lancia uno sguardo speranzoso al futuro.

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Voce della critica

Il droghiere della paura vuota il sacco, sorpresa Fernandez

“La dimensione oscura” della scrittrice cilena è un’esperienza capace di far desiderare di prendere fiato nell’aria (non sempre purissima) della nostra democrazia. Sorprendente per come riesce a fornire tutto l’orrore di un sistema, quello del regime di Pinochet, che aveva creato una specie di seconda dimensione al fianco della vita di tutti i giorni.

Cosa accade se un agente segreto della dittatura, «un uomo alto, magro, moro, con folti baffi neri», uno che ha torturato, ucciso, braccato, straziato, terrorizzato gli oppositori del regime, uno che passava – con nonchalance da droghiere della paura – da una sessione di supplizi a una passeggiata rigenerante, se uno di questi decide che è venuto il momento di vuotare il sacco che conseguenze provoca?

È da questo contesto che parte un’indagine molto particolare, giocata tra finzione letteraria, cronaca e storia politica, fra i fantasmi del passato, le paure di un ritorno nelle tenebre, che il New York Times ha definito uno dei migliori libri in lingua spagnola degli ultimi anni. Tuffarsi ne La dimensione oscura (213 pagine, 16 euro), traduzione di Carlo Alberto Montalto, scritto da Nona Fernandez, classe 1972,  cilena, è un’esperienza capace di farti desiderare di prendere fiato nell’aria (non sempre purissima) della nostra democrazia e della nostra libertà.

Sorprendente l’autrice per come riesce a fornirci tutto l’orrore di un sistema che aveva creato una specie di seconda dimensione, appunto, una dimensione oscura, al fianco della vita di tutti i giorni. Qualche ragazzo agonizza nelle segrete della polizia militare mentre pochi passi più in là le persone si divertono sulle note di una radio che scaricava le sincopi di un tango. «Una realtà parallela, buia e infinita, come la stanza dei miei incubi». Insomma, «un horror in cui il protagonista era un uomo comune e banale», uno che ha amici, famiglia, vede gente, sorride, scherza, gioca. È un tempo, quello che ci offre la Fernandez la quale non ha vissuto la dittatura ma ne è rimasta marchiata come tutti coloro che l’hanno respirata da bambini, in cui accadevano cose atroci dalle parti dell’America Latina. Una ragazzina di 16 anni sfiorata dal sospetto abbandonata nuda e coperta di escrementi in una stanza piena di topi, giovani lasciati in piedi per giorni, senza cibo né acqua, uomini e donne lasciati morire senza pietà, sindacalisti buttati giù dagli aerei in volo sul mare per non lasciare tracce.

Può un uomo reggere al peso di queste esperienze? Come si può continuare a essere indefinitamente colui che «si alza e si corica con l’odore di morto addosso»?

Per questo, davvero, il 27 agosto del 1984, nel pieno della tirannide di Pinochet, Andrès Antonio Valenzuela Morales, soldato di primo grado, documento di identità 39.432, varca la soglia della redazione di “Cauce” e a una terrorizzata giornalista confessa: «Vorrei parlarle di qualcosa che mi riguarda. Voglio parlarle della persone scomparse». Uno scoop che fece epoca, valicando le frontiere andine. Il militare fu costretto a nascondersi trovando rifugio in Francia.

A distanza di tempo, però, le persone affiorate nei racconti del torturatore e le immagini sbandierate dai familiari dei desaparecidos, sono come “foto provenienti da un’altra epoca”, come “un grido di aiuto che chiede di essere ascoltato”. E per fare questo, per ascoltare i morti che reclamano attenzione, la cronaca non bastava più. Serviva la letteratura. Serviva Nona Fernandez.

Recensione di Giancarlo Macaluso

 

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(...)In questo volume Fernández affronta la memoria dolorosa del Cile sotto Augusto Pinochet con un genere di scrittura a cavallo fra cronaca, immaginazione e diario personale. Lavorando a un documentario (...) l’autrice si imbatte in un aguzzino pentito che negli anni ottanta aveva consegnato a un giornale la propria confessione per poi espatriare clandestinamente e vivere il resto della vita sotto falso nome in Francia.

Il cosiddetto “uomo delle torture” è il fattore scatenante di un esercizio di immaginazione che porta la narrazione a ricostruire la sua vita, le sue riflessioni e i suoi stati d’animo durante le azioni repressive, in contrappunto con il vissuto di alcune delle sue vittime ritratte nei momenti in cui vengono strappate al quotidiano e scaraventate nell’orrore dei “nidi” come con lugubre dileggio venivano chiamate le stanze di tortura. I luoghi e le persone  sono veri, gli stati d’animo e i gesti, immaginati, mentre presente, passato e futuro sono amalgamati e annullati dentro a un dimensione ai confini della realtà: “Un territorio ampio e oscuro che sembra lontano, ma che si trova vicino come l’immagine che lo specchio ci restituisce ogni giorno”. Perché ciò che brucia di più per chi ricorda è che tutto si svolgeva a due passi dall’ordinarietà del quotidiano sotto gli sguardi ottenebrati dalle manomissioni della realtà operate dalla dittatura: “Le urla provenienti dalle sessioni di tortura convivevano con la musica alla radio che si sentiva per tutto il quartiere, con i dialoghi dei telefilm delle tre del pomeriggio, con la voce del telecronista della partita di calcio (...). Sentire uno sparo non era più una cosa strana, faceva parte dei nuovi suoni, delle nuove abitudini, della routine quotidiana che si instaurò perentoria senza che nessuno osasse contraddirla”.

Ma non basta. Come dimostra l’eloquente scansione dei fatti che occupa le ultime pagine del libro percorrendo l’abominevole lasso di tempo fra il golpe e la morte di Augusto Pinochet, spentosi a novantun anni circondato dall’affetto dei propri cari, quel processo selettivo per cui “il cervello vede solo ciò che vuole vedere”, ha permesso che la dimensione oscura si sia in qualche modo protratta nel tempo, e la miopia diffusa abbia permesso al tiranno di passare indenne attraverso “tremilacinquecentocinquanta denunce per violazione dei diritti umani”, di farsi eleggere senatore a vita nel Congresso nazionale, di venir arrestato a Londra, ma di essere ben presto liberato per presunti problemi di salute, salvo alzarsi dalla sedia a rotelle appena posto piede sul suolo patrio. Teatro dell’assurdo raccontato in forma di poema e scandito da due significativi ritornelli: “Il mondo si prende gioco della democrazia cilena” e “famigliari di detenuti scomparsi accendono candele davanti alla Cattedrale”.

Recensione di Vittoria Martinetto 

 

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