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L' eresia del Novecento. La Chiesa e la repressione del modernismo in Italia - Guido Verucci - copertina
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L' eresia del Novecento. La Chiesa e la repressione del modernismo in Italia - Guido Verucci - copertina
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Descrizione


L'Italia e la Francia sono stati i paesi in cui maggiore fu la diffusione del modernismo: il tentativo di "riforma della Chiesa all'interno della Chiesa" che vide impegnati Loisy e Tyrrel, Blondel e Buonaiuti, Fogazzaro e gli scrittori del "Rinnovamento". Per la Chiesa "la sintesi di tutte le eresie", per altri la ricerca di espressioni nuove di vita religiosa, che prefigurava in diversi casi un superamento del cattolicesimo storico, costruito in quasi duemila anni di storia; in certi casi un superamento della religione stessa come esperienza per così dire "verticale", trascendente. In Italia lo scontro fu asprissimo: la Chiesa, i papi, il Sant'Offizio da una parte, e qualche migliaio di sacerdoti e di laici dall'altra. Guido Verucci studia l'atteggiamento della Santa Sede di fronte al modernismo: l'impossibilità della Chiesa di operare una vera riforma, l'opera di lunga repressione. Di grande importanza per gli studi è stata la possibilità di consultare documenti resi disponibili dalla recente apertura degli archivi della Congregazione per la dottrina della fede (l'antica Congregazione del Sant'Offizio).
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Dettagli

2010
11 maggio 2010
X-156 p., Rilegato
9788806203092

Voce della critica

Il modernismo è "uno dei grandi scontri fatali, che, nella storia dell'umanità, devono necessariamente accadere tra la religione, che è la filosofia delle moltitudini, e la filosofia, che è la religione dello spirito". Così Gentile nel suo commento del 1908 alla Pascendi. Un giudizio che vale oggi come all'inizio del Novecento, con la differenza che allora il contrasto fu tutto interno alla chiesa.
Come espressione di questa "eresia del secolo", il modernismo, e gli studi relativi, hanno avuto nell'Italia repubblicana ampia fortuna, dai lavori di Pietro Scoppola del 1961 a quelli di Michele Ranchetti, Lorenzo Bedeschi o Maurilio Guasco. Con un'intensificazione nell'ultimo decennio: nel 2000 sono apparsi L'antimodernismo in Italia di Bedeschi e Il modernismo tra cristianità e secolarizzazione, a cura di Alfonso Botti e Rocco Cerrato; nel 2001 La Civiltà cattolica nella crisi modernista di Giovanni Sale; fino al 2010 che vede, accanto al volume di Verucci, la pubblicazione di Il modernismo in Italia e in Germania nel contesto europeo, a cura di Claus Arnold e Giovanni Vian.
L'archivio della Congregazione per la dottrina della fede, ex Sant'Offizio, aperto progressivamente dal 1998, ha fornito nuovi materiali per esaminare le forme della condanna e della repressione degli "errori" modernisti. Con queste fonti, integrate con quelle di altre istituzioni come la Segreteria di stato, Verucci può offrirci una visione articolata dell'intervento repressivo della chiesa, che non fu monolitico, come è stato rappresentato finora, ma segnato da comportamenti diversi pur sotto la decisa direzione del pontefice.
Si pensi al successore di Pio X che con la Pascendi del 1907 condannò il modernismo, "sintesi di tutte le eresie". Nell'enciclica Ad Beatissimi Apostolorum del 1° novembre 1914 Benedetto XV confermò la condanna di quanti, "tronfi e imbaldanziti per il grande concetto che hanno dell'umano pensiero (…), giunsero a tal punto di temerità che non esitarono a voler misurare colla loro intelligenza perfino le profondità dei divini misteri e tutte le verità rivelate, ed a volerle adattare al gusto dei nostri tempi". Ma, pur muovendosi in continuità con Pio X, verso i singoli modernisti Benedetto XV, affiancato dal segretario di stato Gasparri, si dimostrò più tollerante e più cauto del predecessore e del Sant'Offizio.
La lotta contro il modernismo non fu solo religiosa. Verucci ricorda il programma di riconquista cattolica di tutta la società da parte della chiesa: mentre si stava esaurendo il modernismo cristiano, obiettivo da combattere diventa il "modernismo morale, giuridico e sociale" individuato nella Ubi arcano di Pio XI del 1922. Sarebbe eccessivo rinviare al Sillabo di Pio IX del 1864; tuttavia, alle aperture di alcuni modernisti come Murri verso gli aspetti politici e sociali del mondo moderno, corrisponde il tentativo della chiesa di affermare il suo potere assoluto, da quando essa si gerarchizza in parallelo con il fascismo e in concorrenza con esso. Una lettura della vicenda modernista e della sua repressione che non sia solo interna al discorso teologico, quindi, può contribuire a spiegare meglio alcuni aspetti della cultura italiana e del rapporto fra stato e chiesa.
All'interno della chiesa il modernismo fu un'espressione di quell'effervescenza religiosa e mistica di primo Novecento che fu criticata da Croce, ma che influenzò molti intellettuali idealisti. È noto come in questo clima Gentile abbia valorizzato fra i gradi dello spirito il momento religioso, pur subordinato alla filosofia, e abbia identificato la religione cristiana con la realtà storica della chiesa cattolica, apprezzata per la sua capacità di disciplinare le masse a partire dalla scuola, e come ritenesse, al pari delle gerarchie ecclesiastiche, che tra fede e scienza non poteva esserci che opposizione. Le critiche di Gentile al modernismo coincidono con alcune formulazioni dell'enciclica, come notò anche "La Civiltà cattolica", giudicando "notevole" il suo intervento del 1908. E nel 1909 Croce raccomandò a Laterza il volume Il modernismo e i rapporti tra religione e filosofia, dicendo che gli scritti gentiliani lì raccolti "sono stati tenuti presenti dai redattori dell'Enciclica Pascendi".
La lotta della chiesa contro il modernismo ebbe pesanti ricadute nell'università statale e sul piano politico. Noto è il caso Buonaiuti. Nel 1914 il non intervento di Benedetto XV gli permise di avere la cattedra di storia del cristianesimo a Roma, voluta dal ministero della Pubblica istruzione per offrire "un insegnamento storico-critico che si opponesse alle scuole dogmatiche del Vaticano". Nel gennaio 1925 egli fu scomunicato e la Segreteria di stato ottenne dall'autorità civile la sua sospensione dall'insegnamento: erano già in corso le trattative per il Concordato, il cui articolo 5 ebbe origine proprio nella volontà di combattere Buonaiuti, affermando che "i sacerdoti apostati o irretiti da censura non potranno essere assunti né conservati in un insegnamento, in un ufficio od in un impiego, nei quali siano a contatto immediato col pubblico". La cattedra universitaria gli fu tolta del tutto per il rifiuto di giurare fedeltà al fascismo nel 1931, e in nome del Concordato Buonaiuti non fu reintegrato nell'università neppure dopo il 1945.
La sua vicenda conferma la volontà di egemonia della chiesa sullo stato. La Pascendi dedicava a questo tema un breve passaggio, spesso dimenticato, includendo fra gli "errori" dei modernisti l'affermazione che "lo Stato e la Chiesa sono l'uno all'altra estranei pel fine a cui tendono, temporale per lo Stato, spirituale pella Chiesa (…). Ma non basta alla scuola dei modernisti che lo Stato sia separato dalla Chiesa (…) nelle cose temporali la Chiesa ha da soggettarsi allo Stato".
La lotta antimodernista, che continua nei decenni successivi, testimonia quindi la ricerca di spazi di potere da parte della chiesa dopo il Concordato, ai danni dello stato, non più usato solo come suo braccio secolare. Dopo il 1929, come dopo la Costituzione del 1948, la chiesa ottiene vittorie significative grazie alla linea transigente adottata con un potere civile che è venuto perdendo il senso della laicità.
Ciò non accade, ovviamente, senza contrasti e oscillazioni, all'interno di una società sempre più secolarizzata. Le nuove sfide lanciate alla chiesa da scoperte scientifiche capaci di mettere in discussione alcuni principi della dottrina cattolica richiedono nuove risposte. Così, il concilio Vaticano II inaugurato nel 1962 ha introdotto motivi di contraddizione interni alla chiesa sul tema principale affrontato dai modernisti: la costituzione pastorale Gaudium et spes approvata dal concilio nel dicembre 1965, pur senza rinunciare alla supremazia della chiesa in ogni settore della società, la invitava a riconoscere i progressi della scienza e della tecnica: la "legittima autonomia della scienza" non consente di ritenere scienza e fede in opposizione tra loro, si affermava con riferimento a Galileo. Si trattava piuttosto di "armonizzare la conoscenza delle nuove scienze, delle nuove dottrine e delle più recenti scoperte con la morale e il pensiero cristiano": un'apertura condizionata, quindi, non priva di contraddizioni, ma lontana dai toni intransigenti usati da Pio X.
Il percorso successivo della chiesa sarà assai diversificato. Nell'enciclica Fides et ratio del 1998 Giovanni Paolo II ha affermato che "non ha (…) motivo di esistere competitività alcuna tra la ragione e la fede: l'una è nell'altra, e ciascuna ha un suo spazio proprio di realizzazione". E mentre mette in guardia contro "la tentazione razionalistica" propria del modernismo, sostiene che "il Concilio Vaticano II ha più volte ribadito il valore positivo della ricerca scientifica in ordine a una conoscenza più profonda del mistero dell'uomo".
Diversi gli accenti di Benedetto XVI, che nell'udienza generale del 18 agosto 2010, parlando di Pio X, ha messo in rilievo la sua condanna del modernismo "per difendere i fedeli da concezioni erronee". Il dissidio scienza-fede è quindi destinato a permanere, come osservava Gentile un secolo fa. In forme diverse: dopo aver condannato soprattutto gli errori politici con il Sillabo e la cultura moderna con la Pascendi, la chiesa ora non si limita a contrastare anche con armi scientifiche la cultura laica sulle questioni biologiche, ma cerca di appropriarsi della cultura scientifica cancellando i contrasti del passato e le proprie responsabilità. Nel maggio 2009 il convegno più importante su Galileo, nel IV centenario delle sue scoperte e del Sidereus nuncius, è stato promosso a Firenze dai gesuiti con il titolo "Il caso Galileo": con un significativo slittamento cronologico e ideologico, è stato così celebrato non il Galileo scienziato, ma la presunta pacificazione del rapporto scienza-fede, cioè, in sostanza, il dramma della sua condanna del 1633. Gabriele Turi

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