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Quando nel 1961 uscì questo libro, fra le pose e gli atteggiamenti intellettualoidi dell’epoca era di moda esprimersi per il tramite d’un parlato malinconico, d’uno sguardo nostalgico, una cadenza ostinatamente riflessiva, con tanto di languidi sfumature di delusione da addebitare al sopraggiungere di chi sa quale forma di savia maturità. Esistenzialismo; nient’altro che una moda. E ci è stato propinato per tanti di quegli anni che, se non fossero giunti fenomeni come i Beatles a darci una scossa (almeno una speranza di lievità un poco più gioiosa), a quest’ora avremmo corso il rischio di continuare a sentirci tutti, ancora, maldestramente frustrati. La Capria, forse maldestro pure lui, con questo suo testo esistenzialista riuscì però a dare una variante brillante al genere, esibendo la sinusoide della dolce vita che in un bel mondo, quello d’un certo chic napoletano, riportava a piaceri d’altri tempi; collocando la storia qui narrata tra la fine degli anni 30 e la fine degli anni 50, ovvero nel pieno trapasso che va dal buio alla luce di quei tempi. Il protagonista è e rimarrà smarrito di fronte al trasecolare d’una civiltà (una società) che sembra abbandonarsi ad un sempre più opprimente senso del vacuo. Le sue delusioni, i suoi dispiaceri, le sue insicurezze, non si risolvono, non si riescono mai a superare. Laddove il ricordo dell’adolescenza spensierata non può fare a meno di riportarlo agli amori d’una vita che, alla fine, sembra essere come sprecata. Basta non affogare nel sogno “marino” del primo capitolo per comprenderne e goderne tutta la geniale profondità umana. C. Matar
Letto su consiglio di un amico, che lo considera uno dei capolavori della letteratura italiana del novecento, devo dire che non sono riuscito ad entusiasmarmi come credevo. Sarà che, come Massimo alla fine del libro, non sono più un ragazzino e i libri non mi fanno più l'effetto di quando ero adolescente. Forse proprio per questo ho apprezzato maggiormente la seconda metà, quando il protagonista ricorda la perduta gioventù con amarezza e disincanto. La padronanza della prosa da parte dello scrittore è, comunque, incontestabile. Un libro che richiede attenzione, meglio se letto in un solo giorno, perché la narrazione non segue un filo unitario e lo si perde facilmente interrompendo l'attenzione.
Un libro lirico, musicale, astratto. Una malinconia corteggiata, l'ossessione per un'Occasione Perduta, la speranza che si riproponga. Il tutto con uno stile che va dall'aulico al popolare, ricco di flashback e anticipazioni, cambi di prospettiva ed un uso esteso del discorso indiretto libero. Un libro che richiede il massimo dell'attenzione altrimenti si rischia di perdere dei dettagli, di non cogliere la dinamica di alcune scene, cosa che mi è capitata, e che mi fa desiderare di rileggerlo daccapo
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