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«Un reportage narrativo eccentrico, per effetto sul lettore e per costruzione, che prosegue per accumulazione di argomenti-testimoni-episodi quasi fossero talismani» – Il Venerdì
La gigantografia di un individuo in pelliccia sintetica rosa appare un mattino sui muri di Milano. Il suo nome è Sfera Ebbasta, la sua voce soffia dal ventre dell'Auto-Tune, le sue gengive ospitano denti dorati. Chi è quella creatura fluorescente in agguato ovunque, fra i mezzanini della metropolitana e nelle piazze scintillanti del centro? Perché la trap e i suoi eroi di plastica si sono insinuati nei nostri discorsi e nei nostri sogni? Cosa ci dicono di noi? A chiederselo è uno scrittore smarrito, che per rispondere deve scoprire il vuoto tra la sua generazione e quella di chi oggi ha vent'anni. Provando ad abitare quel vuoto con la scrittura, finisce però per interrogare in modo sempre più intimo se stesso e il suo tempo; per vagare a caccia di un incontro rivelatore in una città doppiata dai social network, tra quartieri che sembrano rendering in cui pullulano figure a una dimensione e mercati multietnici simili a una delirante V?r?nas?. "L'età della tigre" è una narrazione asimmetrica e randagia; il toccante resoconto di un tempo esausto e dei suoi inconsapevoli desideri.Sono in contrapposizione con chi ha dato 5 stelle praticamente per tutto. La parte del dialogo con l'orologiaio l'ho trovata forzata così come il passare anche per fatti personali dell'autore. Sicuramente la trap fa da traino per trattare altri argomenti ma il tutto a mio parere rimane poco convincente.
Quello che un giorno, magari, qualche catalogatore distratto e svogliato collocherà nello spazio dello scaffale (fisico o virtuale) adibito ai saggi, non è un saggio e meno che mai un saggio sulla o sul trap. Il libro inizia supergiù nei luoghi dove dimora Teneri Violenti (a proposito se non lo avete letto, recuperatelo), ad un certo punto, con un pretesto, sembra indirizzarsi verso un’indagine sociologica o meglio un reportage e poi diventa un lavoro antropologico di osservazione partecipata, che si trasforma a sua volta in un ottimo esempio di gonzo journalism all’italiana per ritornare, alla fine, dalle parti di Teneri Violenti. Il tutto contraddistinto da quella ammirevole capacità di Ivan Carozzi di fare dialogare il “dentro” e il “fuori”, di passare da un registro intimo e personale ad uno pubblico e collettivo, di creare connessioni narrative tra gli eventi della propria vita e quello che avviene nella società, per cui può succedere che si passi dal dibattito sui due rolex indossati da sfera ebbasta all’incontro casuale con Rafik, un orologiaio marocchino, che culmina con una domanda a sorpresa: “A cosa serve scrivere?”, che mette in crisi l’autore. L’età della tigre è un libro che vale la pena senz’altro di leggere, senza lasciarsi ingannare dall’argomento (anzi se cercate un libro che racconti la storia del/della trap non fa per voi) e neanche dalla copertina. Come dice l’autore, fosse stato per lui, in copertina ci sarebbe una foto della nonna o quella in bianco e nero di uno specchio impolverato, a cui si accenna a un certo punto nel testo, dove è scritta la parola “salario”.
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