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Fascismo e politica dell'immagine - Laura Malvano - copertina
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Fascismo e politica dell'immagine - Laura Malvano - copertina
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1988
17 maggio 1988
199 p., ill.
9788833904306

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Marco
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Una lettura del regime sotto il profilo della storia dell'arte. Un buon lavoro.

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Voce della critica


recensione di Isnenghi, M., L'Indice 1988, n. 9

La lettura dei contributi degli storici settoriali (delle arti figurative, dell'architettura, del cinema, del giornalismo ecc.) è non di rado frustrante per gli storici generali: i quali non cessano di meravigliarsi di quanto datata e sommaria possa arrogantemente rimanere la bibliografia di riferimento dello storico di settore, mentre parrebbe lecito supporre il contrario: che sia meno arduo, cioè, tenersi criticamente aggiornati su un contesto storico per chi si specializza in uno solo dei settori, e quindi su un particolare tipo di testi (i quadri oppure la lirica oppure le città ecc.), piuttosto che per chi affronta l'insieme di un'epoca e deve perciò rinsanguare di continuo le proprie conoscenze sulla vasta e variegata tipologia dei testi, della critica e della storia dei testi. Malumori, questi, e interrogativi che colpiscono in particolare chi frequenta le bibliografie settoriali relative alla storia dell'Italia fascista. E che però, per una volta, non hanno alcuna ragion d 'essere di fronte al bel saggio di Laura Malvano. Anzi, il dialogo serrato con gli studiosi complessivi e lo scardinamento delle chiusure fintamente autonomiste degli studiosi settoriali danno sale al lavoro dell'autrice franco-torinese, e costituiscono l'asse attorno a cui cresce la sua ricerca.
Mi domando quale potrà essere la reazione dei tenutari di ciascun 'hortus conclusus', di fronte al tentativo - a mio avviso lucidamente condotto - di ricondurre a unità le ipotetiche autonomie di settore; per mio conto non voglio tardare ad accusar ricevuta (anche per le garbate chiamate in causa dell'autrice).
Dopo una promettente 'Introduzione', il libro dispone la materia in quattro brevi ma densi capitoli. Il primo afferma la "Globalità della politica dell'immagine" da parte fascista, e fornisce notizie sul "corpus della produzione" scultorea e figurativa, comprendente anche tutta l"'imagerie vasta e multiforme [che] accompagn• onnipresente, per oltre venti anni, la vita quotidiana degli italiani". Il secondo capitolo affronta "I meccanismi di funzionamento dell'immagine e i suoi destinatari sociali": con questa prerogativa, rispetto agli studi precedenti, che l'attenzione all'organizzazione della cultura si accompagna all'analisi delle opere; e che l'interesse per "L'immagine di massa" si appaia a quello per "L'immagine a statuto nobile" (sono rispettivamente i temi e i titoli del secondo e del primo dei due paragrafi).
Già a questo punto comincia a profilarsi il carattere originale di un saggio che punta a riunificare due coppie tematiche - organizzazione-opere, e alto-basso - rimaste il più delle volte separate sin qui, nella pur vasta bibliografia sul periodo fascista, sulla sua cultura e sulla sua arte. Sostanzialmente il terzo capitolo - "Momenti e temi del fascismo" - viene in soccorso al secondo, diversificando diacronicamente le immagini e la politica delle immagini; al di là di questo limpido intervento però è augurabile che Malvano dia ancor più corpo al suo ragionamento storico sull'arte in Italia fra le due guerre approfondendo, in un lavoro più ampio, quel rapporto organico che i testi artistici, le opere e i maestri hanno con lo sfondo ideologico di un'epoca e che costituisce il prezioso apporto metodologico della sua spola fra il generale e i particolari. Diverse pagine sono dedicate, nel capitolo terzo, al fascismo rurale, alla romanità e alla modernità, individuati come nuclei ideologici storicamente specifici e come terreno privilegiato d 'incontro fra i bisogni dello Stato lo spirito dei tempi e le tecniche dell'arte.
Il quarto capitolo ha l'ambizioso titolo "Arte sociale e 'nazionalizzazione delle masse'" e affronta la questione attraverso il grande dibattito degli anni Trenta sulla "riconquista dei muri" da parte dei pittori e sugli edifici pubblici quali "cattedrali politiche" del nuovo Italiano. Sironi e Cagli Campigli è Carrà, Funi e Dottori, Piacentini e Terragni, Marinetti e la Sarfatti, Oppo e Maraini, Bottai e Farinacci: tutta una serie di nomi di peso animano e danno concretezza al discorso storico dell'autrice su questa che all'apparenza è soltanto una lotta fra forme pittoriche (scultoree architettoniche). Uno dei pregi del volume è appunto di misurarsi con opere e autori ben definiti sottratti per una volta ai presupposti protettivi della specificità e neutralità dell'arte e reimmessi nel vivo di un tempo ideologicamente intrusivo ed esigente dal quale pochi o nessuno mostrano di aver voluto o di essere riusciti a tenersi fuori.
Ovvero, non si parla solo di cultura generica, di immagini di massa, n‚ di organizzazione della cultura e dell'arte, ma si cerca e si trova il fascismo nello specifico delle grandi opere, tanto che il titolo dato al volume potrebbe persino apparire riduttivo.
Infatti esso fa compiere un salto di qualità a tutto il lavoro di ricostruzione storica dell'Italia fascista, conquistando nuove aree, presenze e esperienze al discorso critico di chi - fra gli storici del periodo - non tanto si era arrestato di fronte alla maestà dell'arte, quanto piuttosto aveva dovuto far valere qualche freno inibitorio, rinunciando a trattare la pittura alla stregua del cinema o della propaganda e la scultura alla stregua dei discorsi o dei libri.
Vorrei infine suggerire - come ulteriore documento all'innesto di politica e arte in età fascista - il complesso di architettura (Ponti) pittura murale (Campigli) e scultura (Martini) realizzato per la nuova sede della facoltà di lettere a Padova. A promuoverlo fu un intellettuale militante del fascismo della statura dell'archeologo Carlo Anti: fra tante opere d'arte e testimonianze di politica e di gusto non senza ragione attualmente disperse - l'autrice ha dovuto spesso lavorare solo su testimonianze fotografiche - ecco un insieme organico di opere d'arte al maggior livello qualitativo consentito dai tempi ideato voluto e portato a termine in chiave dichiaratamente fascista e tuttora visibile. Fra i documenti della sua genesi - che sono stati studiati - ricorrono come consulenti o collaudatori oltre a quelli degli autori anche altri nomi risonanti allora e non di rado dopo: Fiocco, Lazzari, Argan ecc. Ricordo l'imbarazzata aria reticente con cui vi passavano accanto gli studenti dei primi anni Sessanta - ovviamente antifascisti - educati al concetto del baratro fra Fascismo e Cultura e alla Purezza della Forma magari a volte proprio da qualcuno dei professori che ai più fisionomisti pareva di riconoscere effigiati da Campigli - accanto all'ex-rettore tornato a insegnare archeologia - fra gli intellettuali col naso all'aria sopra le vestigia romane e in mezzo alle impalcature operose di quel poco lontano ma così rimosso rapporto Intellettuali-Operai e Arte-Popolo.
No alla banalizzazione del fascismo orchestrata negli ultimi mesi sui giornali e in televisione e al salto della quaglia furbastro con cui a trent'anni di vuoto storico - la conclamata parentesi fascista - si vorrebbe sostituire il pieno di una indistinguibile continuità fra prima durante e dopo non ci stiamo. Articoliamo, articoliamo. Qualche cosa resterà. E ad articolare meglio, libri come quelli di Laura Malvano ci aiutano.

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