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Attesa sul mare - Francesco Biamonti - copertina
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Attesa sul mare

Descrizione


L’ultimo sporco lavoro di un marinaio dell’entroterra ligure prima di ritirarsi fra i suoi ulivi malati, con una donna per troppi anni abbandonata. Un’ultima fuga dalle cose più amate, l’estremo tentativo di fingersi déraciné, il gusto di sentire ancora, e forse per sempre, i silenzi del mare, il ritmo della solitudine.Edoardo ottiene un buon ingaggio, la nave che gli viene affidata è vecchia ma ancora solida. Destinazione: le coste dell’ex Jugoslavia. Carico: una partita di armi. La navigazione procede tranquilla in un intarsio di luci e di sensazioni, e di discorsi fra gli ufficiali che pudicamente mettono in comune ricordi e stati d’animo. Edoardo trova in un giovane spagnolo l’entusiasmo e la vitalità che non ha più, forse che non ha mai avuto: un possibile contravveleno per le sue laceranti malinconie. Si parla del passato, del futuro. Si evita di parlare del viaggio in corso, dei suoi aspetti morali. Ci sono i committenti che danno ordini via radio da un’agenzia di Tolone. E questo basta. Questo assolve. Solo loro sanno dove bisogna portare il carico, a chi consegnarlo, come farsi riconoscere. Però, a un certo punto, la radio tacerà: forse un guasto, forse un regolamento di conti fra gruppi di contrabbandieri rivali, forse l’opera dei servizi segreti. Gli ordini sono finiti, inizia l’attesa. L’attesa sul mare. C’è la necessità di attivare le coscienze, di ritrovare una stilla di energia, prendere decisioni, fare qualche cosa che non sia, al solito, fuggire.

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Dettagli

1994
1 gennaio 1997
113 p.
9788806134990

Voce della critica


recensione di Coletti, V., L'Indice 1994, n. 7

Un marinaio ligure, Edoardo, tenta l'ultimo viaggio prima del ritiro. Accetta di comandare una nave battente bandiera ombra, carica di armi destinate ai partigiani bosniaci. Lascia ancora una volta la donna che lo aspetta, il paese natale, e parte per le coste della ex Jugoslavia con un equipaggio composito e sconosciuto. Ma, a un certo punto, quando il porto previsto non è lontano, la nave non riceve più istruzioni dagli armatori ed è abbandonata a se stessa. Edoardo decide allora di ormeggiarla in rada e di scendere a terra a concludere personalmente la vendita delle armi. Arriva cosi alle soglie dell'inferno; vede le sofferenze della guerra, la paura dell'uomo e il male della terra contesa; e riparte per cercare ancora più disperatamente di prima un mare "pieno de graci" che conduca - come gli dice il nostromo provenzale - verso "uno terro souleianto e graciouso".
Questa la trama, come già negli altri romanzi dello stesso autore, minima, essenziale. Francesco Biamonti è anche in questo libro narratore profondo e lirico. Le sue storie sono sempre fitte di emblemi filosofici, metafore poetiche dell'esistenza, della vita, del mondo, di interrogativi senza risposta. Ma, con una piega nuova rispetto ai romanzi precedenti, il bene e il male, il vero e il giusto, non sono più rapportati solo a un'astratta e universale condizione dell'uomo sofferente, ma anche a un concreto, riconoscibile evento, che è la storia dei nostri giorni, la loro vergogna infinita, la guerra rinnovata (nel Golfo Persico, dove muore un marinaio amico del protagonista, in Bosnia o nel porto di Tolone durante il secondo conflitto mondiale).
Tutto concorre a sostanziare di spessori palpabili la riflessione del narratore; e, in primo luogo, ancora una volta, il paesaggio. Giorgio Bertone ha scritto di recente pagine molto belle (in "Storia d'Italia, Le regioni. La Liguria", Einaudi, 1994) sull'evidenza del paesaggio nella letteratura dei liguri. Ed è certo che Biamonti divide coi suoi grandi conterranei l'attitudine a investire il paesaggio di un ruolo attivo, a farne il correlato oggettivo di stati d'animo complessi e di ragionamenti complicati.
Come negli "Ossi di seppia" di Montale, c'è in "Attesa sul mare" una sorta di opposizione tra terra e mare. La terra è il luogo della malattia e del "lutto": "C'è in ogni terra il seme della morte"; il mare invece è sospensione del male, convalescenza: "purifica i cuori", "guarisce" le cose, "ha una sua innocenza". Il paesaggio è innanzitutto natura, uomini e cose, paesi visti; è, cioè, paesaggio percepito da qualcuno. E la percezione del paesaggio naturale (vecchio e potente tema della poesia prima che scomparissero non so se l'uno o l'altra) è anche, basti pensare a Leopardi, coscienza e misura di chi guarda, forma visibile della sua solitudine cosmica, spazio metafisico dell'uomo diviso che vede incarnata nelle cose la propria immagine dolente e i propri sogni vani di ricomposizione e di senso. Per questo i personaggi di Biamonti sono fasciati di silenzio, di solitudine; confessano di non saper fare conversazione; non parlano di ciò che hanno in cuore. Sembrano personaggi pavesiani o di certa narrativa americana del primo Novecento, che abbozzano e non finiscono mai i discorsi. Ma il loro tacere non è una virtù; è una scelta inevitabile. Il silenzio, il dialogo accennato (specie quello dei marinai, perché "in mare ci si interroga, ma si tace"), le domande senza risposta, infatti, sono la sola comunicazione possibile: rispetto e riserbo di fronte alla pena e al mistero dell'altro, ricerca e attesa di un significato che non c'è. La solitudine dell'uomo davanti al paesaggio (di terra e di mare) è anche il segno della sua "fragilità" di fronte al potere atavico del male (c'è qui un cenno al dualismo dei bogomili che mettevano tutta la materia sotto il dominio di un potere cattivo) e a quello rinnovato della storia recente: "Abbiamo scatenato forze che non possiamo più controllare, le nostre radici affondano dentro un male di secoli", "era da un po' che tutto degenerava, a furia di tentennamenti l'Europa andava alla rovina; non c'era più n‚ dignità n‚ dolore, planava l'angelo del disordine anche sul mare", Ognuno è vittima e complice di questo male ("Ai sensi di colpa non si sfugge mai") e solo recuperando una primordiale solidarietà (come per il Leopardi della "Ginestra" o l'Ungaretti che invocava "Fratelli") si può ritrovare uno spazio di sopravvivenza e una giustificazione: "L'importante è essere solidali - Su questo non si discute".
I personaggi di Biamonti sono come i loro discorsi, fatti di linee accennate, di profili sfuggenti. Ognuno di essi, come Edoardo, come i suoi ufficiali Manuel o Henri, porta con sé il proprio grumo di dolore e di speranza e vi si chiude intorno con tratti scarni, abbozzati: emblemi senza figura. Solo delle donne si vede meglio il ritratto, disegnato però dal paesaggio, dalle luci, dai colori che parlano per esse e riempiono il loro corpo. Su tutte, Clara, la donna di Edoardo, che riempie "col suo corpo la vuota luce del mattino", va "avvolta dalla luce", "nel sole"; Clara riassume in sé la magia della bellezza, porta i segni di una "luce arcaica", di un "dolore antico", di una memoria ferita e fedele; si fa testimone della scelta coraggiosa di resistere sulla terra, mentre Edoardo fugge per paura, per viltà, perché troppo presto arreso all'invincibilità del male, subito incline alla magica sospensione, all'attesa illusoria sul mare.
Un romanzo, questo, lo di sarà capito, di forte impegno intellettuale e morale e, come si diceva, di parallela ambizione stilistica, visibile specialmente nell'insistita ricerca della precisione, nella maniacale ripugnanza per la genericità linguistica. Ne è prova un vocabolario calcolato con vaglio calviniano, tecnicismi botanici e faunistici, lessico marinaresco (persino, qua e là, oltre. misura come l'"inula salicina" o i " caprimulghi " o l'"aberrazione" del "tubo oculare"), un minuzioso progetto di dominio della scrittura, attraverso cui Biamonti insegue sulla pagina - in funzione di sentimenti e riflessioni - colori, linee, rumori, fissati (anche attraverso qualche recupero dialettale) con l'evidenza di cose, paesi, campagne della sua Liguria.

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Conosci l'autore

Francesco Biamonti

(San Biagio della Cima, Imperia, 1928-2001) scrittore italiano. Il paesaggio ligure campeggia e si trasfonde in folgorazione lirica nei romanzi L’Angelo di Avrigue (1983), Vento largo (1991) e Attesa sul mare (1994).

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