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Fedra
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1999
156 p.
9788821164361

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francesca santucci
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“Ho ogni furia d’amore!” E’ con questa frase che Fedra rivela alla nutrice l’amore segreto, non corrisposto ,che nutre per Ippolito, figlio di suo marito Teseo. Rivela l’amore, non il nome di colui che ama, e già questo indica che la donna vive il suo sentimento come colpa. Ha, infatti, già detto precedentemente “Fosse agli Dei piaciuto che altrettanto pulito avessi il cuore”. E, nel dialogo con Ippolito, prosegue “Amo, ma nell’attimo stesso che t’amo, non pensare che m’approvi e che mi veda innocente”. In Fedra dunque l’amore è febbre,tormento, passione insana della quale si vergogna perché l’ha condotta alla degradazione di se stessa, contro la quale ha anche lottato fingendo di odiare Ippolito, ma contro cui nulla può perché il suo destino è già segnato:“ Fu il Cielo a porre un fuoco funesto nel mio petto…” Fondamentale in “ Fedra”, come del resto in tutte le tragedie di Racine, è l’inutilità della lotta dell’uomo contro le forze invincibili che lo sovrastano e lo distruggono. Il messaggio dell’autore sembra, infatti, essere proprio questo: in questo mondo non è facile essere uomini, ed essere felici è addirittura impossibile perché vi sono delle forze misteriose che ci ostacolano. Tra tutte le forze misteriose che dominano la vita umana la più grande, la più forte, è la passione amorosa, sulla quale, comunque il destino avverso, il fato crudele, finisce per prevalere. Infatti Fedra viene annientata dal suo stesso sentimento, attraverso cui rivela la sua natura profonda di donna , e che la condurrà prima alla solitudine, poi alla sofferenza devastante, infine alla morte.Per quest’opera, come per le altre opere di Racine, vale la comvinzione dell’autore che l’uomo, ossessionato dalla vana ricerca della felicità, viene dominato dai suoi desideri e resta intrappolato in amori imprevedibili che, inevitabilmente, conducono alla catastrofe finale. “Fedra” ,direttamente ispirata all’omonima di Euripide, è forse il capolavoro di Racine, il maggior drammaturgo dell’età di Luigi XIV, poiché offre la visione in

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Jean Racine

1639, La Ferté Milon

(La Ferté Milon, Valois, 1639 - Parigi 1699) poeta tragico francese. La vita e le opere Appartenente a una famiglia di fede giansenista, e rimasto presto orfano di madre, fece i suoi studi a Port-Royal, dove eminenti ellenisti lo iniziarono alla cultura greca; così, due elementi della sua formazione, il giansenismo e l’ellenismo, finirono col caratterizzare profondamente la sua opera, sottraendola agli schemi culturali del gesuitismo latineggiante. La sua spiccata inclinazione verso l’umanesimo pagano finì per staccarlo da Port-Royal; ciò però non alterò in nulla il suo giansenismo di fondo, il suo pessimismo (sempre presente nelle sue opere) sulla natura dell’uomo, debole vittima delle passioni e del peccato se non è soccorso...

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