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In fondo la fantascienza ha da scandagliare le “meraviglie del possibile”, le prospettive aperte da un’idea, da una possibilità. Si tratta di qualcosa di simile a un sistema ipotetico deduttivo in cui, poste delle premesse, seguono delle conclusioni. Non è necessario credere nei viaggi nel tempo, che nel romanzo La formula di Venere vengono presentati in modo abbastanza ironico, per quanto suggestivo. È concesso credere alla possibilità di donne artificiali, magari anche augurarsele, ma non porta lontano chiedersi “come mai donne e non uomini?” oppure sbottare “ecco un altro modo per considerare ancora una volta la donna come un oggetto!” Non è questo il punto. Anzi, i personaggi nel corso della narrazione si pongono proprio queste domande e ricevono risposte adeguate (per loro che, come personaggi, possono permettersi di porsi certe domande senza apparire ridicoli e possono accontentarsi di risposte che funzionano nel romanzo). Sono proprio le donne sintetiche che animano il romanzo di Paolo Euron La formula di Venere e sono loro che tengono in mano i fili. Gli uomini paiono più o meno essere dei burattini che agiscono all’oscuro di tutto. Da questo punto di vista il romanzo non è una semplice opera di fantascienza. Per quanto divertente e leggibile spinge a porsi delle domande. Chi ha davvero il potere? Gli uomini con la loro limitatezza che non va oltre l’esigenza immediata o le donne (sintetiche?) che nel silenzio tessono la trama della storia (o della Storia)? Che cosa chiederebbe un essere sintetico una volta che avesse raggiunto la coscienza di sé? Chi decide il futuro? Queste sono alcune domande che possono balzare alla mente, come possibilità, e rendere la lettura più proficua.
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