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“Chi discute di felicità, per risultare credibile dovrebbe per lo meno sforzarsi di essere divertente”
La citazione che precede l’introduzione è il primo elemento ad incuriosire. Un saggio matematico che ha come priorità essere fedele a un assunto – imprescindibile, siamo d’accordo, nel caso di un saggio sulla felicità - parlare di felicità divertendo il lettore.
Stupisce e incuriosisce insieme, poi, il fatto che l’innesco alla stesura di questo testo sia di fatto rappresentato da un evento che è, senza alcun dubbio, agli esatti antipodi della felicità: la fine di un matrimonio. Immaginando una scala in cui la felicità è lo stato che occupa la posizione più alta, questa vicenda occuperebbe, senza dubbi, la posizione 1 (0 se ci fosse!).
Mirko Galimberti, io narrante, decide di partire proprio dalla rottura con sua moglie Vania per “raccontarci” la formula matematica della felicità. E per evitare che il lettore desista dopo aver letto poche pagine, decide di seguire tre metodi: delimitare con simboli - che il lettore può velocemente avvistare - le zone troppo noiose o troppo matematiche, perché infarcite di derivate, integrali e funzioni; confidare nella gentilezza del lettore, chiedendogli di concedere almeno due pagine - magari anche quattro - prima di condannare del tutto un’opera e, in ultimo, utilizzare definizioni più quotidiane e un tono più leggero che aulico.
E subito, data le ovvie difficoltà del caso – quasi impresa impossibile accostare matematica e leggerezza - nella sua introduzione spiega i motivi dell’insolita scelta, i mezzi decisamente inconsueti - le quotidiane vicende di zio Gian, gli aneddoti spiritosi del collega Gino, detto “il caccola” -, e le intenzioni del trattato - rendere più immediata interpretazione e comprensione dei passaggi, più colloquiale e ironico tono -. Ma è possibile riuscire a dare davvero una definizione convincente della felicità? Forse sì. Passando attraverso la classificazione della forze sfelicitanti(cicliche, di sfiga etc.), i racconti spiritosi e gli esempi curiosi, la trattazione arriva a chiarire ed esprimere la formula che traduce in termini matematici la sensazione di appagamento data da questa condizione: la felicità è il risultato della variazione rispetto al tempo dello stato di una persona. Semplice. E, magari sarà capace di iniziare anche gli inesperti alla materia a capire come un matematico possa, con spiritose e spassose narrazioni, servirsi della matematica anche per scrivere di “non matematica”, di qualsiasi cosa, perfino della felicità.
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