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"Quanto occorre fare è dilatare nella direzione opportuna lo sguardo: solo così si può scongiurare il rischio di considerare quella dell'economia una sfera separata, avulsa dalle altre sfere della vita. È quanto qui si è cercato di fare. Proposito ambizioso, lo riconosciamo, su cui incombe il fallimento di Icaro. Per questo siamo andati alla ricerca di agganci alti, quelli più alti possibili". Questo inventivo sforzo di quadrare il cerchio fra le tre parole chiave del sottotitolo (efficienza, equità e felicità pubblica) e di mostrare "che il mercato può diventare un luogo di incontri civili e civilizzanti, e quindi luogo di felicità" in effetti si muove con grande disinvoltura dall'umanesimo ad Alfred Marshall, passando attraverso l'"economia civile" di Antonio Genovesi, alla ricerca del filo perduto di un pensiero economico non risolto nell'individualismo utilitaristico, né nella critica radicale al mercato "come essenzialmente antisociale (...) che ha tra i suoi teorici più celebri autori come Karl Marx e Karl Polanyi". Chiarita la base teorica, si passa a un'acuta e documentata disamina delle possibilità attuali di applicazione di un'"economia civile", ispirata alla reciprocità e ai beni relazionali, sullo sfondo della crisi del welfare. Degna di indubbia attenzione, la proposta sollecita però ulteriori verifiche con una quotidianità di "corrosione del carattere" (per dirla con Richard Sennett) nella quale la lezione marxiana e polanyana possono, crediamo, fornire ancora molti utili spunti.
Ferdinando Fasce
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