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Alessandro Manzoni

Alessandro Manzoni

Alessandro Manzoni

1785, Milano

Sua madre Giulia Beccaria, figlia di Cesare, il famoso giurista e filosofo, aveva sposato controvoglia Pietro Manzoni, ricco possidente del lecchese, assai più anziano di lei; Alessandro nacque dopo due anni e mezzo di matrimonio, e probabilmente fu il frutto di una relazione adulterina con il più giovane dei fratelli Verri, Giovanni. Il matrimonio ebbe breve durata e nel 1795 Giulia andò a convivere con il conte Carlo Imbonati, con il quale si stabilì a Parigi.
Intanto Alessandro riceveva la sua prima educazione nei collegi dei padri somaschi, a Merate, fino al 1796 e poi, fino al 1798, a Lugano; si trasferì quindi a Milano nel collegio dei Nobili, retto dai barnabiti e vi stette fino al 1801.
Ebbe allora contatti con gli esuli politici e approfondì la conoscenza delle idee illuministe; conobbe inoltre Vincenzo Monti e Ugo Foscolo, e divenne amico di Ermes Visconti. Il radicalismo giacobino e aspramente anticlericale di questi anni trova espressione nel poemetto in 4 canti Del trionfo della libertà (1801). Componeva anche dei sonetti (l’autoritratto Capel bruno alta fronte occhio loquace e altri tra i quali uno ispirato dalla contessina Luigia Visconti, sorella di Ermes, di cui era innamorato). Da ricordare anche l’ode Qual su le Cinzie cime (1802-03), l’idillio Adda (1803) e i 4 Sermoni (Amore a Delia, Panegirico a Trimalcione, A G. B. Pagani, Contro i poetastri), composti fra il 1803 e il 1804. Questo primo periodo milanese si chiuse nel 1805, quando Manzoni raggiunse la madre a Parigi; era appena morto Imbonati, la cui figura venne rievocata e celebrata dal giovane Alessandro (che pur non lo aveva mai conosciuto) negli sciolti In morte di Carlo Imbonati (1806).
Gli anni fra il 1805 e il 1810 furono decisivi nell’evoluzione letteraria e umana dello scrittore. Da un lato egli veniva consumando la propria esperienza di poeta neoclassico (del 1809 è il poemetto Urania), dall’altro la sua cultura si apriva a una dimensione europea, grazie alla frequentazione degli «ideologi» repubblicani che si riunivano nel salotto di Sophie de Condorcet.
Intanto nel 1807 era morto a Milano suo padre, e un anno dopo Alessandro sposava la ginevrina Enrichetta Blondel, di religione calvinista.
Le sue convinzioni si erano nel frattempo evolute verso un interesse sempre più acuto per le tematiche religiose: si tratta di quel lungo e complesso processo a proposito del quale si è parlato di «conversione» di Manzoni, e che sfocerà nella adesione al cattolicesimo; al termine dell’intenso travaglio spirituale saranno mutate anche le idee sulla poesia.
La data significativa è il 1810: fu allora che venne regolarizzato secondo il rito cattolico il matrimonio con la Blondel (già celebrato secondo il rito calvinista).
In quello stesso anno (1810) lo scrittore era tornato a vivere a Milano e la sua casa divenne il luogo di frequenti riunioni tra poeti e letterati (E. Visconti, T. Grossi, G. Berchet e anche, ma con minore assiduità, C. Porta), costituendo così un punto d’incontro e di convergenza per i due gruppi romantici milanesi: quello che faceva capo a Porta (la cosiddetta «cameretta») e l’altro costituito dai redattori del «Conciliatore».
Dopo tre anni di silenzio, nel 1812, cominciò a comporre gli Inni sacri: avrebbero dovuto essere 12 ma ne portò a termine solamente 5: La Resurrezione (1812), Il nome di Maria (1812-13), Il Natale (1813), La Passione (1814-15) e infine, più in là negli anni, La Pentecoste (1817-22).
Manzoni cercava una lingua di più immediata comunicatività, che fosse in grado di esprimere con efficacia i contenuti concettuali che gli stavano a cuore. Una simile scelta coincideva con una più aperta adesione al romanticismo (espressa, fra l’altro, alcuni anni dopo nella lettera al marchese Cesare D’Azeglio Sul romanticismo, 1823): romanticismo inteso come rinnovamento sia dei moduli espressivi sia del repertorio tematico, e come promozione di una letteratura «popolare» indirizzata alle persone colte, seppur non letterate di professione.
Quella fra il 1812 e il 1827 è la stagione più feconda di Manzoni poeta, storico e teorico: se infatti la conversione religiosa non gli diede la stabilità psichica (e nella sua vita persistettero ricorrenti stati di depressione e di angoscia, legati anche a lutti familiari, quali fra il 1833 e il 1839, la morte della moglie Enrichetta, poi delle figlie Giulia Claudia, andata sposa a Massimo d’Azeglio, Cristina, Sofia e Matilde, e infine della madre), la «conversione letteraria» lo portò a esiti molto alti, che si collocano, cronologicamente, nel periodo di più intenso sviluppo del romanticismo italiano.
Al 1821 risalgono due odi, Marzo 1821, ispirata ai moti patriottici di quell’anno (ma pubblicata nel 1848 insieme al frammento Il proclama di Rimini) e Il cinque maggio, dove il destino di Napoleone è rivissuto in una folgorante successione di episodi.
Nello stesso tempo si impegnava a fondo nel tentativo di costruire un teatro svincolato dai canoni del classicismo: nascevano così le tragedie Il conte di Carmagnola (1820) e Adelchi (1822), nonché il Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia (1822).
Nella Lettre à M.C. J.-J.-V. Chauvet sur l’unité de temps et de lieu dans la tragédie (1819, pubblicata nel 1823), non soltanto sono respinte le regole classiciste delle unità ma, sulla scorta delle tragedie di Shakespeare e delle formulazioni teoriche di A.W. Schlegel, vengono enunciati alcuni principi essenziali di poetica: rispetto della verità storica come garanzia della validità morale ed estetica dell’opera; unità d’azione intesa come capacità dello scrittore di scoprire i nessi obiettivi degli eventi e di rintracciarne il senso.
Nel 1821, inoltre, aveva avuto inizio la lunga e travagliata stesura del grande romanzo, la cui prima redazione, intitolata Fermo e Lucia, fu compiuta nel 1823. Nella scelta dell’argomento Manzoni obbedì al gusto allora imperante (sull’onda del successo dell’opera di Walter Scott) per il romanzo storico, integrando invenzione e storia per meglio illuminare fatti e sentimenti reali (posizione mutata più tardi, allorché nello scritto Del romanzo e in genere de’ componimenti misti di storia e invenzione, 1845, egli arrivò a condannare l’invenzione in letteratura e, quindi, tutto il genere romanzesco).
I promessi sposi furono stampati una prima volta nel 1827, dopo la ristrutturazione operata sul Fermo e Lucia negli anni 1824-26; una seconda volta, a dispense, fra il 1840 ed il 1842 (con in appendice la Storia della colonna infame, ricostruzione delle vicende della peste di Milano, con un’ottica attenta soprattutto ai risvolti morali dell’evento).
Mentre la prima edizione apporta modifiche sostanziali all’intreccio e ai fatti del Fermo e Lucia, la seconda è il risultato di una profonda revisione linguistica, cui Manzoni giunse dopo un soggiorno fiorentino, voluto proprio per «risciacquare i panni in Arno», ossia per riscrivere il romanzo secondo la parlata toscana.
A Firenze Manzoni si recò nel 1827 assieme alla famiglia. Già celebre, s’incontrò e discusse più volte con il gruppo dei liberali toscani che faceva capo a G.P. Vieusseux e alla sua rivista «L’Antologia»; ebbe modo di conoscere anche Leopardi e Niccolini, e fu accolto nell’Accademia della Crusca quale membro corrispondente. Il soggiorno fiorentino rappresenta un momento importante specialmente per la storia della redazione dei Promessi sposi e per l’approfondimento dei problemi relativi alla questione della lingua.
Il pensiero linguistico manzoniano venne esposto in scritti posteriori, come la lettera a G. Carena Sulla lingua italiana (1845), la relazione al ministro della pubblica istruzione Dell’unità della lingua italiana e dei mezzi di diffonderla (1868), con relativa Appendice (1869), la Lettera intorno al libro «De vulgari eloquio» di Dante Alighieri (1868), la Lettera intorno al vocabolario (1868), la Lettera al marchese Alfonso della Valle di Casanova (1871, pubblicata postuma nel 1874); ma la trattazione più organica in materia è costituita dal breve trattato Sentir messa (1835-36, pubblicato postumo nel 1923), accanto al quale si deve ricordare l’altro incompiuto trattato Della lingua italiana, cui lo scrittore lavorò lungamente fra il 1830 e il 1859. Constatata l’inesistenza di una vera lingua italiana, Manzoni riconosceva a tutti i dialetti la dignità di lingue; dovendosi però, per esigenze pratiche, adottare in Italia uno strumento linguistico unitario, proponeva che si scegliesse quello dei dialetti che aveva la maggiore autorità culturale, vale a dire il fiorentino dell’uso vivo, il solo in grado di rinnovarsi e quindi di soddisfare le esigenze attuali della società italiana.
Nell’insegnamento pubblico dell’Italia postunitaria in fatto di lingua ci si uniformò alla proposta di Manzoni (nominato nel 1862 presidente della commissione per l’unificazione della lingua).
Dopo la pubblicazione del romanzo nel 1827 si concentrò sui problemi linguistici, storico-politici (La rivoluzione francese del 1789 e la rivoluzione italiana del 1859, 1860-72, pubblicata postuma nel 1889) e filosofico-morali (revisione definitiva delle Osservazioni sulla morale cattolica, 1855, già edite in una prima redazione nel 1819; dialoghi Dell’invenzione, 1850, e Del piacere, 1851, edito postumo nel 1887).
Nel 1840 Manzoni si era risposato con Teresa Borri Stampa. Trascorse gli ultimi anni onorato e rispettato come il massimo scrittore italiano vivente; nel 1861 venne nominato senatore a vita.
Nell’anniversario della sua morte Giuseppe Verdi compose e diresse la Messa da requiem, dedicata alla sua memoria.

(Parzialmente dall'Enciclopedia della Letteratura Garzanti)
Foto: Francesco Hayez, Ritratto di Alessandro Manzoni, 1841

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