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Potrebbe venire spontaneo definirlo un romanzo di denuncia ma sarebbe riduttivo. Capace di evocare quelle sensazioni e riflessioni esistenziali nelle quali molti di noi potranno riconoscersi, a cavallo tra il proprio vissuto individuale e una coscienza sociale comune e condivisa.Non comune invece, rara anzi di questi tempi, la capacità di rendere in prosa il sempre più urgente bisogno di smascherare meccanismi, realtà, rapporti che, in modo più o meno celato, caratterizzano la società che abitiamo nella nostra epoca e quella da poco passata. Una prosa elegante ma mai pretenziosa o retorica.A tratti poetica, in altri momenti estremamente lucida e incisiva, asciutta. Spesso impietosa, tanto nei momenti più introspettivi che in quelli di più esplicita denuncia. Racconta la fabbrica nella sua nuda crudezza senza perdersi dietro i fronzoli di astrazioni che rischiano di lasciare pezzi di realtà dietro di sé, eppure riuscendo a ricondurre quella realtà quasi a un archetipo che ritorna, in forme mutate, nella realtà che oggi condividiamo. Interessante a questo proposito il parallelo che si crea tra la descrizione iniziale dell’abitazione e delle giornate trascorse a Milano dal protagonista narrante e quella del padre quando a suo tempo vi si trasferì.Passa il tempo,cambiano le forme in cui si esprime ma resta la stessa percezione di insensatezza, d’inutilità, lo stesso malessere, dati forse dalla medesima appartenenza di classe, dal sentirsi ai margini di meccanismi più grandi e fuori dal nostro controllo.Forse più ancora ai margini oggi,a galla in un’epoca che non concede più neppure di lenire il senso d’inadeguatezza e di isolamento nel perseguimento di rivendicazioni in grado di riconsegnare l’individuo alla sua comunità.Più individui oggi di ieri, cerchiamo in realizzazioni personali una via d’uscita e fatichiamo a riconoscere nell’altro, pure quando condivide il nostro stesso sentire,qualcuno da non macinare sotto la nostra disperata quanto solitaria ricerca di senso
Totale rispetto e interesse per i tragici temi trattati, l'oppressione del lavoro in fabbrica e - soprattutto - la morte causata dall'amianto; a mio modo di vedere questo libro è un'occasione perduta. Perchè il romanzo non è mostrato, ma raccontato, e facendo così perde la maggior parte della forza che avrebbe potuto avere. Il 'raccontato', nella narrativa, non è efficace come il 'mostrato', e finisce per incidere assai di meno. La penna dell'autore è buona, ma per via del 'raccontato' le parole scivolano via troppo in fretta. Insomma: il romanzo assume un profilo sociologico che poco si confà ad una narrazione. Detto questo, ben vengano romanzi che impediscono che cada l'oblio su queste tematiche.
L'attenta analisi del vissuto in fabbrica,alla Breda fucine di Sesto San Giovanni, la malattia,l'impotenza del legame affettivo sottolineano ancora una volta l'assurdità del quotidiano di tanti operai trattati come "carne da macello". Una narrazione coinvolgente associata ad un linguaggio diretto che giunge, che colpisce immediatamente. Si legge tutto d'un fiato e Stefano Valenti che ha presentato spesso il suo romanzo a platee di operai in pensione merita attenzione e successo.
Recensioni
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