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Anno edizione: 2022
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Da quand'è che la nostra principale occupazione è vendere sui social merci assortite, la più importante delle quali siamo noi stessi? Perché c'illudiamo che il nostro penzierino sul tema del giorno sia davvero rilevante per qualcuno? Quando è cominciata la fiera della vanità dei nuovi esibizionismi? Tra narcisismi quotidiani, paradossi e varie mitomanie, un esilarante viaggio nelle gallerie di specchi dell'egocentrismo contemporaneo, per cui la vera tragedia è non essere instagrammabile.
È un lavoro di precisione, il commercio del sé. Devi sapere cosa mettere in vetrina e cosa tenere nel retrobottega, quali difetti della merce occultare e quali ostentare. E che l'economia del sé non conosce tutele sindacali, rotture di stock, indisponibilità.
C'era una volta la vita privata: era il luogo in cui ti provavi vestiti e ti accoppiavi, ti lamentavi del capufficio e violavi gli arresti domiciliari, cucinavi e sanguinavi. Poi sono arrivati i telefoni con incorporato un obiettivo fotografico. «Il bello di questo secolo è che, quando pensi che il senso del pudore sia azzerato, esso ti sorprende scendendo sotto lo zero». L'esibizionismo è diventato non solo normalità, ma diritto; non solo diritto tuo a esporti, ma dovere degli altri di trovarti interessante. La nostra «presa della Bastiglia è la presa della visibilità da parte dei mediocri. L'unico eccezionalismo che tolleriamo è l'eccezionalismo di massa». Nella sua nuova indagine sulle follie contemporanee, Guia Soncini individua alcuni punti chiave di questa religione ombelicale, a cominciare dal momento in cui Chiara Ferragni ha inventato l'economia del sé e risalendo fino a Monica Lewinsky, il cui principale errore fu essere in anticipo su un tempo in cui pretendere attenzione è diritto, dovere, norma e pratica comune. Tra le ingenuità della militanza su internet e l'esibizionismo bipartisan che annulla ogni differenza anche in politica, da Calenda a Salvini, un viaggio nella livella social che rende uguali il calciatore e l'intellettuale, la influencer e la deputata, dove «la merce siamo noi, nessuno si senta escluso». Cercando una risposta alle domande che ci assillano quando siamo merce e vetrina, venditori e prodotti, illusionisti e oltranzisti della trasparenza. Certo che potremmo sottrarci al salire sul palcoscenico, ma tutti hanno una telecamera in tasca, e «se comunque finisce che mi fotografate di soppiatto voi, tanto vale pubblichi la mia vita io».
Provocatoria, a tratti dissacrante, l'autrice racconta meccanismi, fisime, vizi, strategie e bugie dei social e di chi vi imperversa e "influenza per vendere prosciutti". Non ci sono verità sconvolgenti, ma è interessante l'aspetto pseudoantropologico con cui la scrittrice tratta l'argomento e i continui confronti con il passato.
Il volume è piuttosto breve e la lettura non è particolarmente impegnativa. Ho trovato degli spunti interessanti rispetto al precedente volume che era una raccolta di cose dell'autrice già pubblicate. Nota negativa è che poteva evitare di parlare così tanto della Ferragni e della sua famiglia.
L’economia del sé è un libro che esplora gli aspetti nascosti dei social, soprattutto di Instagram. Il problema dell’oggi è che tutti pensiamo che la nostra opinione possa interessare a qualcuno. Lo scopo di tutti noi, oggi, su Instagram, qual è? Ve lo siete mai chiesto? Passare il tempo? Divertirsi? Vendere qualcosa? Pubblicizzare la propria attività? Qualunque sia il motivo, ci siamo perchè pensiamo che la nostra presenza sia una forza, e non un limite. Soprattutto per quanto riguarda i profili che esprimono opinioni, ovviamente anche il mio, in questo preciso momento. Oggi tutti possono esprimere la loro opinione. Ma proprio TUTTI. Con o senza una laurea, con o senza una professione, con o senza un minimo di credibilità. E possono esprimerla su TUTTO. Chiunque sulla qualunque. È un bene o un male? Ma soprattutto, avete mai riflettuto sul fatto che la gente, ormai, fa la corsa a postare su Instagram il luogo della vacanza in cui è stato? Oppure l’ultimo libro che ha comprato? O l’ultimo ristorante dove ha mangiato? Perchè questa fretta? Non è che siamo arrivati al punto che se non lo fotografiamo, se non lo raccontiamo, allora vuol dire che quel momento non lo abbiamo vissuto davvero? Sono nati prima i prodotti o le vetrine? Eravamo esibizionisti anche prima dell’avvento dei social, o sono stati i social, Facebook e Instagram, a convincerci che siamo in diritto di parlare continuamente di noi stessi, di quello che facciamo, delle nostre opinioni su tutto, ma veramente su tutto, anche se non sappiamo un tubo di niente? Ormai siamo diventati opinionisti non retribuiti. Una lettura fuori dagli schemi, con riflessioni interessanti, che però ho trovato un po’ fuorvianti, perchè alcuni discorsi vengono lasciati sospesi. Se siete affascinati dal mondo dei social e dai meccanismi psicologici che ci sono dietro, vi consiglio di leggerlo, anche se giungerete a una conclusione non molto confortante.
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